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venerdì 30 ottobre 2015

#arte: Dagli Impressionisti a Picasso in mostra a Palazzo Ducale, Genova, una selezione di capolavori direttamente dal Detroit Institute of Arts

Monet, Degas, Renoir, Cézanne, Van Gogh, Gauguin, Matisse, Modigliani, Kandinsky, Picasso.    Sono soltanto alcuni degli immortali artisti in mostra a Palazzo Ducale, a Genova, fino al 10 aprile 2016, una selezione di capolavori giunti nel capoluogo ligure direttamente dal prestigioso Detroit Institute of Arts.
   Cinquantadue opere dell'arte europea che ripercorrono, per la prima volta in assoluto, il tragitto "inverso" che dagli Stati Uniti porta al Vecchio Continente.


Gli anni, il trentennio che intercorre tra la nascita dell'Impressionismo e le prime opere puramente cubiste del grande Picasso, anni cruciali per il panorama culturale europeo, un'età straordinaria fatta di nuovi stimoli, orizzonti espressivi, essenza stessa della modernità e di una ricerca profonda e coraggiosa.
   Una selezione di opere mai esposte in Italia prima d'ora, una sintesi perfetta di questo periodo così significativo e altrettanto suggestivo, a cavallo tra Ottocento e Novecento, dai sublimi tocchi di colore dell'Impressionismo francese alla violenza cromatica di Van Gogh, sinonimo del suo tormento interiore, dall'Ecole de Paris alle Avanguardie Storiche, dall'Astrattismo all'eccezionale parabola artistica di Pablo Picasso, un'occasione unica per ammirare questi grandi maestri in un colpo solo.

Volete qualche assaggio delle opere in mostra? Soltanto per citarne alcune, ricordiamo i "Gladioli" di Claude Monet, "Studio per dipinto con forma bianca" di Wassily Kandinsky, "Bagnanti" di Paul Cézanne, "Donna in poltrona" di Pierre Auguste Renoir, "Giovane con cappello" di Amedeo Modigliani, "Ballerine nella stanza verde" di Edgar Degas, "Ragazza che legge" di Pablo Picasso.

Parallelamente, e a prescindere dall'indubbio valore delle opere esposte, interessante il pretesto narrativo della mostra, ovvero l'attenzione data alla sorprendente avventura del collezionismo americano, che si è sviluppato analogamente alla proliferazione del Capitalismo occidentale.
   Furono proprio i grandi imprenditori, infatti, a dare origine a questa nuova forma di mecenatismo culturale e artistico, uno spirito che ritroviamo intatto in questa mostra imperdibile curata da Salvador Salort-Pons e Stefano Zuffi, prodotta da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura in collaborazione con MondoMostre Skira, con il patrocinio del Comune di Genova e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, della Missione Diplomatica Americana in Italia e dell'American Chamber of Commerce in Italy.



Per quanto riguarda le info tecniche:
ORARI: 

  • lunedì 15-19
  • da martedì a giovedì 9.30-19.30
  • venerdì e sabato 9.30-21
  • domenica 9.30-19.30

La biglietteria chiude un'ora prima

PREZZI BIGLIETTI:

  • intero con audioguida 13€
  • ridotto con audioguida 11€
  • gruppi sabato e domenica 13€
  • gruppi da lunedì a venerdì 11€
  • scuole 6€ (inclusa prevendita)
  • ridotto giovani fino a 27 anni (ogni venerdì dalle 14 alle 21) 5€
  • diritti di prevendita 2€


Info prevendita: 010 9280010
Prenotazioni scuole: 010 8171604

PER INFO: 
www.impressionistipicasso.it
www.palazzoducale.genova.it


giovedì 29 ottobre 2015

#film: Crimson Peak, Guillermo Del Toro

Sarà che, da quando ho visto quel capolavoro di ingegno e suggestione che è, secondo me, "Il Labirinto del Fauno", me ne sono innamorata, sarà che, fin da ragazzina, la trama e l'ambientazione di libri come "Cime Tempestose" mi ha sempre affascinata profondamente, sarà che, secondo me, Guillermo Del Toro è un artista, ma a me "Crimson Peak", il suo ultimo film, uscito nelle sale cinematografiche mondiali appena lo scorso 22 ottobre, non è dispiaciuto affatto.
   Criticato, giudicato banale, massacrato dalla critica più spietata, risulta forse poco innovativo nello sviluppo della trama e della narrazione: la classica casa infestata dai fantasmi che, tuttavia, viene lasciata in secondo piano, anteponendo la storia di una sordida passione e di una spirale di violenza apparentemente senza fine.


Tuttavia, storia a parte, è doveroso sottolineare l'assoluta bellezza delle ambientazioni e della scenografia, l'eleganza della fotografia che ci riporta, fin dalle prime immagini apparse sullo schermo del cinema, all'interno di quel Gotico Romantico che ha affascinato decine di generazioni.
   Un fascino antico e suggestivo, una sottile seduzione che pervade ogni scena del film, un pizzico di malizia che si mescola abilmente ai sentimenti più forti e puri, lo scandalo che travolge i protagonisti senza mezze misure, indulgendo sul valore distruttivo dei sentimenti, in quell'eterno contrasto tra Eros e Thanatos tanto caro ad un filone letterario e artistico che ha segnato l'inizio di un'epoca, il XIX secolo.

A mio modesto parere, soltanto Del Toro avrebbe potuto toccare vette immaginifiche tanto alte, e mi sto riferendo ad un registro totalmente estetico ed edonistico: un regista che ama questo genere con la passione di un ragazzino cresciuto a pane e fiabe dark, un sentito omaggio al filone letterario che ha visto, tra i capostipiti, scrittori del calibro di Emily Bronte, Anne Radcliffe, Edgar Allan Poe e Nathaniel Hawtorne. ma anche all'opera del più grande e inarrivabile artigiano del genere made in Italy, Mario Bava, maestro abile nel dosare alla perfezione luci e colori, riecheggiati splendidamente nel lavoro del direttore della fotografia danese Dan Laustsen.
   Altro chiaro riferimento, il cinema di Dario Argento, al quale rimandano la violenza grafica degli omicidi o le angosciose sequenze in ascensore.

"Crimson Peak" può essere considerato, forse, il divertissement di un autore che si è stancato dei meccanismi stereotipati degli Studios statunitensi, e che ha scelto di riavvicinarsi progressivamente a una dimensione più personale del film, il preludio ad un ritorno, già annunciato, a progetti più piccoli e con un budget minore.
   Non stupisce, per questo, che la sceneggiatura risalga al 2006, subito dopo l'uscita de "Il labirinto del fauno", del quale riecheggia le atmosfere surreali.


A donare un valore aggiunto al film sicuramente la bravura degli attori, partecipi di questo continuo susseguirsi di amore e morte: un'eterea Mia Wasikowska, un romantico, inedito e sensuale Tom Hiddleston, che finalmente si svincola del tutto dall'immagine di Loki, malvagio fratello del biondo Thor firmato Marvel, ma soprattutto la sublime Jessica Chastain, che con la sua Lucille porta sul grande schermo un personaggio passionale e feroce al tempo stesso, mentre Charlie Hunnam interpreta comunque con sapienza il piccolo ruolo che gli è stato affidato.

Insomma, "Crimson Peak" è uno di quei film che non va valutato sulla base della trama, altrimenti perderebbe buona parte del suo fascino: è una pellicola in grado di trascinarvi in una dimensione parallela, antica, terrificante e paradossalmente verosimile, affascinante e ipnotica.
   Un film che avvolge lo spettatore, lo catapulta in un romanzo ottocentesco in costume, lo seduce e e lo cattura, fino al classico, tragico e ahimé immaginabile epilogo, che comunque non toglie smalto all'ultima creatura di Del Toro.

mercoledì 28 ottobre 2015

#libri: Churubusco, Andrea Ferraris

Domenica sera la città di Casale Monferrato si è trasformata, almeno per un paio d'ore, in un vecchio villaggio del più profondo Messico, più precisamente Churubusco, affascinante e cruento luogo di frontiera.
   A condurci per mano in questo viaggio, nato nel contesto della rassegna musicale e letteraria “Books and Blues”, giunta alla sua sesta edizione, Andrea Ferraris e Paolo Bonfanti, rispettivamente scrittore/disegnatore e musicista/chitarrista di fama internazionale che, sulle note di ballate mexicane come “Cross the borderline” o “Luz de Luna”, hanno presentato l'ultima graphic novel di Ferraris, intitolata appunto “Churubusco”, un fumetto che racconta una pagina tanto dolorosa quanto sconosciuta della storia americana.



Infatti, se oggi Churubusco è soltanto un quartiere come tanti di Città del Messico, inglobato nella metropoli, nel 1847, anno in cui è ambientato il racconto del fumettista genovese, è stato un vero e proprio quartier generale, ma soprattutto un rifugio, per il Battaglione San Patricio, una brigata internazionale di disertori provenienti perlopiù dall’Irlanda, ma anche da Polonia, Germania, Scozia, Spagna e Italia, ottocento soldati guidati dall'eroico Capitano John Riley, che iniziarono a combattere al fianco dei messicani contro l'esercito statunitense.
   Una storia di due secoli fa ma incredibilmente attuale che, come sottolineato dall'autore stesso, ricorda da vicino le notizie di cronaca sui migranti che ascoltiamo ogni giorno al telegiornale.

Ma com'è nato, nel concreto, questo libro? Perlopiù a Parigi, dove Ferraris si è recato per approfondire i suoi studi storici, specialmente presso l’Istituto di Cultura del Messico, e grazie al'interessamento dell’ambasciatore del Messico a Dublino, che ha messo in contatto l'autore con Paddy Moloney, leader della folk band irlandese The Chieftains (gli stessi che, nel 2010, hanno prodotto un concept album dedicato alle gesta del Battaglione San Patrizio), che ha poi curato la prefazione di “Churubusco”.

Per quanto riguarda l'aspetto prettamente tecnico, le tavole di Andrea Ferraris sono caratterizzate da un tratto deciso, che si indurisce nelle scene più violente e drammatiche, per poi ammorbidirsi in quelle più umane, negli attimi di comunione tra i componenti del battaglione.
   Sfogliando il libro spiccano, per particolarità, alcune tavole dai toni caldi, dalle sfumature brune: merito del caffè, utilizzato come fosse un acquerello, perfetto per rendere la dimensione onirica dell’incubo del protagonista, tecnica già utilizzata da artisti del calibro di Basquait.

Nel complesso un fumetto dove si notano, velatamente, riferimenti a grandi maestri quali Toppi, Pratt, Battaglia, Luzi, atmosfere che ricordano gli albi a tema bellico di origine argentina, sequenze di sapore cinematografico, specialmente nel montaggio, che si avvicinano alle pellicole di Sergio Leone, che si alternano ad elementi assolutamente originali, come le sequenze di dialogo dove, al posto delle parole, troviamo un linguaggio fatto di segni, un richiamo impenetrabile ma chiarissimo alla natura circostante.
   Il paesaggio diventa, infatti, elemento predominante, protagonista esso stesso di lunghe sequenze prive di dialoghi, dove la narrazione è affidata alla magica suggestione del luogo che ha accolto, molti anni fa, questa sparuta ma coraggiosa manciata di eroi.

"Questo articolo è apparso il 26/10/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/churubusco-andrea-ferraris-una-graphic-novel-che-racconta-una-delle-pagine-pi-dolorose-della-storia-del-messico.html

martedì 27 ottobre 2015

La troupe del TG2 a #LibarnaAreaArcheologica

Oggi voglio soltanto darvi un piccolo assaggio di quella che, per me, è stata una grandissima soddisfazione: l'area archeologica di Libarna, a Serravalle Scrivia, il mio paese, è finita nella rubrica culturale del TG2.
   La giornalista Rai Daniela Bisogni ha trascorso un'intera giornata con noi volontari dell'Associazione Culturale Libarna Arteventi, che si occupa della valorizzazione e della divulgazione della bellezza di questo bene storico/artistico, e il frutto è questo splendido servizio, dove potrete ammirare immagini suggestive e affascinanti dell'area, del paese (vedute dal ponte sul torrente Scrivia, del centro storico e molto altro) che rendono al meglio la bellezza di luoghi troppo spesso sottovalutati.


Tra qualche giorno vi proporrò un articolo più approfondito su Libarna, nel frattempo buona visione!

https://www.youtube.com/watch?v=AKFZDviFudg

lunedì 26 ottobre 2015

#arte: Andar per mostre, stagione 2015/2016 (seconda parte)

Quest'oggi torno a scrivervi di mostre, eventi culturali e di tutto ciò che il nostro Bel Paese ha da offrirci nei prossimi mesi, con un ricco e interessante calendario di mostre 2015/2016 stracolmo di appuntamenti da segnare immediatamente in agenda.



   E allora che aspettate, carta e penna (o smartphone e tablet, se siete più tecnologici di me) alla mano, ecco una lista di mostre e allestimenti ai quali non potrete proprio mancare:


  • ROMA, Complesso del Vittoriano - Ala Brasini: "Dal Musée d'Orsay, Impressionisti tête-a-tête", una mostra dedicata ai più grandi maestri dell'Impressionismo, da Monet a Degas, da Manet a Renoir e Cezanne, e molti altri. ORARI: lun-gio 9.30-19.30, ven-sab 9.30-22, dom 9.30-20.30
  • ROMA, Cinecittà: "Cinecittà si mostra", un omaggio a tutti coloro che hanno reso grande e hanno lavorato dietro le quinte di quel grande e perfetto ingranaggio che è Cinecittà. ORARI: lun-dom 9.30-19, martedì chiuso
  • ROMA, Chiostro del Bramante: "James Tissot", una mostra monografica sull'artista francese di nascita e britannico d'adozione. ORARI: fino al 21 febbraio, Tutti i giorni 10.00-20.00, sab-dom 10.00-21.00
  • TORINO, GAM (Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea): "Monet, dalle collezioni del Musée d'Orsay", una selezione delle opere più significative del grande maestro impressionista francese. ORARI: dal 2 ottobre al 31 gennaio, mar-dom 10-19.30, lunedì chiuso      
  • VENARIA REALE (TO): "Raffaello, il sole delle arti", nella suggestiva cornice di una delle reggie più belle del mondo una mostra che evoca l'iter personale e artistico di Raffaello Sanzio. ORARI: fino al 24 gennaio, mar-ven 9-17, sab-dom e festivi 9-19
  • MILANO, Palazzo Reale: "Da Raffaello a Schiele, capolavori dal Museo di Belle Arti di Budapest", in mostra opere di artisti del calibro di Raffaello, Tintoretto, Durer, Velasquez, Rubens, Goya, Murillo, Canaletto, Cezanne, Gauguin e molti altri. ORARI: fino al 7 febbraio, lun 14.30-19.30, mar-mer-ven-dom 9.30-19.30, gio-sab 9.30-22.30 
  • MILANO, MUDEC Museo delle Culture: "Barbie The Icon", una mostra dedecata alla più iconico e simbolica delle bambole. ORARI: fino al 13 marzo, lun 14.30-19.30, mar-mer-ven-dom 9.30-19.30, gio e sab 9.30-22.30
  • MILANO, GAMManzoni: "Belle Epoque, La Parigi di Boldini, De Nittis e Zandomeneghi", trentacinque opere che documentano l'attività dei tre protagonisti principali della pittura italiana dell'Ottocento nella Parigi della Belle Epoque. ORARI: mar-dom 10-13 e 15-19, lunedì chiuso
  • MILANO, Palazzo della Ragione: "Edward Burtynsky, Acqua Shock", mostra fotografica di uno dei fotografi più originali e visionari del nostro tempo. ORARI: fino al 1 novembre, mar-mer-ven-dom 9.30-20.30, gio-sab 9.30-22.30, lunedì chiuso
  • MILANO, Gallerie d'Italia - Piazza Scala: "Hayez", la mostra più completa e rappresentativa sul grandissimo artista risorgimentale. ORARI: dal 6 novembre al 21 febbraio, mar-dom 9.30-19.30, gio 9.30-22.30, lunedì chiuso
  • MILANO: "Highline Galleria", un viaggio entusiasmante con un camminamento sui tetti della splendida Galleria Vittorio Emanuele II, che vi permetterà di vedere da vicino le guglie del duomo e un panorama mozzafiato. ORARI: tutti i giorni 9-23
  • BOLOGNA, Palazzo Albergati - Art Experience: "Brueghel, capolavori dell'Arte fiamminga", viaggio appassionante nell'epoca d'oro della pittura fiamminga del Seicento. ORARI: tutti i giorni 10-20
  • CATANIA, Centro Fieristico Etnafiere Bel Passo: "Days of the Dinosaur", una mostra che farà la gioia di qualsiasi bambino (e non solo), con ben 51 dinosauri, concepita come una sorta di viaggio all'interno della macchina del tempo
  • VERONA, AMO Verona: "Tamara De Lempicka". monografica dedicata a una delle artiste più amate del Novecento. ORARI: fino al 31 gennaio, lun 14.30-19.30, mar-dom 9.30-19.30


venerdì 23 ottobre 2015

#libri: "Leggi che ti passa", studio sul rapporto tra lettura e benessere individuale

Leggere un buon libro ci rende più felici

Ho avuto questo sospetto fin, all'incirca, dall'età di quattro anni, quando ho iniziato a farfugliare le prime parole lette sulle pagine dei libri per l'infanzia che ricordo con affetto e un po' di commozione, e ne ho avuto la conferma nell'età adolescenziale quando, alle prime avvisaglie di paturnie giovanili, il metodo "stenditi-e-leggi-un-libro-che-passa-tutto" non ha mai fallito un solo colpo.

Oggi è arrivato anche un autorevole studio universitario, un grande lavoro di ricerca condotto, in occasione del decennale dalla GeMS (Gruppo Editoriale Mauri Spagnol) e presentato a Bookcity Milano 2015, da Cesmer/Università Roma3, un'indagine effettuata su un campione rappresentativo della popolazione italiana.
   Il risultato? Lo studio ha dimostrato, nero su bianco, come i lettori siano mediamente più felici dei non lettori, posseggano più capacità di apprezzare il tempo libero, e siano meglio attrezzati cognitivamente per affrontare le emozioni negative. 


Se volete saperne di più, sappiate che la ricerca verrà presentata al pubblico durante la rassegna culturale Bookcity Milano 2015, presso la Sala Viscontea del Castello Sforzesco, proprio domani, 24 ottobre alle 14.30.
   All’incontro, oltre a Stefano Mauri e Luigi Spagnol dell'omonima casa editrice, interverranno anche Ferruccio de Bortoli (Presidente Longanesi) e Michela Addis (docente presso l’Università Roma 3 e SDA Bocconi School of Management).

Ma andiamo un po' più a fondo: solitamente le periodiche indagini sulla lettura si concentrano, soprattutto, sul numero dei lettori in Italia (peraltro, e tristemente, più basso che nella maggior parte dei paesi occidentali), e sulle sue variazioni, ponendo tutta l'attenzione sull'aspetto quantitativo piuttosto che su quello qualitativo.
   Proprio in questo aspetto la ricerca dell'Università Roma 3 ha del rivoluzionario, analizzando un aspetto davvero inedito fino ad oggi.

Per concludere qualche dato tecnico, decisamente interessante, che ci permette di comprendere i parametri utilizzati in questa ricerca scientifica, che sono:


  • Indice di felicità complessiva, che misura la percezione “soggettiva di appagamento rispetto alla propria vita” (scala suggerita da Veenhoven (2015) e parte del “World Database of Happiness”),
  • Subjective Well-Being - dimensione cognitiva (“Cantril’s Ladder of Life Scale”sviluppata nel 1965 e utilizzata nella World Values Survey e in The Gallup-Healthways Life Evaluation),
  • Subjective Well-Being - dimensione affettiva (scala di Diener e Biswas-Diener del 2009, anch’essa ampiamente utilizzata).

La ricerca è stata condotta con metodo CATI (Computer Assisted Telephone Interviewing) fra il 12 maggio 2015 e il 14 giugno 2015 su un campione composto da 1.100 individui, rappresentativo della popolazione italiana di età almeno pari a 14 anni, e suddiviso in lettori e non lettori.




Quindi, un consiglio: leggete, leggete il più possibile, e invogliate anche i non lettori, ma soprattutto i più piccoli a farlo, con entusiasmo e voglia di sperimentare.  
   In fondo, ci si guadagna anche in salute! ;) 

giovedì 22 ottobre 2015

#libri: La piuma, Giorgio Faletti

Non tutte le fiabe iniziano con "C'era una volta...", perlomeno non quelle dei nostri giorni. Tuttavia, basta poco per viaggiare sulle ali della fantasia, e ce lo dimostra uno degli autori più innovativi (e inaspettati) degli ultimi anni che, purtroppo, ci ha lasciati troppo presto.


“Tracciando il suo invisibile sanscrito nel cielo, la piuma sorvolò un villaggio popolato di uomini, che come tali prestavano attenzione solo a ciò che avveniva in terra, davanti ai loro occhi. Nessuno riuscì a vedere la piuma perché nessuno aveva tempo a sufficienza per alzare gli occhi al cielo e riuscire anche solo a guardarla”. 
(Giorgio Faletti) 


 Dame, cavalieri senza macchia e senza paura, draghi, creature fantastiche e suggestive partorite dalla fervida fantasia di cantastorie di ogni epoca, fin dalla notte dei tempi: sono questi, solitamente, gli eroi delle fiabe.
   Ma se la protagonista assoluta, l'eroina di una storia moderna fosse una piuma? Leggera, candida, ma soprattutto libera, libera di fluttuare attraverso luoghi e storie diverse, incontrando personaggi eterogenei, frammenti di vita vissuta, carpendone i segreti più intimi.

Questo il pretesto narrativo che ha dato origine, appunto, a “La piuma" (Baldini e Castoldi, 2015), l'opera postuma di Giorgio Faletti, poco meno di cento pagine che diventano un inno alla libertà, alla consapevolezza che la bellezza, talvolta, sta proprio nelle cose apparentemente insignificanti.


Una fiaba per adulti, impreziosita dalle tavole illustrate dell'artista Paolo Fresu, che presenta al lettore un gruppo di personaggi dal sapore antico, ma che richiamano chiaramente alla realtà contemporanea: un Re alle prese con la pianificazione di una guerra insieme al suo Generale, indifferente alle sorti del suo popolo e dei suoi soldati, un Cardinale che impone dazi e imposte ai poveri contadini in nome di una Chiesa modellata a suo piacimento, una Ballerina di fama mondiale, apparentemente algida ma consumata da un amore non corrisposto, la Donna di Tutti, una prostituta che nasconde un animo nobile, e infine l’Uomo del foglio bianco, l'unico ad accorgersi della piuma, e a trarne ispirazione per la sua futura opera. 

Una fiaba dei nostri giorni che, tuttavia, racchiude il sapore di opere che hanno segnato indissolubilmente la storia delle letteratura, da “Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach, in primis, all'intera poetica di Paul Valéry, unite da un unico, irrefrenabile anelito di libertà, e ancora da “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry, al quale “La piuma” si avvicina nello stile leggero, delicato, quasi infantile ma sapientemente calibrato, a una qualsiasi canzone di Angelo Branduardi, un menestrello che non risparmia acute considerazioni sulla società circostante. 

Non stupisce che l'intento originario di Faletti fosse quello di trasformare questo piccolo libello proprio in un musical, un progetto tanto amato e curato negli anni che, tuttavia, non è riuscito a portare a compimento a causa della prematura scomparsa. 

Delicata, dolceamara, la piuma è volata via in cerca di nuove avventure e nuove storie da narrare proprio come il suo autore, accompagnando l'inatteso commiato di colui che verrà ricordato come un “romantico inventore di serial killer”.



"Questo articolo è apparso il 19/10/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/recensione-la-piuma-giorgio-faletti.html

mercoledì 21 ottobre 2015

#arte: Jeff Koons ovvero, per dirla alla Primo Levi, "Se questo è un... artista"

Successore di Andy Warhol, artista di fama e talento mondiali, genio contemporaneo, rivoluzionario dei nostri tempi, attento e cinico critico della società odierna, chi più ne ha più ne metta.
   Ma dove, mi domando io?! Dopo aver letto le lodi sperticate allo sbarco, nella nostra splendida Firenze, di Jeff Koons, sono rimasta alquanto allibita, non lo nego, e l'orticaria si è impossessata di me.
"Jeff Koons In Florence è l’evento più atteso dell’anno: un confronto tra la provocante bellezza delle opere del geniale artista americano e i capolavori senza tempo di Donatello (1386-1466) e Michelangelo (1475-1564)", si legge sul sito ufficiale del'evento.
   Mapperpiacere.

Nulla di personale nei confronti dell'ex "cicciolino", parafrasando il nome di battaglia dell'amata ex moglie, ma definirlo grande artista mi sembra un insulto agli illustri artisti che l'hanno preceduto sul suolo fiorentino.
   E, aggiungo, mi ha riempita di gioia e soddisfazione l'autorevole parere di critici dell'arte e intellettuali quali Tomaso Montanari e Pablo Echaurren, che hanno ridimensionato notevolmente la fama e il valore di Koons, smorzando i lussuriosi animi di buona parte dei giornalisti italiani che, probabilmente, di Koons conoscono soltanto la già citata ex moglie, e le sue indubbie grazie.


Se, per ottenere una sfilza di like su Facebook o la stima e gli apprezzamenti della massa di pseudo cultori dell'arte contemporanea basta presentare al mondo una improbabile serie di dipinti porno-trash iperrealisti, degni di un assoluto e incontrastato re del kitsch venuto da oltre oceano, e spiegare le suddette opere, di dubbio gusto, con aggettivi pressoché incomprensibili e altisonanti quali "gestaltico", "transeunte", "pellicolare", scelti a casaccio sfogliando un ben fornito dizionario, allora il mio sdegno supera l'umana comprensione.
 
Non ci credete? Ecco come Koons ha spiegato il senso della sua opera esposta a Firenze, "Gazing Ball (Barberini Faun)", opera realizzata nel 2013 per la serie intitolata appunto "Gazing Ball",  un insieme di calchi in gesso di celebri sculture del periodo greco-romano cui l’artista ha aggiunto, in posizione di precario equilibrio, una sfera di colore azzurro brillante e dalla superficie specchiante: “Ho pensato a Gazing Ball guardando per molti anni sfere di questo genere. Ho voluto affermare la perentorietà e la generosità della superficie specchiante e la gioia che scatenano sfere come queste. La serie Gazing Ball si basa sulla trascendenza. La consapevolezza della propria mortalità è un pensiero astratto, e a partire da questa scoperta uno inizia ad avere coscienza maggiore del mondo esterno, della propria famiglia, della comunità, può instaurare un dialogo più vasto con l’umanità al di là del presente”. 
   Mapperpiacere (e due). 



Ma, evidentemente, fingere di apprezzare simili obbrobri fa figo, fa subito "esperto d'arte dalle aperte vedute", amante della bellezza e dell'eros che queste opere sprigionano (ma siamo sicuri non sia soltanto esilarante pacchianaggine?).
   Se siete ancora scettici su ciò che vi sto dicendo, vi basterà dare un'occhiata, anche superficiale, alle fotografie dell'arlecchinesca (per non dir di peggio) parata che ha accolto Koons al suo arrivo a Firenze con, tanto per citare un esempio, majorette in parrucca blu nel Salone dei Cinquecento (eresia!!!); per usare le parole di Echaurren, un esempio perfetto della "sudditanza dei media e delle amministrazioni e dell'autocompiacimento dell'esibizione del valore inteso come prezzo", ovvero del piegarsi dell'arte al volere di mercato.

Il pubblico degli acquirenti è formato da capre (benedetto Sgarbi) che anelano a mettersi in casa un'opera che raffigura Koons e Cicciolina in piena baldoria?
   E allora questo occorre fornirgli, con tanto di firma del grande artista, spacciando porcherie per immense manifestazioni artistiche.
   Ma sapete cosa vi dico? Ce lo meritiamo, eccome.
Se una volta i committenti erano Lorenzo Il Magnifico e illuminati principi di corte, mentre oggi, tuttalpiù, sono magnati tanto pieni di soldi quanto di cattivo gusto, è giusto così.

E allora è qui che possiamo finalmente dare una ragion d'essere al nostro amico Koons, perfettamente inserito in questa grottesca giostra che è, sempre più spesso, il mondo dell'arte contemporanea, una bestia da palcoscenico, un perfetto esempio di cosa produce la società dei consumi, del degenero della cultura Pop, del mondo come grande operazione commerciale, orchestrata da pochi e seguita con zelante ignoranza dai molti.

martedì 20 ottobre 2015

#libri, #attualità: Erri De Luca, quando la libertà di parola vince sulla politica

"Questa classe politica verrà spazzata via, per raggiunti limiti di indegnità"
Parole sante, quelle di Erri De Luca, parole, queste, e molte altre, che gli sono costate la stima di milioni di italiani, ma (legge del contrappasso docet) anche le antipatie di una classe politica incapace, che teme la verità e l'onestà più della peste.


Quando ho appreso dell'assoluzione dello scrittore napoletano, accusato di istigazione a delinquere per le sue dichiarazioni pubbliche a sostegno del sabotaggio della Tav, ho provato un senso di sollievo, una piccola sensazione di vittoriosa rivalsa perché, almeno per una volta, la verità ha avuto la meglio sul marcio che ci circonda.
   Non voglio assolutamente entrare nel merito della bagarre Tav sì, Tav no anche perché, se devo esser sincera, fatico ad avere un'opinione precisa e sicura: troppe ombre, lo spauracchio del progresso e quello del bene della nostra terra, troppi chiaroscuri in una vicenda di cui noi comuni cittadini potremo conoscere neppure la metà dei fatti reali.

Tornando a De Luca, è stato assolto dal Tribunale di Torino perché il fatto non sussiste: è finito così uno dei processi più discussi degli ultimi anni, un processo alla libertà di parola e di espressione, non soltanto ad un singolo uomo, un processo che ha mobilitato intellettuali e politici, soprattutto francesi.
   Ecco appunto, soprattutto francesi; e i nostri?
Sopiti in una protettiva coltre di indifferenza e menefreghismo, o soltanto di pura convenienza?
   Per carità, in molti hanno firmato la petizione per l'innocenza di De Luca, ma si sono fatti notare maggiormente i grandi assenti, come spesso accade.

Dopo la sentenza, lo scrittore napoletano ha dichiarato:
"Non è una vittoria, è stata impedita una ingiustizia, quest'aula è un avamposto sul presente prossimo; adesso - ha aggiunto - andrò a Bussoleno in val Susa a un appuntamento che avevo già preso tempo fa con gli amici che attendevano la decisione del giudice".
E ha proseguito, incurante del rischio corso nel ribadire un'ideologia troppo scomoda:
"Sarei presente in quest'aula anche se non fossi io lo scrittore incriminato per istigazione. Aldilà del mio trascurabile caso personale, considero l'imputazione contestata un esperimento, il tentativo di mettere a tacere le parole contrarie. Confermo la mia convinzione che la linea sedicente ad Alta Velocità va intralciata, impedita e sabotata per legittima difesa del suolo, dell'aria e dell'acqua".
E ancora:
"Sabotare, verbo nobile e democratico pronunciato e praticato da Gandhi e Mandela con enormi risultati politici. Quello che oggi saboterei è la passività degli italiani: ci siamo abituati che la corruzione è un dato di fatto, che i giornali disinformano. Servono atti di resistenza, come quello che può fare uno scrittore a sostegno di popolazioni minacciate”. 
Un processo che è stato definito, dallo stesso incriminato, assolutamente "politico", perché politica era la volontà di repressione della parola.
   Una parola che, finalmente, ha riacquistato in parte la sua importanza, uscendo dal tribunale, andando tra la gente comune, scuotendo le coscienze.

Immediate le reazioni di politicanti e politichini di ogni sorta, inviperiti, che hanno apostrofato De Luca con parole pesanti, accuse infondate, istigazione alla violenza, ad atti vandalici, e chi più ne ha più ne metta.
   Idem molti giornalisti (o forse giornalai? La linea di confine è sottile...).

Ma suvvia, in un Paese dove il meno corrotto dei politici ha sulla testa, a mo' di spada di Damocle, imputazioni per associazione mafiosa, dove il mantenere decine e decine di escort con il denaro pubblico è sinonimo di virilità anche a 80 anni, dove alle donne, ancor oggi, è concesso di far carriera sotto a una scrivania piuttosto che dietro, dove si devastano città perché, in fondo, "un po' di bordello ci sta sempre", dove la Mafia non è più quella de "Il Padrino", ma ce la ritroviamo addosso da Bolzano a Siracusa, ci scandalizziamo e terrorizziamo perché uno scrittore (non un terrorista, UNO SCRITTORE, categoria piuttosto innocua, nel complesso, che dite?) si permette di esprimere la propria opinione, e lo trasciniamo in un'aula di tribunale per questo?
   Proprio in Italia, dove in galera non vanno nemmeno gli stupratori e gli assassini, dove il femminicidio è all'ordine dl giorno e nessuno fa niente?


   Se in questo Paese il problema più grande fosse Erri De Luca, saremmo certamente tra le nazioni più progredite, civili e illuminate al mondo, utopistica chimera, ahimé.

lunedì 19 ottobre 2015

#teatro: Le parole di Oriana, omaggio a Oriana Fallaci

“M'ero innamorata delle parole che uscivano come gocce, a una a una, poi restavano sul foglio bianco, a una a una, e ogni goccia diceva una cosa che detta a voce sarebbe volata, lì invece si condensava: buona o cattiva che fosse.” (Oriana Fallaci) 
E io mi sono innamorata di Oriana, di Maria Rosaria Omaggio, splendida interprete di quella che fu, ed è tutt'oggi, una grande donna, e ancora, mi sono innamorata del pianoforte suonato magistralmente da Cristina Pegoraro, dell'atmosfera unica che si è creata, venerdì sera, al Teatro Alessandrino, durante lo spettacolo, un vero e proprio one-woman-show, intitolato "Le parole di Oriana", dedicato alla professionista ma soprattutto alla donna Oriana.


Adolescente militante antifascista, prima inviata di guerra donna (in Vietnam), amica degli astronauti della Nasa, giornalista in grado di intervistare, con il solito cipiglio che la caratterizzerà per tutta la vita, i potenti della Terra, ma anche un animo sensibile, profondo, forte, solitario e malinconico.

Il toccante racconto della Omaggio, attrice di incredibile capacità, quanto è incredibile l'assoluta somiglianza con la vera Oriana, sia nei tratti somatici che, soprattutto, nella voce e nell'attitudine, ne ricostruisce il quadro completo e personale, e permette allo spettatore di conoscerla un po' più a fondo attraverso i suoi scritti, le lettere, gli articoli e, ovviamente, i suoi romanzi, definite "le sue creature", i figli che non ha potuto avere.

Oltre al talento, all'empatia creata sul palco, si percepisce chiaramente l'accurato e preciso lavoro di ricerca che sta dietro lo spettacolo, che possiamo apprezzare in maniera tangibile grazie al materiale multimediale, costituito da foto e video a cura di Carlo Fatigoni, proiettato su un grande schermo contemporaneamente alle parole della Omaggio e alle musiche della Pegoraro.

Maria Rosaria Omaggio ha saputo alternare con sapienza tratti di pura recitazione, con l'immancabile sigaretta in mano e il marcato accento toscano, con quella voce roca e profonda che fa vibrare le corde dell'anima, ad altri di lettura interpretativa, con brani tratti dalle maggiori opere di Oriana, da Un uomo a Penelope alla guerra, da La rabbia e l'orgoglio a Lettera a un bambino mai nato. 

Proprio sulle parole di quest'ultimo mi sono emozionata profondamente, perché un conto è leggere un libro, un altro è sentirlo rivivere attraverso una voce viva, vibrante, carica di emozione e pathos, mai eccessivo o esasperato.
   Analoga sensazione ho provato durante la proiezione delle immagini di quel maledetto 11 settembre, quando quei maledetti aerei si schiantarono contro le Twin Towers, penetrandovi come fossero di burro, mostrandone la fragilità, la caducità di migliaia di persone che, in un istante, hanno perso i propri sogni, le proprie ambizioni, la propria famiglia, la propria vita.

Un groppo in gola, uno schiaffo in pieno volto, Oriana ha raccontato tutto, di quel maledetto giorno, come soltanto lei avrebbe potuto fare. 

Ma è giusto e doveroso spendere qualche parola su colei che ha fatto rivivere la grande giornalista toscana, la già citata Maria Rosaria Omaggio, interprete di Oriana anche nel film Walesa- L’uomo della speranza, per il quale ha vinto il premio Pasinetti alla 70° Mostra del Cinema di Venezia, troppo spesso ricordata per le copertine sexy su Playboy e mai abbastanza per il suo innegabile talento, specialmente nelle sue performance teatrali.


A conclusione dello spettacolo l'entrata in scena di Daniela Di Pace, ultima segretaria della Fallaci che, oltre al dolore e all'amarezza, ha voluto ricordare, con immenso affetto e palese commozione, anche l'ironia che caratterizzava Oriana, una donna spiritosa, come abbiamo appreso dagli infiniti fax che inviava alla sua assistente, tutti conservati gelosamente dalla Di Pace, e dagli aneddoti esilaranti, come l’insofferenza di Oriana verso i computer e l'amore smodato e quasi maniacale per la mitica Lettera 32, la sua inseparabile macchina da scrivere.

“La vita ha 4 sensi: amare, soffrire, lottare e vincere. Chi ama soffre, chi soffre lotta, chi lotta vince. Ama molto, soffri poco, lotta tanto, vinci sempre. ” (Oriana Fallaci)

venerdì 16 ottobre 2015

#film: oggi, 92 anni dalla nascita della Walt Disney Company, un'inesauribile fabbrica di sogni

Oggi, 16 ottobre, è l'anniversario di una data che, per quelli della mia generazione (e non solo), ha segnato una vita intera, arricchendola di ricordi di un valore inestimabile: nel lontano 1923, e fa quasi effetto pensare che siano passati ben 92 anni, Walt e Roy Oliver Disney fondarono la Walt Disney Company, quella fucina di sogni che ha sfornato i cartoni animati più belli di sempre.



Io, come milioni di altri ex bambini, sono cresciuta sulle note di "Il mondo è mio", cantata da Jasmine e Aladdin stretti sul tappeto volante, con le immagini commoventi del Re Leone, con il sogno, un bel giorno, di potermi costruire una libreria come quella di Belle, o di avere il coraggio e la tenacia di Mulan e Pocahontas, guerriere splendide e indomite, o ancora, ebbene sì, di trovare un amore profondo come quello di Cenerentola e di Aurora.



Negli anni abbiamo assistito a numerosi cambiamenti, uno su tutti quello dal disegno a mano all'utilizzo sempre più massiccio della tecnologia, soprattutto dopo l'entrata in società con la Pixar, ma i veri cartoni animati, per me, restano sempre "quelli di una volta": sono un po' retrograda, lo ammetto, ma mi emoziona molto di più l'idea di un personaggio nato dalla penna di un disegnatore, piuttosto che di grafico davanti a un monitor, ho ancora una visione romantica di certe cose.



Oggi, a proposito di date, mi è venuta la curiosità di scoprire quanti anni sono passati dalla nascita dei più celebri classici d'animazione Disney, ed ecco i risultati delle mie ricerche:


  • Biancaneve e i sette nani (1937)
  • Pinocchio (1940)
  • Fantasia (1940)
  • Dumbo (1941)
  • Bambi (1942)
  • Saludos Amigos (1942) 
  • I tre caballeros (1944)
  • Musica, maestro! (1946)
  • Bongo e i tre avventurieri (1947)
  • Lo scrigno delle 7 perle (1948)
  • Le avventure di Ichabod e Mr. Toad (1949)
  • Cenerentola (1950)
  • Alice nel Paese delle Meraviglie (1951)
  • Le avventure di Peter Pan (1953)
  • Lilli e il vagabondo (1955)
  • La bella addormentata nel bosco (1959)
  • La carica dei 101 (1961)
  • La spada nella roccia (1963)
  • Il libro della giungla (1967)
  • Gli Aristogatti (1970)
  • Robin Hood (1973)
  • Le avventure di Winnie the Pooh (1977)
  • Le avventure di Bianca e Bernie (1977)
  • Red e Toby - Nemiciamici (1981)
  • Taron e la pentola magica (1985)
  • Basil l'investigatopo (1986)
  • Oliver & Company (1988)
  • La sirenetta (1989)
  • Bianca e Bernie nella terra dei canguri (1990)
  • La bella e la bestia (1991)
  • Aladdin (1992)
  • Il re leone (1994)
  • Pocahontas (1995)
  • Il gobbo di Notre Dame (1996)
  • Hercules (1997)
  • Mulan (1998)
  • Tarzan (1999)
  • Fantasia 2000 (1999)
  • Dinosauri (2000)
  • Le follie dell'imperatore (2000)
  • Atlantis - L'impero perduto (2001)
  • Lilo & Stitch (2002)
  • Il pianeta del tesoro (2002)
  • Koda, fratello orso (2003)
  • Mucche alla riscossa (2004)
  • Chicken Little - Amici per le penne (2005)
  • I Robinson - Una famiglia spaziale (2007)
  • Bolt - Un eroe a quattro zampe (2008)
  • La principessa e il ranocchio (2009)
  • Rapunzel - L'intreccio della torre (2010)
  • Winnie the Pooh - Nuove avventure nel Bosco dei 100 Acri (2011)
  • Ralph Spaccatutto (2012)
  • Frozen - Il regno di ghiaccio (2013)
  • Big Hero 6 (2014)
  • Zootropolis (2016)
Insomma, un curriculum di tutto rispetto, per la Disney che, negli anni, ha saputo regalare a grandi e piccini un successo dopo l'altro, facendo della tenerezza, dei sentimenti puri e dell'ironia i suoi punti di forza oltre, ovviamente, ad una capacità grafica e di segno impareggiabile. 

Ma basta fare la nostalgica, guardiamo al futuro con qualche succosa news: infatti, per quanto riguarda le anticipazioni delle prossime uscite in cantiere, Disney ha annunciato che, fino al 2017, vedremo sui grandi schermi di tutto il mondo: Il viaggio di Arlo (25 novembre), Il ponte delle spie di Steven Spielberg (17 dicembre), l’action movie The Finest Hours (29 gennaio 2016), Zootopia (4 marzo 2016), Alice attraverso lo specchio (4 maggio 2016), Alla ricerca di Dory, il seguito di Alla ricerca di Nemo (5 giugno 2016), l’altro film di Spielberg The Big Friendly Giant (primo luglio 2016), il remake di Elliott il drago invisibile (12 agosto 2016), Moana (23 novembre 2016), l’adattamento con attori in carne e ossa de La bella e la bestia (17 marzo 2017), la versione live action di Ghost in the Shell (14 aprile 2017) e il nuovo capitolo dei Pirati dei Caraibi (7 luglio 2017), oltre alla versione cinematografica del romanzo di Ernest Cline Ready Player One (7 agosto 2017).

Una lista di film decisamente ricca e interessante, alla quale possiamo aggiungere i titoli Star Wars e Marvel, anch'essi sotto l’egida Disney, oltre agli attesissimi:

  • Cars 3 (16 giugno, 2017)
  • Pixar’s Coco (22 novembre, 2017)
  • Live-Action Fairy Tale Project (22 dicembre, 2017)
  • Gigantic (9 marzo, 2018)
  • Toy Story 4 (15 giugno, 2018)
  • The Incredibles 2 (21 giugno, 2019)



Insomma, iniziate già da ora a risparmiare, che quelli per i film Disney sono sempre soldi spesi bene! ;) 


giovedì 15 ottobre 2015

#film: Il Grande Lebowski, un'icona cinematografica intramontabile


Qualche giorno fa mi sono finalmente decisa a guardare un film che avevo in lista da tempo immemore, Il Grande Lebowski, attratta dalla fama e dal successo di questa pellicola ma soprattutto del suo atipico protagonista, coinvolto in ogni genere di rocambolesche peripezie. 
   Cult dei fratelli Coen del lontano 1998, si basa essenzialmente sullo scanzonato ed estroso Jeffrey “Drugo” Lebowski, il tipico prototipo dell'antieroe, un uomo che deambula in vestaglia dismessa e mutandoni a quadri, un'icona cinematografica nonché vero e proprio idolo del cinema contemporaneo e di un’intera generazione, un hippie scazzato amante della easy life che, suo malgrado, verrà risvegliato dal suo torpore a causa di un gioco di equivoci davvero esilarante. 



Lontanamente ispirata al Grande Sonno di Chandler, è un’opera che racchiude in sé un esplosivo mix di generi diversi e grottesche situazioni, in una contaminazione che si divide tra noir, commedia e crime story, condita da una buona dose di cinismo e devastante realismo.

Jeff Bridges è assolutamente perfetto nel suo ruolo, un essere privo di qualsiasi tipo di ambizione o preoccupazione, disilluso nei confronti della miseria umana e consapevole della propria inutilità, ma ostinato a trascorrerla con rassegnazione tra uno spinello, un bicchiere di White Russian e una partita a Bowling.

Altro pilastro portante del film, un formidabile John Goodman, ossessionato dal ricordo dei “compagni morti con la faccia nel fango” in Vietnam, ex soldato instabile e autodistruttivo, e ancora il taciturno Donny (Steve Buscemi), di un'ingenuità disarmante. 
   Una vita tranquilla, insomma, ma il dolce far niente di Drugo (“The Dude” in lingua originale alludendo all’assoluta anonimia del personaggio) &Co verrà interrotto da una spirale di "violenza" (più o meno, più che altro di demenza) tra presunti falsi rapimenti, aggressioni e scambi di identità, una farsa borghese orchestrata da un ricco e costellata di incontri con grotteschi personaggi, tra cui la visionaria artista femminista interpretata da Julianne Moore, l’ispanico John Turturro in tutina rosa attillata e il magnate del mercato pornografico Jackie Treehorn.

Una realtà allucinata raccontata attraverso una visione psichedelica, priva di logica ma incredibilmente ironica e dissacrante, che ci pone di fronte ad un'amara e disincantata analisi critica della decadente società contemporanea, quell’America dove si “rispetta un regime di droghe pesanti per mantenere la mente flessibile”.




A chiudere il cerchio il bowling, uno sport che diventa metafora dell’esistenza umana che scorre come una palla in pista, senza sapere se il lancio sarà vincente o un fallimento assoluto, ma che val comunque la pena di provare. 
   Nel complesso, dialoghi coloriti e talvolta assurdi, sperimentazioni stilistiche che hanno fatto dei fratelli Coen un consolidato marchio di fabbrica, brillante sceneggiatura e una colonna sonora da paura, che va da Bob Dylan ad Elvis Costello
   Un film che o si ama o si odia, ma che comunque non lascia mai indifferenti al “modo attraverso il quale la dannata commedia umana si perpetua”.

mercoledì 14 ottobre 2015

#libri: Sopra ogni cosa - Don Andrea Gallo

"I miei vangeli sono cinque: Matteo, Marco, Luca, Giovanni e... Fabrizio. Oltre ai quattro testi "canonici", ho da sempre un quinto Vangelo, quello secondo De André. È la mia Buona Novella laica. Scandalizza i benpensanti, ma è l'eco delle parole dell'uomo di Nazareth che, ne sono certo, affascinò il mio amico Fabrizio."





“Sopra ogni cosa” è il frutto di quella che è stata definita, a ragione, “un'amicizia angelicamente anarchica”, un legame profondo che ha unito un parroco di strada, Don Andrea Gallo, a un profeta (e poeta) laico dei nostri giorni qual era Fabrizio De André, nato quando un giovane liceale dal temperamento ribelle affascinò un altrettanto ribelle insegnante di religione.

Il contesto, le vie del ghetto di Genova, i cosiddetti caruggi, un centro storico fatto di prostitute, spacciatori, tossicodipendenti, transessuali, poveri ed emarginati, ma anche di odori, colori, sensazioni e suggestioni che solo una città fatta di storia e cosmopolitismo può donare a chi è disposto ad ascoltarla.




Ad un primo sguardo, già il sottotitolo appare di per sé come una provocazione: “Il vangelo laico secondo De André nel testamento di un profeta”, una provocazione lanciata da un prete che ha fatto della strada la sua università e dell’accoglienza agli ultimi la sua missione, pestando i piedi ai benpensanti e alla frangia più statica e conformista della Chiesa stessa, pur obbedendo ai precetti cristiani, baluardo fondamentale insieme alla Costituzione.

Suddiviso in dodici capitoli, che si identificano con altrettante canzoni di De André, tra le più celebri e amate, nella sua ultima opera Don Gallo vuole rilanciare quei valori che sono stati per lui ancor più imprescindibili e intoccabili di quelli religiosi, una Buona Novella sacra e profana al contempo, un ideale condiviso alimentato da un vento libertario che non si è mai sopito.

Sermone decisamente sui generis, diario personale, sfogo e flusso di coscienza, e ancora testamento spirituale in piena regola, “Sopra ogni cosa” è tutto questo, sia dal punto di vista stilistico che semantico.
   Dalle pagine di questo volume traspare con chiarezza il fatto che Andrea Gallo non fosse uno scrittore professionista, diventa palese nello stile, mai ricercato e a tratti eccessivamente semplice e discorsivo, ma proprio per questo così puro e in grado di toccare le corde dell'anima del lettore, con passione, indignazione, compassione.

Nel complesso, un'opera che possiede quella bellezza che soltanto le cose imperfette hanno, ma d'altronde, dalla storia di un'amicizia simile, non poteva nascere nulla di diverso:
   “Caro Andrea, ti sono amico perché sei l'unico prete che non mi vuole mandare in paradiso per forza”, così Faber soleva apostrofare Don Gallo, riassumendo il significato di un libro curato fino alla morte dal proprio autore.

"Questo articolo è apparso il 12/10/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/recensione-sopra-ogni-cosa-don-andrea-gallo.html

lunedì 12 ottobre 2015

#libri: Coming soon...

Oggi niente articoli, ma solo un piccolo assaggio di quel che sarà: ecco il mio "bottino di guerra" dopo un pomeriggio trascorso a "Portici di carta", la manifestazione che trasforma i portici delle vie centrali della splendida città di Torino in un percorso fatto soltanto di libri, vecchi e nuovi, usati o freschi di stampa, per tutti i gusti, le tasche e le età:


Ecco alcune delle letture che mi (e vi) accompagneranno  nelle prossime settimane, di cui vi proporrò recensioni e letture approfondite. 
   Stay tuned! ;)  

venerdì 9 ottobre 2015

#viaggi: Egeria, ovvero l'archetipo della donna libera

Ieri vi ho parlato di una donna straordinaria, la scrittrice e giornalista inviata di guerra Oriana Fallaci, un esempio di coraggio, forza e caparbietà che suscita in me profonda stima e ammirazione.
   Oggi voglio proseguire su questo filone femminile raccontandovi di un'altra grande donna, vissuta nel quarto secolo dopo Cristo, un tempo così remoto che, soltanto a parlarne, facciamo già fatica a immaginarlo.

Questa è la storia di Egeria, uno spunto che mi ha fornito il noto gossipparo Alfonso Signorini in un suo editoriale, uno che, sotto l'apparenza frivola e leggera, ogni tanto qualche perla la tira fuori, pescando nella sua formazione accademica.

Si tratta della prima, vera femminista della storia: una viaggiatrice in solitaria, una donna appartenente all'antica nobiltà della Galizia, conservatrice regione della Spagna, una che avrebbe potuto trascorrere la sua beata esistenza tra balli, luculliani banchetti, feste sfrenate, divertimento e abiti lussuosi, il tutto contornato da un'adorante servitù.
   Sì, ma guardiamo anche il rovescio della medaglia: la corte impone una rigida etichetta, la libertà di una donna, all'epoca, era ancor più limitata che ai giorni nostri e, nel complesso, l'indipendenza era forse una parola sconosciuta nel vocabolario femminile, anche in quello di una nobile.

Fatto sta che, un bel giorno, la nostra Egeria decise di farsi preparare un cavallo e un mulo da uno stalliere e, armata soltanto di fede, coraggio e di un'insopprimibile voglia di libertà, partì alla volta della Terra Santa.
   Sola, completamente sola, attraverso la Spagna, la Francia, l'Italia, verso Costantinopoli e,infine, nella splendida Gerusalemme.
   Una piccola, grande donna, indifesa ma evidentemente non troppo, che è riuscita a fronteggiare briganti e malintenzionati, facile preda di uomini senza scrupoli che avrebbero potuto mangiarsela in un sol boccone.

Ma lei ce l'ha fatta: ha raggiunto la sua meta, e ci ha lasciato un diario (che DEVO avere nella mia libreria personale, ormai è diventata una mission) dove racconta le sue avventure, le sue esperienze, gli usi e costumi con i quali è entrata in contatto, le popolazioni incontrate, una versione rosa (anche se non amo molto questo termine) del Milione di Marco Polo.

Ho anche visto una sua raffigurazione: occhi profondi, scuri, malinconici. Occhiaie ben marcate. Un naso lungo, capelli riuniti quasi a crocchia, un giro di collana di pietre verdi attorno al collo. Bellissima.



Egeria ha compiuto un viaggio, un percorso che è durato ben tre anni, altro che Pechino Express. Per carità, lo guardo e mi piace anche, ma viaggiare con tanto di troupe e telecamere annesse 24h non fa testo, siamo capaci tutti, Barale e Yari Carrisi compresi.



Oltre all'indubbio coraggio, Egeria possiede anche il ritmo del narratore essenziale, compie un viaggio straordinario e lo descrive con efficacia minimalista:

"Arrivammo ad un luogo dove i monti, attraverso i quali stavamo andando, si aprivano e formavano una valle immensa che si estendeva a perdita d’occhio, tutta pianeggiante e molto bella, e oltre la valle appariva la santa montagna di Dio: il Sinai".

Una donna moderna nei tempi più arcaici del Cristianesimo, proprio in quegli stessi anni in cui dottori come Gregorio di Nissa, teologo e vescovo greco, sconsigliavano i pellegrinaggi perché "ponevano a repentaglio la purità", soprattutto (avevamo dei dubbi in proposito?) delle donne.

Ma Egeria non vi ha dato ascolto: una donna che è un esempio per tutti noi, così contemporanea proprio perché ha viaggiato per il piacere di viaggiare, per il gusto della curiosità, per il bisogno della scoperta.
   Chapeau, splendida Egeria, ce ne fossero di donne come te.

giovedì 8 ottobre 2015

#libri: Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato

A volte mi guardo intorno e vedo mie coetanee con prole annessa, ragazze anche più giovani di me che, non appena vedono un bimbo piccolo, vanno letteralmente in brodo di giuggiole; io stessa vengo da una famiglia piuttosto numerosa (tre figli, al giorno d'oggi, non sono pochi).. eppure, ad oggi, io non ho mai sentito il desiderio concreto di avere figli, non avverto, al momento, questo bisogno, né ora, né nell'immediato futuro. Non so se lo avvertirò mai.

E mi sono sempre chiesta: ma la maternità è una scelta o, anche se siamo ormai nel XXI secolo, un dovere? Nel 2015, se una donna decide di non avere figli, è considerata una "diversa"? 
   Normalmente, quando si vede una coppia non giovanissima senza figli, viene subito da pensare che uno dei due partner sia sterile, e mai che possa essere una scelta di vita condivisa e, soprattutto, condivisibile. 
   Attenzione, il mio non è certo un intervento a favore della "non-maternità", niente affatto. 
Ma soltanto un dubbio che ho sempre nutrito dentro di me, come quello sulla fede (ma questa è un'altra storia). 


Giusto un paio di giorni fa ho finalmente trovato un parallelo con i miei quesiti esistenziali nell'ultimo libro che ho letto, "Lettera a un bambino mai nato", di Oriana Fallaci.
   Una figura femminile che mi ha sempre affascinata ma che, non so nemmeno io per quale motivo, non ho mai avuto modo di approfondire. 
Una donna della quale mi sono "innamorata" all'istante, una donna decisa, che non ha mai avuto timore di dire la propria, un modello femminile forte e contraddittorio al tempo stesso, fragile e intensa, come tutte noi, del resto. 
   "Lettera a un bambino mai nato" è stato scritto nel 1975, un periodo storico difficile, dove la rivoluzione sessantottina  aveva già lasciato i segni del suo passaggio, ma l'emancipazione femminile era ancora lontana (e anche oggi non siamo certo molto più avanti), e per questo assume una connotazione ancor più straordinaria, una modernità sconcertante.

"Temo che dovrai abituarti a simili cose. Nel mondo in cui ti accingi ad entrare, e malgrado i discorsi sui tempi che mutano, una donna che aspetta un figlio senza essere sposata è vista il più delle volte come una irresponsabile. Nel migliore dei casi, come una stravagante, una provocatrice. O un'eroina. Mai una mamma uguale alle altre."

A quante donne, di fronte a una gravidanza fuori dal matrimonio, da affrontare completamente sole, sarà venuto il dubbio, quel terribile dubbio, di portarla a termine o meno? A tutte, o quasi, credo, ma in poche hanno avuto il coraggio di ammetterlo, oppresse da una società che giudica, si erge a paladina di diritti esistenti soltanto sulla carta. 
   "Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel Tempio, si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio", cantava il buon Faber. Parole sante, 

Leggendo questo monologo interiore, questa sorta di flusso di coscienza senza filtri e senza tabù, ho provato una gamma di emozioni veramente infinita: la sorpresa di fronte all'annuncio di una gravidanza inaspettata, la difficoltà di prendere la decisione più importante della propria vita, l'ammirazione per il coraggio e la forza che soltanto una donna può avere, l'emozione del racconto, della sensazione di una vita che cresce in un ventre materno, narrata con assoluta semplicità e concretezza, "il patire" dei dettagli fisici e fisiologici di una gravidanza difficile, il dolore della perdita, che vena tutto il racconto, come si preannuncia già dal titolo. 
   Un bambino mai nato, morto ancor prima di nascere, tenuto ostinatamente in grembo da una donna che, a costo di affrontare il rischio della setticemia, non riesce a staccarsi da quella creatura così poco cercata ma altrettanto desiderata. 

Oriana, in questo doloroso racconto a tratti autobiografico, ci mostra come la maternità non sia un dovere ma una scelta, non ne esclude la bellezza, anzi la esalta, ma a modo suo: un modo brusco, quasi a non voler ammettere la gioia, e i momenti di debolezza. 
   Perché troppo spesso alle donne non è concesso di essere se stesse fino in fondo, per la serie "L'avete voluta l'emancipazione? E ora arrangiatevi", quindi dobbiamo diventare delle Wonder Woman del mondo reale, mostrarci dure quanto gli uomini, indipendenti, inossidabili. 
   A noi è richiesto il doppio della fatica, per legittimare la nostra presenza nel mondo del lavoro, nella vita sociale, anche nelle più piccole facezie quotidiane. 
   Ma per che cosa poi? Cosa dobbiamo dimostrare, e a chi soprattutto? 

La Fallaci ha avuto il grande merito di porre l'accento su queste tematiche ancora fortemente attuali, di sottolineare come l'idea di un mondo giusto ed equo sia ancora così lontana: "Ma è proprio il caso che tu esca dal tuo nido di pace per venire quaggiù?", chiede alla sua creatura in fieri, instillando il dubbio anche in una giovane e prematura vita, trasmettendo le sue ansie, che sono poi quelle di intere generazioni. 

Un inno al pessimismo? No, un inno alla vita, un inno alla morte, un inno all'amore, parola tanto odiata dall'autrice quanto teneramente sottintesa e cercata in maniera spasmodica per tutta la vita. 

"L'amo con passione la vita, mi spiego? Sono troppo convinta che la vita sia bella anche quando è brutta, che nascere sia il miracolo dei miracoli, vivere: il regalo dei regali. Anche se si tratta d'un regalo molto complicato, molto faticoso, a volte doloroso."

Mi sono ritrovata con gli occhi lucidi alla fine di questo libro, per la veridicità di ciò che contiene, e per il modo schietto con il quale ce lo racconta. 




La mancata connotazione della protagonista principale risulta fondamentale: ci permette di identificarci con quella donna e le sue difficoltà, diventiamo tutte quella donna, metafora del mondo femminile, metafora universale. 

Qualcuno l'ha definita un'opera femminista; non saprei. Se esprimere il dramma delle donne di oggi e di ieri di fonte alla propria vita, ai rapporti con l'uomo, con il proprio corpo e la propria coscienza e volontà, allora sì, siamo tutte femministe,  
   Ma non di quelle che bruciavano i reggiseni in piazza, per carità: ma di quelle che hanno lottato, e lottano, per la propria vita e i propri diritti, osteggiate all'inverosimile e per questo ancor più forti. 

"Lettera a un bambino mai nato" è un'opera letteraria di inestimabile valore, mi disgusta chi vuole ridurla semplicemente a uno scritto pro o contro l'aborto.
   È incredibilmente semplice, eppure così rivoluzionaria, questa visione sulla gravidanza, ma soprattutto sulla nuova vita che essa porta con sé: ogni nuova creatura appartiene soltanto a se stessa, non alla madre, né al padre, né alla società che la accoglierà. 
   Il compito della madre (non il dovere, che è diverso) è quello di donare la vita ma soprattutto la libertà al proprio figlio, la madre diventa così una portatrice sana di vita, di speranza, di coraggio, di dolore e di verità, che sono poi gli elementi essenziali che costituiscono l'essere umano.

... In fondo, io non so se avrò figli, o meno: so soltanto che sarà una mia scelta, libera, consapevole, istintiva o ponderata che sia. 

mercoledì 7 ottobre 2015

#arte: Francesco Casorati, Invenzioni di segno e immagine

Se avete occasione di recarvi in Alessandria, prossimamente, allora non potete proprio perdervi una capatina presso il suggestivo Palazzo Cuttica, in via Parma 1, nel cuore del centro storico alessandrino, sede di un'interessante mostra dedicata a Francesco Casorati, figlio del celeberrimo Felice, intitolata "Invenzioni di segno e immagine" (aperta fino al 31 gennaio 2016, sabato/domenica/lunedì dalle ore 15.30 alle ore 19.30). 




Una mostra proposta dal Gabinetto delle Stampe Antiche e Moderne del Museo Civico di Alessandria, incentrata su un periodo storico preciso, quello che va dal 1952 al 1963, un decennio particolarmente intenso per la produzione dell'artista torinese. 
   All'interno dell'esposizione troverete una ricca produzione calcografica, tre dipinti su tela e quindici litografie, tre partizioni ben integrate tra loro curate da Paola Gastaldi, una dimostrazione della continuità e, allo stesso tempo tempo, della varietà espressiva di Casorati.
   Un forte sperimentazione grafica, visibile anche nelle due rarissime gipsografie (incisioni su lastre in gesso con stampa in piano), "Leggenda" (1952) e "Paesaggio animato" (1958), insieme alle rispettive matrici. 

Tra i temi prediletti, Battaglie, Barconi, Officine, Teatrini, e l'onirica "Caccia alla Luna", scene fantastiche di un immaginario affascinante, un aspetto ludico che si carica di suggestione, un universo dal tratto deciso, alternato a tocchi di leggerezza unica, per un artista che, come da lui stesso dichiarato in più di un'occasione, si è sempre ispirato ai quadri di Paul Klee, grande (re)inventore di immagini archetipiche e mitiche. 

Delle architetture che, specialmente nell'opera "Costruzione fantastica" (1953), mi hanno ricordato le vertiginose geometrie di Escher, una sovrapposizione di piani assolutamente arbitraria e originale mentre, in opere quali la già citata "Caccia alla Luna" (1960), "Paesaggio animato" (1962), "Fiume" (1962) e addirittura "Natura morta su cassettone" (1962), si scorgono suggestioni quasi metafisiche, dove il tema ricorrente della Luna che si specchia sull'acqua, o su un paesaggio naturale ma dagli accenti inverosimili, fa da filo conduttore ad una narrazione di forte impatto emotivo. 




Insomma, un piccolo gioiello che val la pena di visitare, e mi raccomando, non perdetevi anche una visita all'interno del Museo Civico stesso, che contiene numerose testimonianze del passaggio napoleonico sul suolo alessandrino e del periodo risorgimentale, ma anche reperti di età romana provenienti dall'antica Derthona (oggi Tortona), con una selezione di epoca paleocristiana in ottimo stato di conservazione. 

martedì 6 ottobre 2015

#Expo: appunti di viaggio di una scettica cronica...


Ebbene sì, dopo mille indecisioni, tentennamenti, difficoltà di organizzazione e dubbi amletici, anch'io sono approdata ad Expo Milano 2015.
   Devo dire che, fin dal principio, ho nutrito qualche dubbio sul fatto di recarmici o meno, forse influenzata dalle continue polemiche e dagli scandali avvenuti durante le fasi di allestimento, che mi hanno profondamente nauseata.
   L'occasione per riemergere dalle nebbie di degrado e ignoranza che avvolgono il nostro Paese, sprecata e insozzata dalla corruzione di chi aveva come unico compito quello di mostrare al mondo la bellezza della propria terra, peraltro dietro un già lauto pagamento.


Vabbé, polemiche a parte, ho deciso comunque di affrontare l'epica impresa in compagnia di un gruppo di miei prodi: fidanzato e tre carissimi amici, tutti armati di pazienza ed entusiasmo q.b.

   Partendo da Serravalle Scrivia in auto, parcheggiando a Famagosta, cambiando due metro, per un totale di un paio d'ore circa, devo dire che, della dose di pazienza iniziale, un quarto se n'era già andato, ma ho un carattere pessimo, non fateci caso.

Arrivata al mezzanino della metro di Rho, capatina al centro accrediti stampa, dove uno scazzatissimo impiegato mi scatta una (orribile) foto a tradimento e mi prepara un tesserino delle dimensioni di una pizza quattro stagioni: comodo, quando al collo hai già sciarpa e reflex da un paio di chili, e rischi il soffocamento da un momento all'altro. Ma anche questo ci sta, non facciamoci scoraggiare.



Proseguiamo ulteriormente e arriviamo alla coda per entrare, chilometrica ma sopportabile, d'altronde la giornata deve ancora iniziare; a proposito, anche il tempo ce l'ha messa tutta per infastidire la nostra giovane combriccola di turisti d'assalto, con freddo polare per i primi di ottobre, pioggerellina e un leggero vento, molto british ma soprattutto veramente piacevole, come piacevole è stata soprattutto l'ebbrezza del rischio di farsi cavare gli occhi dai distratti vicini di ombrello.

Una volta passati ai metal detector (stranamente non ho fatto suonare nulla), si entra finalmente all'interno di Expo: da lì, il caos.
   Gente a destra, a sinistra, ovunque, e io odio i posti troppo affollati. Dopo 30 secondi mi viene già voglia di fare dietrofront e tornarmene nel mio eremo piemontese.
   Ma no, è proprio quando il gioco si fa duro che i duri iniziano a giocare.
Allora prendiamo una decisione importante, all'unisono: visto che non ce la possiamo fare a sopportare snervanti code già al mattino, appena entrati, perché non girare tutti quei padiglioni che si ergono in mezzo all'oblio collettivo, delle (piccole, e un po' sfigatine) cattedrali nel deserto?

Abbiamo così visitato tutti i cluster della sezione Bio Mediterraneo (Egitto, Libano, Grecia, Serbia, Tunisia, Montenegro, Albania, Algeria, Malta e, ditemi voi cosa c'entra, San Marino), luoghi che esercitano su di  me un fascino ancestrale, ma che mi hanno dato un'impressione di desolazione cocente: banchetti in stile fiera con tanto di venditore insistente annesso, cammello in pura plastica all'interno, pseudo sarcofagi egiziani, la fiera del kitsch.

Almeno affoghiamo la delusione nel cibo: cucina libanese, buona, per carità, peccato che io non digerisca il prezzemolo crudo, e che non ami la menta, ma la prossima volta mi documento meglio sull'arte culinaria libanese, mea culpa.
   A donarmi nuovamente il sorriso ci pensa comunque una degustazione gratuita di pasta alla norma siciliana. Dio benedica la Sicilia.

Dopo i quattro gatti in croce incontrati presso questi piccoli padiglioni, ci immergiamo nel caos dei padiglioni maggiori, e devo dire che qui i miei ricordi diventano più fumosi, nonostante siano passati soltanto 4 giorni: la confusione era tale da farmi andare completamente in tilt, code assurde, gente ferma nello stesso punto da almeno 5/6 ore, roba che mi avrebbero portato via con la camicia di forza dopo molto meno, altrettanta gente totalmente spaesata, occhi vacui, stormi di esaltati con tanto di passaporto per collezionare più timbri possibili, vecchietti da sfondamento che ti fanno entrate di cattiveria che manco Super Mario Balotelli nei suoi momenti migliori.

In questo caos primigenio, riusciamo a visitare, vantando massimo un'oretta di coda, ben 9 padiglioni, ovvero Cile, Romania, Polonia, Mauritania, Maldive, Brasile, Sultanato del Brunei (??), Nepal, Corea. Questo, in gruppo (e sicuramente avrò dimenticato qualcosa).
   Io, in solitaria grazie al mio pass da giornalista che mi ha permesso di saltare alcune code, sono riuscita ad entrare anche nei padiglioni di Austria, Emirati Arabi Uniti e Azerbaigian.

La mia impressione generale? Tutto bello e ben curato, nulla da dire, ma un generale senso di freddezza, di incessante consumismo, e la presenza troppo invadente e costante della tecnologia, in un contesto dove avrebbero dovuto abbondare, invece, le sensazioni a pelle, i profumi, i colori dei vari Paesi.
   Mi aspettavo di trovare tavole imbandite secondo gli usi di luoghi lontani e a me sconosciuti, invece ho visto perlopiù monitor con immagini di appetitose cibarie, led, pixel, marchingegni touch di ogni sorta.
   Sarò all'antica, sarò retrograda, ma a me, le cose, piace toccarle sul serio, non scorrere un ditino su uno schermo dove mi si mostra ogni ben di Dio ma, quando poi mi viene voglia di assaggiare qualcosa, mi tocca andare in un ristorantino gourmet che costa anche un occhio dalla testa.
   Non ci siamo proprio.

Stesso discorso per il padiglione Zero: interessante, bellissimo l'allestimento della parte iniziale, con i suggestivi cassettini della memoria collettiva, improbabile il resto, tutto plastici e animali finti (ma allora è una mania?!).


Dopo l'estenuante girovagare tra i padiglioni, ci siamo buttati sulla mostra curata da Vittorio Sgarbi, "Il tesoro d'Italia": un'oasi di tranquillità in mezzo allo schiamazzo generale.
   Bellissime le opere, di artisti meno conosciuti ma anche di mostri sacri della nostra meravigliosa storia dell'arte, tra cui Tiziano, Mantegna, Ligabue e moltissimi altri, pessimo l'allestimento.
  Lo dico, a costo di beccarmi una miriade di "capra, capra" urlati con schiumante violenza dal Vittorio nazionale.
   Non mi capacito di come un esperto di tale levatura abbia potuto sistemare le opere in maniera tanto sbagliata, alcune, di grandissimo pregio, in zone d'ombra pressoché assoluta, altre con faretti puntati senza pietà, con riflessi che hanno reso alcuni tra i dipinti più belli praticamente impossibili da osservare con l'attenzione che meritano.
   E il criterio? Non cronologico, né regionale, forse, come direbbero i cugini genovesi, il famoso sistema "alla belin di cane"? Sempre infallibile, non c'è che dire.

Per concludere il nostro viaggio, siamo approdati allo momento clou della giornata, il bellissimo Albero della Vita: di grande effetto, per carità, ma non avete visto i miei addobbi natalizi, che riuscirebbero ad oscurare anche l'albero di Central Park a New York. Quindi per impressionarmi ci voleva ben altro.


Tirando le somme su questa Expo, non dico di non essermi divertita, ho visto sicuramente cose belle, assaggiato cibi gustosi e inusuali, trascorso una giornata diversa dal solito, interessante, insomma ne è valsa tutto sommato la pena.
   Tuttavia mi aspettavo non di più, ma qualcosa di diverso, di più genuino: più autenticità, meno tecnologia, o perlomeno ben dosata, più amore per le cose semplici, che alla fine sono sempre le migliori.
   Non mi sono sentita davvero trasportata in nessuno dei luoghi rappresentati nei padiglioni che ho visitato, non ho avuto la sensazione di compiere un viaggio attraverso il mondo semplicemente passeggiando lungo il decumano, mi è mancata l'emozione. E se manca quella, manca tutto.