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lunedì 30 gennaio 2017

#cinema: È la stampa, bellezza, la stampa... e tu non ci puoi far niente!

Oggi, più che un semplice articolo "a tema libero", voglio proporvi una vera e propria "mini apologia di genere". Di quale categoria si tratta?
   Già dal titolo dovreste chiaramente comprenderlo, il nostro Humprey Bogart non ce le manda certo a dire nell'ultima, celeberrima battuta de L'ultima minaccia: stiamo parlando di quella più odiata, bistrattata e criticata di sempre, i giornalisti, of course.

Ci odiano quando scriviamo di cose serie perché "basta fare gli sciacalli sulle disgrazie altrui", ci odiano quando scriviamo di amenità perché dovremmo pensare alle cose serie, ci odiano quando scriviamo di politica perché tanto "siamo tutti corrotti", e allora di cosa dovremmo ben scrivere, gioie belle, del fatto che non esistono più le mezze stagioni e che una volta i treni arrivavano in orario (senza gridare al "gomblotto" contro Trenitalia, che non sia mai!)?!

Che molti cronisti d'assalto si facciano pochi scrupoli morali e deontologici siamo d'accordo tuttavia, nonostante le critiche e gli accidenti vari, il cinema ci viene in soccorso: infatti il grande schermo, specialmente a stelle e strisce, ha più volte sottolineato l'importanza di questa professione, proponendo pellicole che narrano inchieste su temi scottanti, magistralmente condotte nel loro intento di denuncia sociale (e non solo).

E allora, se volete scoprire questa top 5 tanto apologetica quanto affascinante, vi basta un click qui ;)


venerdì 27 gennaio 2017

#libri: I giorni dell'abbandono, Elena Ferrante





Una donna, un uomo, un amore, la fine di una storia, questi i protagonisti del romanzo “I giorni dell’abbandono”, opera intensa della misteriosa scrittrice Elena Ferrante, la partenopea di cui nulla si sa se non il nome.

Tutta la vicenda ruota attorno a Olga, una donna appagata, madre di due figli che ama, detentrice di una vita serena, una donna "normale" che viene improvvisamente catapultata in un incubo.
   Mario, suo marito, quell'uomo tanto amato e desiderato, senza dare nessun segnale di preavviso, la lascia, vittima di un “vuoto di senso” che non riesce a colmare.





Già, peccato che il “vuoto di senso” si identifichi in Carla, una ragazza di vent'anni appena che gli ha fatto completamente perdere la testa, una relazione che cresce per ben cinque anni all'insaputa di Olga che, fragile, ferita, incerta, decide inizialmente di credere fermamente alle parole del marito, fidandosi di lui, rivivendo la sua storia d'amore, giustificando il suo uomo, cercando di comprendere, mentre sullo sfondo tutta la sua esistenza sta andando a scatafascio: le notti diventano troppo fredde, sole, i gesti perdono il loro significato, i figli diventano un'appendice fastidiosa, la vita stessa inizia a pesare.

Giorno dopo giorno Olga sfiorisce, perde il suo fascino, l’eleganza, la sicurezza ma soprattutto il controllo su se stessa e sugli altri, nel momento in cui si accorge che gli sguardi degli amici diventano di compatimento, diventando così una donna eccessiva, violenta e sfrontata, usando un linguaggio sboccato che non le appartiene, solo per non farsi vedere disperata, devastata e sofferente.

L'abisso nel quale precipita Olga sembra senza fine, il dolore diventa rassegnazione, la disperazione le fa perdere lucidità, giorno e notte, buio e luce, sonno e veglia si mescolano in una realtà allucinata e frustrante. 
   Ma, una volta toccato il fondo, non si può far altro che risalire: e allora, tra i cocci di un'esistenza spezzata, Olga troverà dentro di sé la forza di continuare a vivere, pian piano, un passo alla volta, un'emozione alla volta.

I giorni dell’abbandono” è un romanzo che racconta dell’intimità di una donna segnata nel profondo, del coraggio di ricostruirsi una vita per sé e per i propri figli, della volontà di rimettersi in gioco, con uno stile narrativo forte, violento, impetuoso, che non lesina espressioni colorite, in grado di trasportare il lettore direttamente all'interno del romanzo, di suscitare emozioni forti: dolore, disgusto, sofferenza, ma anche caparbietà e uno spiraglio, fortissimo, di speranza.

venerdì 20 gennaio 2017

#libri: Augustus Carp. L'autobiografia di un vero galantuomo, Henry H. Bashford



Augustus Carp è ciò che di più che lontano si possa immaginare dalla figura di un eroe letterario: pedante fino alla nausea, linguaggio affettato, fanatico religioso q.b., ipocrita all'inverosimile, senza speranza di redenzione, né di diventare, perlomeno, un po' più simpatico al lettore.
   Sì, perché Augustus Carp, protagonista dell'omonimo romanzo dal sottotitolo decisamente eloquente, "L'autobiografia di un vero galantuomo", è un personaggio volutamente odioso, la personificazione del tipico borghese di età vittoriana, un signorotto borioso la cui unica mission nella vita, oltre quella nondimeno ambiziosa di arricchirsi e combinare un matrimonio vantaggioso, è di redimere e soffocare qualsiasi condotta considerata voluttuosa o eccessivamente peccaminosa.



E allora eccolo, uomo viscido e meschino, vendicativo e ottuso, ma furbo abbastanza per sfruttare a suo favore le casualità della sua esistenza, vediamo il nostro Augustus iscritto alle più svariate associazioni cristiane, impegnato fermamente nella lotta all'abuso di alcol, fumo, alle rappresentazioni teatrali e di danza (pericolose e fuorvianti...), pronto a fare le scarpe al prossimo pur di avanzare nella gerarchia dei "fedeli servitori di Dio onnipotente", rendendosi odioso al 99% periodico della popolazione londinese.

La cosa che più colpisce di questo volume, oltre all'ironia che permea per intero la narrazione, è il suo autore: Henry H. Bashford.
   Simpatico umorista britannico? Consumato scrittore di satira pungente?
No, un Sir, illustre medico e studioso, Medico Onorario di Re Giorgio VI, autore di numerosi articoli di carattere scientifico e opere di fiction e non-fiction, insomma, un uomo di scienza che, nel tempo libero, si è dilettato nella stesura di questo romanzo, datato 1924, che venne inizialmente pubblicato come opera anonima, per essere poi definito da Anthony Burgess "Uno dei più grandi romanzi comici del XX secolo".

Nel complesso, un gioiello di ironia letteraria, un vero libro comico, una cosa rarissima in effetti, ed estremamente moderna, specialmente se pensiamo che è stato scritto quasi cent'anni fa; una satira pungente (che batte 10 a 0 anche quella odierna, che il coraggio troppo spesso se lo dimentica a casa...), un gioiellino letterario per palati raffinati, un piccolo cult da riscoprire senza esitazione.

lunedì 16 gennaio 2017

#libri: L'uomo che metteva in ordine il mondo, Fredrik Backman






Ove ha 59 anni, guida soltanto automobili a marchio Saab, olia i ripiani della cucina a cadenza regolare e ama le regole. Insomma, una vita semplice, la vita di un uomo che ha sempre lavorato, pagato le tasse, che si è sempre comportato bene insomma, un uomo di poche parole ma di sani principi.
   Un uomo che, per tutta la durata del libro, vuole esclusivamente, fortemente, assolutamente, suicidarsi.

 




Sì, perché Ove è anche un uomo depresso, frustrato da un passato doloroso, profondamente ferito dall'enorme vuoto lasciato dalla scomparsa dell'amata moglie, Sonja, che un tumore gli ha strappato dalle mani, ferite che l'hanno trasformato in un rompiscatole cronico, ossessivo - compulsivo, uno sceriffo autoproclamato che ha come unico obiettivo punire anche la minima trasgressione alle norme da parte dei suoi vicini di casa, l'unico modo che ha per portare un po' d'ordine nella sua vita ridotta in tanti, piccoli pezzi.

Insomma, un personaggio forte e ben tratteggiato, quello protagonista de “L’uomo che metteva in ordine il mondo”, una storia nata sul blog di Fredrik Backman, giornalista svedese, e divenuta immediatamente un microcosmo abitato da personaggi insoliti, caratteristici, indimenticabili.
   Si tratta di una vera e propria fiaba contemporanea, dolceamara, inizialmente deprimente, ossessiva, che ben esprime il disagio di alcune dinamiche della nostra società, ma che poi spicca il volo, anche grazie all'entrata in scena di nuovi personaggi, ciascuno dalla precisa e magistrale caratterizzazione: Parvaneh, giovane mamma iraniana, in dolce attesa, nonché moglie dell'”Imbranato”, esilarante e impacciato tecnico informatico; Jim, ventenne omosessuale sempre in lotta con la bilancia; Rune e Anita, gli anziani vicini di Ove, e un'infinita galleria colorata, pittoresca, che risulterebbe assolutamente perfetta per una trasposizione cinematografica.

Il pregio più grande di questo volumetto è senz'altro l'empatia che suscita nel lettore, ottenuta tramite uno stile semplice, colloquiale, profondamente ironico, tipico del filone tragicomico della letteratura scandinava (Arto Paasilinna e Jonas Jonasson insegnano) che sta affermando il proprio impatto sulla narrativa mondiale in maniera sempre più potente.

Nel complesso, un volume consigliato a chi vuol conoscere una storia d’amore indistruttibile, a chi ha un amico da una vita con cui litiga un giorno sì e l'altro anche, a chi possiede un “anormale” concetto di “normalità”, a chi ha voglia di ridere e contemporaneamente piangere ad ogni pagina voltata, a chi adora le storie di rinascita senza ipocrisie e inutili colate di melassa, a chi ha voglia di emozionarsi, punto e basta.

"Questo articolo è apparso sulla rivista Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/luomo-che-metteva-in-ordine-il-mondo-fredrik-backman.html

sabato 14 gennaio 2017

#RecensioniperEsordienti: Sensibilità, Roberto Di Molfetta

Ecco con un nuovo appuntamento dedicato agli scrittori esordienti, nato in collaborazione con il sito http://www.recensioniperesordienti.it/ per proporvi recensioni, focus e interviste agli autori che si affacciano per la prima volta nel variegato mondo letterario che noi lettori famelici tanto amiamo.

Per chi di voi ancora non lo conoscesse, provvedete subito, mi raccomando: RecensioniPerEsordienti.it è un portale online nato dalla passione di un gruppo di ragazzi per la lettura, la scrittura e la narrativa, un team che ha tanta voglia di mettersi in gioco e diffondere la cultura nel web, un team ben consolidato di cui faccio parte anch'io, con grande piacere.

E allora proseguiamo la nostra avventurosa partnership con la recensione di un giovane autore che promette decisamente bene: quest'oggi parliamo di "Sensibilità", di Roberto Di Molfetta. 

Buona lettura!


Come si guarisce da un “eccesso di sensibilità”? Ma soprattutto, è veramente il caso di “guarire” da una simile caratteristica dell’animo umano? 
   Assolutamente no, parola di Roberto Di Molfetta che, nel suo saggio intitolato appunto Sensibilità, ci conduce per mano alla scoperta di una vera e propria apologia di genere, estremamente emozionante.

Nella stesura del suo libello, l’autore chiarifica immediatamente il concetto classico di sensibilità, distinguendo fra una sensibilità attiva (sinonimo di “cura”, intensa e partecipata attenzione per le cose del mondo) e una passiva (che diventa permeabilità – e fragilità – rispetto a ogni tipologia di emozione, positiva o negativa che sia), proponendo riflessioni al lettore tratte dal proprio vissuto ma anche da frammenti ricavati dagli scritti di grandi pensatori (da Jung a Baudelaire, da Leopardi a D’Annunzio, Osho e Shopenhauer).

Proprio perché così profonda e personale, la categorizzazione di quest’opera diventa impresa particolarmente ardua: saggio, per la serietà con la quale viene affrontato l’argomento, ma anche diario intimo, segnato da esperienze personali indelebili, e ancora opera di ricerca filosofica, per le grandi domande sottese fin dall’inizio, e raccolta di aforismi, sempre fedeli al tema comune. 

Un affresco policromatico, dove i colori sono dati dalle emozioni e dal sentire umano, empatico, capace di coinvolgere il lettore e catturarlo con sapienza, fornendo numerosi spunti di riflessione e una sorta di “conforto” a chi, in un mondo dominato principalmente dalla legge del più forte, dalla prepotenza, dall’arroganza, crede ancora nel potere taumaturgico dell’amore, la massima espressione dell’essere umano, della speranza, della musica, forma d’arte di sublime bellezza e, più in generale, dell’umanità. 

lunedì 9 gennaio 2017

#serieTv: La mafia uccide solo d'estate

“La sagra dei buoni sentimenti“. “Una serie infarcita di archetipi e stereotipi, ma d’altronde dalla Rai cosa potevamo aspettarci?!” “Ma la mafia non è questo, Pif è troppo sentimentale“.

In questi giorni di vaccate su La mafia uccide solo d’estateLa serie, ne ho sentite davvero di tutti i colori. Ma sapete cosa vi dico? Che a me questa serie piace un sacco.
   Sì, mi piace perché Pif sa raccontare la malavita palermitana con toni leggeri ma mai superficiali, mi piace perché quella interpretata da Claudio Gioè, Anna Foglietta, Angela Curri ed Eduardo Buscetta è una famiglia tradizionalmente coraggiosa, capace di dare un messaggio forte anche a chi, nella famiglia, ci crede poco. E infine mi piace perché Eduardo Buscetta, alias il piccolo Salvatore, è tanto bellino quanto talentuoso, e sa emozionare parlando d’amore e di mafia con la voce (e gli occhi) di un bambino di dieci anni, una vera e propria scoperta del piccolo schermo nostrano.


La prima stagione de La mafia uccide solo d’estate sa trasportare lo spettatore nella Palermo del 1979, una città fatta di efferati delitti ma anche di grandi uomini come Boris Giuliano e il giornalista Mario Francese.
   La trama è un mix di commedia e dramma, l’ironia plasma l’intera messa in scena ma senza mai essere eccessiva, il risultato è efficace, l’intento pedagogico e didascalico mantenuto, evitando abilmente la pedanteria di tanta filmografia di genere.


Infatti è evidente che spiegare la mafia al grande pubblico, raccontarla, è possibile, difficile ma possibile, e lo si può fare usando la storia di un bambino come metafora, seguendo le vicende dei suoi suoi genitori e di sua sorella nel quotidiano, con una voce narrante divertente e autentica e una sapiente regia, quella di Luca Ribuoli, sempre un passo indietro per lasciare spazio agli attori, alla storia e alle scene, perfettamente costruite e contestualizzate. Meritano un plauso speciale anche la sceneggiatura, firmata da Stefano Bises, Michele Astori e Michele Pellegrini, e la fotografia, di Ivan Casalgrandi.


La mafia uccide solo d’estate ha il duplice e arduo compito di prendere in giro la mafia ma anche di far riflettere sugli anni più oscuri del nostro Paese, attraverso un racconto sull’eterno conflitto tra bene e male, tra eroi e antieroi, tra coraggiosi e ignavi, così lo stesso Pif aveva spiegato il suo ambizioso progetto, qualche tempo prima della messa in onda.

Un progetto che mostra anche la volontà, da parte di mamma Rai, di proporre ai suoi annoiati telespettatori delle fiction di qualità, che si distaccano completamente dai prodotti triti e ritriti che siamo abituati a vedere (ne è un esempio anche il buon Rocco Schiavone, che sta altrettanto spopolando tra il grande pubblico).


Nel complesso, direi che Pif è perfettamente riuscito nel suo intento: la forza de La mafia uccide solo d’estate sta proprio nell’aver saputo trovare il giusto equilibrio tra temi difficili e una narrazione corale, intensa, dai toni nazionalpopolari, nell’aver dimostrato, una volta di più, che la Storia non è fatta di buoni e cattivi ma di persone, di uomini e donne che hanno fatto la Storia, l’hanno subita e hanno saputo riscriverla a modo proprio, a suon di sacrifici, lacrime, sangue e sorrisi.

Articolo pubblicato su TheMacGuffin.it

martedì 3 gennaio 2017

#film: MI-TI-CO! STORIE DI EPOS, MUSCOLI E ADRENALINA A GO-GO

Da buona classicista, prima o poi doveva succedere: potevo forse esimermi dal proporvi una classifica dei migliori film sulla mitologia classica?
   No, certo che no, ma niente paura: se alle parole “classico” o “epos” vi vengono in mente infiniti pipponi storici o l’odore di naftalina dell’armadio della nonna, siete decisamente fuori strada.
   Infatti Hollywood si è divertita parecchio, negli ultimi 60 anni (e più), a giocare con l’epica greca e romana, rendendola ancor più carica di pathos, violenza, bei fusti oliati per bene e sordidi amori clandestini. 

Perché si sa, Eros e Thanatos vanno a nozze, e se ci aggiungi anche qualche scenetta alla Cinquanta sfumature, allora, è la morte sua.

E quindi bando alle ciance, vediamo che top 5 ci ispirerà quest’oggi la nostra Musa… vi basta un click qui ;)