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lunedì 9 gennaio 2017

#serieTv: La mafia uccide solo d'estate

“La sagra dei buoni sentimenti“. “Una serie infarcita di archetipi e stereotipi, ma d’altronde dalla Rai cosa potevamo aspettarci?!” “Ma la mafia non è questo, Pif è troppo sentimentale“.

In questi giorni di vaccate su La mafia uccide solo d’estateLa serie, ne ho sentite davvero di tutti i colori. Ma sapete cosa vi dico? Che a me questa serie piace un sacco.
   Sì, mi piace perché Pif sa raccontare la malavita palermitana con toni leggeri ma mai superficiali, mi piace perché quella interpretata da Claudio Gioè, Anna Foglietta, Angela Curri ed Eduardo Buscetta è una famiglia tradizionalmente coraggiosa, capace di dare un messaggio forte anche a chi, nella famiglia, ci crede poco. E infine mi piace perché Eduardo Buscetta, alias il piccolo Salvatore, è tanto bellino quanto talentuoso, e sa emozionare parlando d’amore e di mafia con la voce (e gli occhi) di un bambino di dieci anni, una vera e propria scoperta del piccolo schermo nostrano.


La prima stagione de La mafia uccide solo d’estate sa trasportare lo spettatore nella Palermo del 1979, una città fatta di efferati delitti ma anche di grandi uomini come Boris Giuliano e il giornalista Mario Francese.
   La trama è un mix di commedia e dramma, l’ironia plasma l’intera messa in scena ma senza mai essere eccessiva, il risultato è efficace, l’intento pedagogico e didascalico mantenuto, evitando abilmente la pedanteria di tanta filmografia di genere.


Infatti è evidente che spiegare la mafia al grande pubblico, raccontarla, è possibile, difficile ma possibile, e lo si può fare usando la storia di un bambino come metafora, seguendo le vicende dei suoi suoi genitori e di sua sorella nel quotidiano, con una voce narrante divertente e autentica e una sapiente regia, quella di Luca Ribuoli, sempre un passo indietro per lasciare spazio agli attori, alla storia e alle scene, perfettamente costruite e contestualizzate. Meritano un plauso speciale anche la sceneggiatura, firmata da Stefano Bises, Michele Astori e Michele Pellegrini, e la fotografia, di Ivan Casalgrandi.


La mafia uccide solo d’estate ha il duplice e arduo compito di prendere in giro la mafia ma anche di far riflettere sugli anni più oscuri del nostro Paese, attraverso un racconto sull’eterno conflitto tra bene e male, tra eroi e antieroi, tra coraggiosi e ignavi, così lo stesso Pif aveva spiegato il suo ambizioso progetto, qualche tempo prima della messa in onda.

Un progetto che mostra anche la volontà, da parte di mamma Rai, di proporre ai suoi annoiati telespettatori delle fiction di qualità, che si distaccano completamente dai prodotti triti e ritriti che siamo abituati a vedere (ne è un esempio anche il buon Rocco Schiavone, che sta altrettanto spopolando tra il grande pubblico).


Nel complesso, direi che Pif è perfettamente riuscito nel suo intento: la forza de La mafia uccide solo d’estate sta proprio nell’aver saputo trovare il giusto equilibrio tra temi difficili e una narrazione corale, intensa, dai toni nazionalpopolari, nell’aver dimostrato, una volta di più, che la Storia non è fatta di buoni e cattivi ma di persone, di uomini e donne che hanno fatto la Storia, l’hanno subita e hanno saputo riscriverla a modo proprio, a suon di sacrifici, lacrime, sangue e sorrisi.

Articolo pubblicato su TheMacGuffin.it

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