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lunedì 31 agosto 2015

#libri e #film: Hercule Poirot, mon amour!

Oggi vi voglio parlare di un amore che affonda le radici almeno dodici, tredici anni fa (considerando che ne ho ventisei, direi che non è male...), un amore nei confronti non di un uomo in carne e ossa, ma di un personaggio che sa far ridere, emozionare, suscitare smodata ammirazione, con quel pizzico di impertinenza e superbia che, in fondo in fondo, non guasta mai.








Chi sarà mai questo tipi così eclettico e affascinante? Ma Hercule Poirotça va sans dire, l'omino dalla testa a uovo più amato della letteratura internazionale, il detective privato più bravo al mondo (come si definisce lui stesso), la creazione di quel vero e proprio genio letterario che fu Agatha Christie, che io personalmente adoro e idolatro da tempo immemore.







Parlando della mia passione per i libri gialli della Christie, mi sento spesso rispondere con scetticismo, specialmente dai più giovani, che considerano questo tipo di narrativa ormai superata, forse perché troppo garbata, priva di inutili doppisensi e allusioni sessuali (che ormai abbondano anche nel genere thriller/poliziesco), mai eccessivamente violenta né truculenta, insomma, una voce fuori dal coro.





Scelta dovuta senz'altro al periodo al quale risalgono i romanzi, i ruggenti Anni Venti (sono passati esattamente 95 anni dall'esordio letterario di questo personaggio, nel libro Poirot a Styles Court), ben lontani da questo nostro XXI secolo, ma dovuta anche a una dose di buon gusto che forse, oggi, risulta difficile da comprendere.

   Romanzi caratterizzati da una grande finezza stilistica pur nella loro assoluta mancanza di pretese e di voli pindarici nero su bianco, ma soprattutto una capacità di rendere intrigante l'intreccio della trama ben difficile da emulare, con continui colpi di scena, e scandito dalle elucubrazioni di personaggi dal fine intelletto.






E poi, come si fa a non amare lo stesso Poirot, una vera e propria "sagoma", un piccolo belga (ispirato a Jacques Hornais, gendarme belga in pensione amico della scrittrice) dai baffetti impomatati maniaco dell'ordine e dell'igiene, sempre intento a raccogliere indizi, far lavorare le "celluline grigie" e sfottere amabilmente il fedele compagno di avventure, il Capitano Arthur Hastings, tanto ingenuo quanto gentile e premuroso nei confronti dell'amico e del prossimo.


Una coppia esplosiva, che alterna sapientemente riflessioni dal meccanismo narrativo ineccepibile e battute al vetriolo, un dinamismo letterario che non stanca mai, pur riproponendo, spesso e volentieri, un medesimo contesto, quello della borghesia europea che, immancabilmente, contatta Poirot per risolvere efferati omicidi, furti epocali e rapimenti di ogni sorta, ma che tuttavia strizza l'occhio anche al popolo, senza mai dare giudizi di ogni sorta e con un senso dell'umorismo davvero dissacrante, soprattutto tenendo conto degli anni che furono.

Dai volumi di Agatha Christie che vedono protagonista Poirot sono stati tratti svariati film ma, per me, il volto del mio investigatore preferito sarà sempre quello di David Suchet, attore britannico che ha portato questo personaggio sul piccolo schermo per un quarto di secolo, riproponendo ben 13 stagioni per un totale di 71 episodi.
   Un attore che incarna perfettamente la mia immagine mentale di Poirot, un artista molto amato a livello internazionale, e che è stato addirittura nominato Baronetto dalla stessa Regina d'Inghilterra per i suoi meriti televisivi e cinematografici.

Ad oggi la saga si è conclusa con la morte del protagonista, sia sul fronte letterario che su quello televisivo, con l'ultimo, doloroso capitolo, Sipario, che vede la fine di Poirot per problemi cardiovascolari, aggravatisi per il dolore a seguito di un omicidio involontario compiuto dall'anziano detective, una fine decisa dalla scrittrice a degna e gloriosa chiusura di questa onorata carriera ma, come anticipato dallo stesso Suchet, non è escluso un grande ritorno al cinema, anche se non vi è ancori nulla di confermato.


Insomma, spero di aver convinto anche i non estimatori del mio amato Poirot, e di quella regina del giallo che è stata, è e sarà sempre Agatha Christie, del valore di questa grande opera narrativa che, a distanza di una novantina d'anni, sa ancora ammaliare il lettore con finezza, ironia e grande intelligenza.

venerdì 28 agosto 2015

#film e #libri: I pilastri della Terra, la serie: all'altezza del capolavoro di Ken Follett?








C'è chi, soltanto a vederlo, si spaventa, e sceglie di non leggerlo per timore di annoiarsi o di non riuscire a finirlo. Non si potrebbe fare errore più grande.

   Perché le 1030 pagine che compongono questo vero e proprio capolavoro narrativo, I pilastri della Terra di Ken Follett, scorrono via veloci, grazie ad una trama decisamente avvincente e ben sviluppata, a continui colpi di scena e a personaggi caratterizzati con una sapienza descrittiva ed emozionale davvero rare.





Lasciatevi trasportare dalle cruente lotte fra dinastie per accaparrarsi la corona d’Inghilterra, dalle virtù e dalle meschinità degli abitanti di Kingsbridge, sede di un priorato che vorrebbe erigere a gloria di Dio una magnifica cattedrale, elemento centrale attorno al quale ruota tutta la narrazione, una missione che diventa motivo di gloria e sciagure, rivalità e tormento interiore.
   Amori possibili ed impossibili, passione e sensualità, sacro e profano che si mescolano in una danza continua, personaggi che non si dimenticano facilmente, come il priore Philip, Tom Il Costruttore, il giovane Jack, sua madre Ellen e la splendida e coraggiosa Aliena, figlia di un nobile ingiustamente impiccato con l'accusa di tradimento, anime ribelli che dal basso sapranno riscattarsi e vincere sull’ingiustizia di una società corrotta fino al midollo.
   Un’epopea davvero incredibile, un affresco sociale che è metafora della vita di ogni tempo, e ben si adatta anche ai giorni nostri, dove i soprusi da parte di chi detiene il potere si fanno sempre più evidenti.

Tematiche forti, quelle trattate da Follett, sviluppate con passione e uno stile in grado di coinvolgere, caratteristica che manca un po' nella versione televisiva, una miniserie del 2010 prodotta da Ridley e Tony Scott sotto la supervisione dell'autore stesso, e andata in onda prima su Sky Cinema e poi su Rete 4.
   Sia chiaro, un adattamento decisamente riuscito, merito anche e soprattutto della sapiente regia di Sergio Mimica - Gezzan, per anni assistente di Steven Spielberg, che ci regala un sunto chiaro ed esplicativo, immagini potenti e suggestive, specialmente nella chiusura sulla splendida cattedrale, quella di Salisbury in Inghilterra, tripudio di guglie, pinnacoli, e slanci verticali tipici dello stile Gotico d'oltre Manica.




Tuttavia, sono due gli elementi che sostanzialmente non mi hanno troppo convinta: il tema della cattedrale, e l'interpretazione e lo sviluppo sulla scena di alcuni personaggi.

Partiamo dal primo punto, quello che mi sta più a cuore, poiché è quello che più ho amato nel libro: la costruzione della cattedrale che diventa pretesto narrativo dall'incredibile bellezza, l'idea che un progetto così ambizioso possa unire e allo stesso tempo dividere a tal punto le storie di vita vissuta di uomini e donne, e l'idea che un'intera comunità possa stringersi attorno ad un gruppo di "pochi eletti" in grado di guidare il popolo attraverso le tenebre dell'ignoranza e del pregiudizio.
   Un messaggio valido ancor oggi, che tuttavia si perde un po' nella miniserie, che segue le fasi costruttive ma fatica a renderne fino in fondo il significato più profondo e recondito, cosa che Follett riesce a fare magistralmente e senza appesantire il libro, né proporre ripetizioni, pur considerando la lunghezza dell'opera.

Il secondo punto, i personaggi: nulla da dire su un’icona del grande schermo come Donald Sutherland, perfetta l'interpretazione dell'altro pilastro portante dl cinema internazionale Ian McShane, qui nei panni del perfido vescovo Waleran, ottime anche le due eroine della serie, la presunta strega Ellen - Natalia Woerner, e Hayley Atwell, nei panni di Aliena.
   Positive anche le interpretazioni di Matthew MacFayden, alias il Priore Philip, quella del malvagio Alfred (Liam Garrigan).

E qui arrivano le note dolenti: il personaggio di Jack non viene sviluppato appieno, risulta più infantile e meno carismatico, e ci si sarebbe aspettato di più dal giovane e promettente Eddie Redmayne (che tuttavia si è rifatto quest'anno con la vittoria dell'Oscar come miglior attore protagonista grazie alla sua perfetta interpretazione nel film La teoria del tutto, sulla vita di Stephen Hawking), mentre il personaggio di Tom il Costruttore (Rufus Sewell) ottiene poco spazio, e finisce per risultare poco significativo e piuttosto banale.



Difficile dire se il romanzo è veramente rispettato alla luce di queste riflessioni, tuttavia vale sicuramente la pena di guardare questa miniserie (di leggere il libro non ve lo dico nemmeno...), anche solo per il gusto di trovare differenze, pregi e difetti di una trasposizione televisiva che mantiene comunque un certo fascino.

giovedì 27 agosto 2015

#arte: Picasso e i suoi "segni dialoganti".

Picasso ad Acqui Terme, a una manciata di chilometri da casa mia, non me lo potevo proprio perdere. E infatti ieri sono finalmente riuscita a visitare la mostra "Picasso. Segni dialoganti" presso il Palazzo del Liceo Saracco di Acqui, aperta dall'11 luglio al 30 agosto 2015 (per chi non l'avesse fatto affrettatevi, avete ancora qualche giorno!), organizzata dalla locale GlobArt Srl.

Una mostra indubbiamente bella e particolare, ma non aspettatevi di trovarci le opere più celebri del maestro spagnolo, della serie "Vado ad Acqui a vedere Guernica", questo proprio no.
   Si tratta di una selezione di opere suddivise in quattro tematiche principali, Mitologia, Figure Femminili, Tauromachia e Natura Morta e Paesaggio, principalmente opere di grafica, in ceramica e olio su tela, accomunate da un unico filo conduttore, il dialogo dei segni. 
   Sì, perché le opere, anche quelle meno realistiche e difficili da comprendere ad un primo sguardo, sono in grado di comunicare con il fruitore, anche il segno più semplice, come nella maggior parte di questi casi, sa trasmetterci un'emozione, e soprattutto un frammento di vita, arte e poetica di uno degli artisti più rappresentativi e geniali dell'intera storiografia artistica. 

Attraversando le varie sale, verremo così a contatto con diverse opere ma, soprattutto, diversi stili, conoscendo ancora una volta la volontà innovatrice e lo sperimentalismo di Picasso, fin dalla giovane età. Ovviamente viene spontaneo partire dall'opera alla quale è stato riservato un posto d'onore, la tela "El pintor y su modelo I", dove troviamo una delle tematiche predilette da Picasso, e spesso ricorrente nella sua produzione artistica: il rapporto tra il pittore e la sua modella, un legame che andava ben oltre il mero lavoro, e che cela una sensualità insita nella fascinazione e nel contesto dell'atto stesso. 
   Ricordiamo come le donne, nell'opera del maestro iberico, siano sempre presenti, letteralmente adorate e mostrate senza veli e senza falsi pudori, in tutta la loro florida e morbida bellezza, a testimonianza della caduta dei tabù e della libertà che si manifestava a Parigi (sua patria d'elezione) all'epoca.



Oltre a svariate opere sulla tematica femminile, colpiscono particolarmente quelle legate al tema della Tauromachia, il combattimento fra tori, un'esaltazione che mescola pura classicità all'ammirazione totale per questi animali così fieri e forti, pur immortalati, spesso, nel momento della lotta, impari, con il matador di turno.  
   Ma non ammiriamo, in questa sezione, soltanto antiche corride e scene affini, anche ceramiche di sapore tribale che raffigurano, solitari al centro di piatti concavi e convessi, tori maestosi, come in "Toro" (pennello, raschietto e penna su pietra), o nella ceramica "Corrida sobre fondo negro".



Estremamente affascinante anche la tematica della Mitologia, dove i centauri si trasformano in matador (ritorna il tema della Tauromachia...), e predominano le figure di Pan (come nell'omonima opera) e di satiri dalle sembianze appena abbozzate, ma altrettanto espressivi. Tocchi di colore, linee nervose e morbide che si alternano formando figure dalla forte caratterizzazione personale ed espressiva.



Infine, la sala con le nature morte, rarissime nella produzione artistica di Picasso, opere dal tratto marcato e deciso, realizzate con penna e pennello nei toni del nero, nature morte che ormai si staccano completamente dalla tradizione realistica in voga fino al tardo Ottocento, che contiene anche alcune raffigurazioni di paesaggi decisamente particolari, come la scena in spiaggia, uno schizzo anch'esso sul nero, quasi un disegno appena abbozzato che abbandona completamente l'idea di prospettiva e sovrappone più piani temporali e dimensionali, rendendo tangibile l'aspetto più emozionale e primitivo, pur senza trascurare quello didascalico specialmente nelle opere legate al mondo contadino e del lavoro in campagna,



Insomma, una selezione di opere minori ma pur sempre estremamente significative, che ci mostrano un Picasso non propriamente cubista come da sempre lo immaginiamo, ma prediligono la raffigurazione del percorso che ha portato questo artista a rivoluzionare l'arte del suo tempo fino ai giorni nostri, con genio, coraggio e una forte umanità.

PS: la mostra è visitabile fino al 30 agosto 2015, dalle ore 10.00 alle ore 12.00, e poi dalle ore 16.30 alle ore 22.30.
Per info: Comune di Acqui Terme - Assessorato alla Cultura 0144/770272, email cultura@comuneacqui.com, sito internet www.comuneacqui.com
               

mercoledì 26 agosto 2015

Scrittori, udite udite!

Ai giovani (e meno giovani) scrittori, in erba e non: se anche voi volete inviarmi il vostro manoscritto, sarò ben lieta di recensirlo sul mio blog ;)

#libri: Simona Carosella, Il beneficio del buio

Oggi vi racconto qualcosa sull'esordio letterario di una giovane 23enne napoletana, Simona Carosella, che mi inviato il suo (bel) romanzo per sapere cosa ne penso; ed ecco qui le mie impressioni, buona lettura! 



Il beneficio del buio (Homo Scrivens, 2015) è un libro in grado di spiazzare il lettore: dalle prime pagine appare come il classico romanzo adolescenziale, fatto di amori estivi, attrazioni giovanili, tanta leggerezza e luoghi comuni, ma non bisogna lasciarsi ingannare dall'apparenza.
   Infatti, proseguendo nella lettura, proprio quei personaggi che, inizialmente, potevano apparire stereotipati e banali subiscono una sorta di evoluzione personale e narrativa, conducendo il libro su ben altri binari.

Dal filone narrativo sentimentale si vira al thriller psicologico vero e proprio: violenza e tensione si alternano in un continuo crescendo, fino all'epilogo e alla scoperta della verità, celata nelle ultime righe del romanzo.
   Un inizio lento ma che pone le basi per la vicenda che sarà.
Nell'assolata Campania due ragazze sono legate indissolubilmente da un passato scomodo e difficile: una storia fatta di crudeltà e follia, di cliniche psichiatriche e ricordi annebbiati, ma anche di coraggio e speranza.
   Una Napoli molto diversa rispetto alla percezione comune, quella descritta dalla giovane Simona Carosella – ventitreenne autrice partenopea al suo esordio letterario –, una città che, a dispetto dell'apparente, costante allegria che la contraddistingue, nasconde un abisso profondo di silenzio, di non detti, di cecità.

Un'opera corale giovanile, dove i protagonisti sono ben caratterizzati, specialmente nelle loro debolezze, e dove si nota una spaccatura piuttosto netta: gli adulti si rivelano degli inetti, incapaci di fornire una guida e un sostegno ai più giovani che, lasciati a se stessi, devono imparare fin da subito a cavarsela da soli, volenti o nolenti.

Leggendo quest'opera nasce spontaneo il paragone con altri volumi su questa falsariga, uno su tutti Ho ucciso Bambi della giornalista del Tg3 Carla Cucchiarelli, storia di violenza non sui minori ma dei minori, fattore che la rende ancor più agghiacciante; o ancora Il cielo negli occhi di Patrizia Antonacci e Loredana Petrone, che scelgono la forma narrativa della fiaba per raccontare le problematiche legate a questa adolescenza 2.0 così difficile da superare e vivere appieno.

Nel complesso, quello tratteggiato ne Il beneficio del buio è un vero e proprio ritratto del disagio adolescenziale odierno, dove le figure di riferimento vengono meno e i più giovani vengono inghiottiti dalle difficoltà e dalle insidie della vita quotidiana.
   Un contesto in cui domina un'effimera sensazione di supremazia sull'altro che lascia soltanto un grande vuoto dentro, proprio come accade ai protagonisti di questo libro, ragazzi che tentano di liberarsi dalle maschere che indossano ogni giorno: “Il beneficio del buio... perché al buio siamo tutti uguali”.

"Questo articolo è apparso il 24/08/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/il-beneficio-del-buio-simona-carosella.html

martedì 25 agosto 2015

#libri: I Dieci, Lo Zar non è morto. Grande romanzo d'avventure.

Oggi rispolveriamo un libro troppo a lungo dimenticato e messo da parte, un'opera particolare e assolutamente unica, che val la pena di riscoprire e leggere con attenzione, una vera e propria chicca per appassionati di storia e rarità, ma non solo. 

Mistero, suspense, colpi di scena e intrecci storici più o meno realistici fanno de Lo zar non è morto uno dei libri più particolari e discussi dell'intero Novecento. Già il sottotitolo - "Grande romanzo d'avventure” - dovrebbe farci intuire la natura di un'opera che è davvero un unicum nel suo genere, uno scritto corale nato per avvolgere in un alone di sospetto e dubbio uno degli episodi più suggestivi della storia: la truculenta uccisione dello zar Nicola II di Russia, della potente famiglia dei Romanov, nel 1918 durante l'eccidio di Ekaterinburg.
   Lo zar non è morto, pubblicato nel lontano '29, ha goduto di un istantaneo e formidabile successo, ma oggi è stato pressoché dimenticato nonostante l'indubbia qualità della sua prosa, dell'idea che l'ha portato alla luce, ma soprattutto dell'inventiva degli autori, che si celano dietro un altrettanto suggestivo pseudonimo, quello de I Dieci.

Ma torniamo alla trama. Questo romanzo, che appartiene, secondo la critica letteraria, al genere della fantapolitica, è basato sull'idea che nel 1931, in Cina, sia apparso all'improvviso un uomo che assomiglia in tutto e per tutto allo Zar Nicola II; una personalità misteriosa che ha perso, almeno apparentemente, l'uso della parola e di parte delle sue facoltà mentali.
   Gli ingredienti per un perfetto romanzo di avventura ci sono tutti: inseguimenti, colpi di scena, sparatorie, rapimenti, amori torbidi e passionali, vicende che si snodano e si intrecciano tra Pechino, Istanbul, Losanna, Parigi, Roma e perfino nelle più inaccessibili stanze del Vaticano.

Tuttavia, proprio gli autori forse sono la parte più originale dell'opera.
   Un fitto mistero, infatti, si intreccia intorno a loro: "I Dieci" prima si nascondono dietro uno pseudonimo pittoresco, ma poi, probabilmente tentati dal richiamo della fama e da un pizzico di narcisismo, si presentano in tutta la loro “violenza” futurista.
   Già, perché è proprio di un gruppo di letterati e artisti riuniti (almeno per questa occasione) sotto l'egida futurista che stiamo parlando, in primis il capostipite Tommaso Filippo Marinetti, e poi Antonio Beltramelli, Massimo Bontempelli, Lucio D'Ambra, Alessandro De Stefani, Fausto Maria Martini, Guido Milanesi, Alessandro Varaldo, Cesare Giulio Viola e Luciano Zuccoli. 



Tranne forse Marinetti, davvero inconfondibile nella sua gioiosa e provocatoria irruenza, lo stile dei singoli autori non è facilmente riconoscibile, se non per un occhio particolarmente esperto.
   A tal proposito è d'obbligo ricordare una vera e propria chicca dell'epoca, allegata all'edizione originale dell'opera (ma che potete trovare anche in edizioni più recenti quale quella di Sironi Editore del 2005): stiamo parlando del concorso a premi promosso dagli stessi autori, con tanto di regolamento e montepremi, in cui si invitava i lettori a indovinare la paternità dei vari capitoli del libro. In palio premi in denaro (da duecento a mille lire) e copie de Lo Zar non è morto stampate su carta speciale, nonché autografate dai Dieci in persona.

Trovata pubblicitaria per vendere più copie possibili o autentico slancio di genio futurista che sia, l'opera è sorprendente anche sotto questo punto di vista, ed è imprescindibile dal periodo storico all'interno del quale si inserisce: il Fascismo, ma quello delle origini, quello che conservava probabilmente ancora qualche briciolo di ideale propositivo per l'Italia e gli italiani.
   Tempi che furono, potremmo dire, tempi fatti di patriottismo esasperato, di progresso tecnologico, di ideologie dispotiche, di equilibri precari e di vicende che vanno ben oltre l'immaginario collettivo.




Il significato più recondito di un'opera di questo genere che, all'apparenza, può sembrare eccessivamente romanzesca, a tratti quasi frivola nel suo essere avventurosa fino ai limiti del possibile, si palesa una volta terminata la lettura: a emergere è un legame profondo tra senso dell'avventura e interventismo patriottico, tra storia (inventata) e storia (appresa).










Insomma, quando ci avviciniamo a Lo Zar non è morto, non prendiamolo come il classico libro d'avventura ma come l'affresco di un'epoca, uno spaccato storico da riscoprire pagina dopo pagina.

"Questo articolo è apparso il 01/05/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/lo-zar-non-morto-i-dieci.html

lunedì 24 agosto 2015

#libri: Luis Sepùlveda, L'avventurosa storia dell'uzbeko muto.

Oggi vi racconto l'ultima opera di uno scrittore che non ha bisogno di presentazioni: Luis Sepùlveda, che ha dato vita a un'opera corale che si trasforma in affresco di un'intera generazione. 




L'avventurosa storia dell'uzbeko muto (Guanda, 2015) sembra fatto apposta per smentire tutti coloro che “Ma il racconto è un genere semplice, tutti lo possono scrivere...”, “Sepulveda, sì, quello della gabbianella e il gatto...”, “La letteratura sudamericana è relegata alla serie B, si sa...”.
   Infatti con quest'opera, un vero e proprio romanzo in storie, Luis Sepúlveda ci racconta il passato e i sogni di un'intera generazione, attraverso brevi racconti venati di ironia e dolcezza, in grado di trasportarci e renderci partecipi della sua giovinezza militante, socialmente e politicamente impegnata, ma soprattutto impregnata di ideali e valori.




Una carrellata di personaggi dalla forte caratterizzazione, descritti attraverso immagini concise e divertenti: in primis, l'ormai celebrato uzbeko muto, che in realtà non è né uzbeko né muto, ma il giovane peruviano Ramiro, che sogna un’istruzione sovietica nella grande Mosca.
   Esperienza che si rivelerà una vera delusione, poiché il nostro eroe è a caccia – più che di sogni di gloria – di ragazze, musica e alcol.
   Attraverso queste pagine conosceremo un gruppo di guerriglieri compagni dell'immortale Che Guevara, colto nelle sue ultime ore di vita, la splendida pasionaria Bichito, il coraggioso soldato Capaev e molti altri.

Ma, aldilà dei racconti in sé, peraltro estremamente godibili e divertenti, L'avventurosa storia dell'uzbeko muto può essere letto come un vero e proprio inno alla vita perché, in fondo, la felicità è un diritto, come ci ricorda Sepúlveda in ogni suo libro.

In questo caso, la vena autobiografica è davvero costante: protagonista indiscusso è il suo Paese, il Cile, così amato ma che, nonostante tutto, gli tolse la cittadinanza durante la dittatura di Pinochet. L'invito, rivolto anche e soprattutto ai giovani di oggi, è quello di ribellarsi alla sopraffazione, di lottare per la libertà, pur mantenendo intatta una gioia di vivere e una capacità di sorridere che pervadono tutta la sua produzione letteraria.

Altro tema sotteso all'intero volume è sicuramente la memoria, che è un punto fermo nella sua duplice veste di uomo e scrittore, e che si unisce in maniera indissolubile al diritto all'immaginazione: ("L’ultima rivoluzione rimasta in sospeso è quella dell’immaginario: dobbiamo essere capaci di immaginare in quale mondo e società vogliamo vivere, e se vogliamo essere cittadini o consumatori", come dichiarato dallo stesso Sepúlveda).

E per quanto riguarda la scelta del racconto? Una decisione ben precisa e oculata ma anche coraggiosa; infatti la difficoltà del racconto è nota ad ogni scrittore che vi si sia cimentato almeno una volta nella vita, la sfida di riuscire a catturare il lettore grazie a quelle (poche) parole giuste e concise.    Anche stavolta Sepúlveda ci regala un'opera in grado di distinguersi per l'originalità dello stile e l'incredibile capacità narrativa, ma in questo caso possiamo notare un distacco piuttosto deciso dalla sua lunga tradizione letteraria; in questa serie di racconti, infatti, scindibili tra loro, l'autore cileno abbandona del tutto il pretesto narrativo del rapporto uomo-animale per abbracciare concetti più vicini al concreto, alla realtà sudamericana e alla Rivoluzione, facendo un bilancio degli anni della sua giovinezza.



La difficoltà di descrivere, con semplicità e senza mai appesantire la trama, il complesso quadro istituzionale del tempo, il patriottismo per la terra natia e gli ideali della gioventù cilena negli anni '70, rendono quest'opera preziosa, lasciando un segno e una testimonianza indelebili nella storia non soltanto latina ma mondiale.

"Questo articolo è apparso il 09/07/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/lavventurosa-storia-delluzbeko-muto-luis-seplveda.html

venerdì 21 agosto 2015

#libri: R.J. Palacio, Wonder: riflessione sull'(odioso) concetto di normalità.

Copertina azzurro cielo, elettrico, grafica semplice, quasi infantile, e un titolo, Wonder (Giunti, 2012), che sa di romanzetto rosa per adolescenti. Ecco come si presenta, a un primo sguardo, il romanzo d'esordio della scrittrice R. J. Palacio, all'anagrafe Raquel Jamillo.
   Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze: si tratta, infatti, di un vero e proprio piccolo capolavoro, che tocca le corde più profonde del cuore, e lo fa con disarmante semplicità, e tanta meraviglia.



Proprio in quel titolo, Wonder, troviamo già da subito un elemento fondamentale: un concetto difficile da tradurre, che indica quella sensazione di stupore e incredulità provocato da qualcosa che va oltre le nostra capacità di comprensione e immaginazione. In questo caso, a suscitare tali reazioni contrastanti, è il piccolo August, che fin dalle prime pagine si presenta con schiettezza: “So di non essere un normale ragazzino di dieci anni. Sì, insomma, faccio cose normali, naturalmente. Mangio il gelato. Vado in bicicletta. Gioco a palla. Ho l’Xbox. E cose come queste fanno di me una persona normale. Suppongo. E io mi sento normale. Voglio dire dentro. Ma so anche che i ragazzini normali non fanno scappare via gli altri ragazzini normali tra urla e strepiti ai giardini. E so che la gente non li fissa a bocca aperta ovunque vadano.

Infatti August è affetto dalla Sindrome di Treacher-Collins, una rara malattia congenita che comporta una completa alterazione della fisionomia della testa e in particolare del volto.
   Wonder diventa allora un vero e proprio diario del primo anno di scuola di Auggie, il quale dovrà uscire dal nido protettivo e sicuro della famiglia per affrontare la sua paura più grande: l’incontro con gli altri.

L'adolescenza, d'altronde, è già un momento difficile di suo, figurarsi poi con un volto che, di primo acchito, suscita sgomento e disgusto. Ma il ragazzino non si demoralizza: con il coraggio di un giovane apprendista Jedi, come in Guerre stellari, il suo film preferito, affronterà le proprie debolezze, fornendo il pretesto per toccare, con uno stile apparentemente infantile, temi forti come scuola, bullismo, amicizia, famiglia e ricerca d’identità.

Un volume che rientra nella narrativa per ragazzi, ma che tutti dovremmo leggere, portatore di un messaggio universale che trasforma il pregiudizio in inaspettata, meravigliosa sorpresa: è quella paura del diverso che da sempre ci attanaglia, sia diversità di etnia, di cultura, di lingua, di colore della pelle o, come in questo caso, semplicemente di canoni estetici.



Un tema attuale, oggi come non mai, che attraversa altresì la storia delle letteratura: dal personaggio omerico di Tiresia al Rosso Malpelo di Giovanni Verga, dalla Fosca di Ugo Tarchetti, dove l'handicap fisico diventa sinonimo di abbruttimento interiore, al suggestivo "gobbo" del Notre-Dame de Paris di Victor Hugo.

Nonostante i pregiudizi che continuiamo a trascinarci dietro dalla notte dei tempi, qualcosa forse sta cambiando: un esempio, che ben poco c'entra con i libri, ma può diventare un vero e proprio paradigma di questa positiva controtendenza, è la recente campagna pubblicitaria del noto brand iberico di abbigliamento Desigual: protagonista, la modella Chantelle Harlow, splendida dicannovenne, misure perfette, sguardo magnetico, fascino da vendere.
   La solita belloccia da copertina? Non esattamente, perché la ragazza ha saputo trasformare un “difetto”, se così si può dire, nella sua forza più grande: la vitiligine, che rende la sua pelle multicolore, affatto uniforme, si trasforma così in un elemento di “originalità”, che suggerisce un'estetica alternativa, stimolando ad osservare il mondo attraverso nuovi canoni.



Esempi semplici ma di grande impatto emotivo, che ci mostrano come, ancora una volta, la diversità, in tutti gli ambiti del quotidiano, si manifesti come una costante e inesauribile fonte di ricchezza universale.

"Questo articolo è apparso il 16/06/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/wonder-rj-palacio.html

giovedì 20 agosto 2015

#arte: Andar per mostre... stagione 2015/2016

Quest'anno l'attenzione sul nostro Paese è stata totalmente catalizzata dall'evento per eccellenza, l'Expo Milano 2015, un'occasione che, pur tra polemiche e cattive gestioni, non potevamo proprio lasciarci sfuggire.
   Tuttavia, il nostro amato Bel Paese ha molto altro da offrirci, in questi ultimi mesi del 2015 e soprattutto l'anno che verrà, per il quale abbiamo già a disposizione gustose anticipazioni che gli appassionati di arte e cultura, ma anche soltanto i curiosi della domenica, non potranno davvero perdere.




Ovviamente sto parlando del calendario di mostre 2015/2016 per i prossimi mesi, con appuntamenti da segnare immediatamente in agenda.
   E allora che aspettate, carta e penna (o smartphone e tablet, se siete più tecnologici di me) alla mano, ecco una lista di mostre e allestimenti ai quali non potrete proprio mancare:


  • VENEZIA: dal 5 maggio 2015 al 31 ottobre 2015 MY EAST IS YOUR WEST, mostra-evento collaterale della 56° BIENNALE INTERNAZIONALE D’ARTE DI VENEZIA che riunisce per la prima volta alla Biennale due nazioni storicamente in conflitto come India e Pakistan, esponendo opere di artisti provenienti da entrambi i paesi, in particolare Shilpa Gupta (Mumbai) e Rashid Rana (Lahore). Palazzo Benzon, San Marco 3917, Venezia. 
  • VENEZIA: sino al 20 ottobre 2015 MARIO MERZ. CITTA’ IRREALE, installazioni sul tema dello spazio in relazione all'opera dell'artista. Grandi gallerie dell’Accademia,  (Campo della carità 1.050), per info www.gallerieaccademia.org.
  • VENEZIA: dal 23 aprile 2015 al 16 novembre 2015, nell'ambito della rassegna Guggenheim nel mondo, JACKSON POLLOCK MURALE. ENERGIA RESA VISIBILE, un’esposizione itinerante dedicata al monumentale Murale (1943, University of Iowa Museum of Art, Iowa City) di Pollock. Collezione Peggy Guggenheim.
  • ROMA: fino al 4 ottobre 2015, ai Musei Capitolini, potrete visitare la mostra L'ETà DELL'ANGOSCIA. DA COMMODO A DIOCLEZIANO, dal fascino antico e suggestivo.
  • FERRARA: dal 14 novembre 2015 al 28 febbraio 2015 è in arrivo la spettacolare mostra DE CHIRICO A FERRARA, presso il Palazzo dei Diamanti, una selezione delle opere più celebri e rappresentative del massimo esponente della Metafisica, a cura di Paolo Baldacci e Gerd Roos, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalla Staatsgalerie Stuttgart.
  • MONZA fino al 6 settembre 2015, presso la Villa Reale, si terrà la mostra ITALIA, FASCINO E MITO, DAL CINQUECENTO AL CONTEMPORANEO, un'esposizione di opere di artisti del calibro di Lucas Cranach, Rubens, Antoon Van Dyck, Claude Lorrain, Gerrit Van Honthorst, Valentin de Boulogne, Gaspar Van Wittel, Angelika Kauffmann, Anton Raphael Mengs, Joshua Reynolds e Jean-Léon Gérome. 
  • MILANO: dal 2 settembre 2015 fino al 10 gennaio 2016 sarà visitabile la mostra GIOTTO: L'ITALIA, presso Palazzo Reale, dalle opere giovanili a veri e propri capolavori come il Polittico Stefaneschi
  • MILANO: fino al 31 ottobre 2015 è aperta la mostra LA MENTE DI LEONARDO. DISEGNI DI LEONARDO DAL CODICE ATLANTICO, presso la Pinacoteca Ambrosiana e la Sa­gre­stia del Bra­mante nel con­vento di Santa Ma­ria delle Gra­zie, per info www​.leo​nardo​-am​bro​siana​.it.
  • MILANO: fino al 13 settembre 2015, presso la Pinacoteca di Brera, potrete ammirare IL BACIO DI FRANCESCO HAYEZ. IL BEL PAESE TRA UNITà, GIOVENTù E AMORE, una mostra multimediale che, partendo da una delle opere più famose del nostro Risorgimento, ci renderà partecipi di un vero e proprio affresco storico corale.
  • MILANO: dal 6 ottobre 2015 al 10 gennaio 2016, presso la Pinacoteca di Brera, al via la mostra PERUGINO E RAFFAELLO, LO SPOSALIZIO DELLA VERGINE. DIALOGO TRA MAESTRO E ALLIEVO, Per la prima volta in Italia, dal Museo di Caen, potremo ammirare lo Sposalizio della Vergine di Pietro Vanucci detto il Perugino, realizzato tra il 1499 e il 1504 per il Duomo di Perugia.
  • MILANO: fino al 20 settembre 2015 la mostra BRERA SEGRETA. I CAPOLAVORI DEI DEPOSITI DELLA PINACOTECA DI BRERA ESPOSTI IN PALAZZO CUSANI, la mostra che ospita capolavori di artisti tra cui Bellini, Mantegna, Piero della Francesca, Caravaggio e Raffaello; per info comunicazione.brera@beniculturali.it www.brera.beniculturali.it
  • MILANO: ancora pochissimo tempo (fino al 23 agosto!) per andare all'Hangar Bicocca e godersi JUAN MUNOZ DOUBLE BIND & AROUND, a cura di Vicente Todolí, la prima  personale in Italia dedicata a Juan Muñoz, artista scomparso nel 2001, uno dei protagonisti della scultura contemporanea degli ultimi due decenni del Novecento.
  • TORINO: fino all'8 novembre 2015 è in corso 4 MUSEI UNA SOLA MOSTRA. LA COLLEZIONE DELLE COLLEZIONI, a cura di Francesco Bonami, la mostra che si svolge presso il Castello di Rivoli e la Gam, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e Fondazione Merz, una mostra importante che prende spunto da un fatto storico, la sconfitta di Napoleone a Waterloo e l'inizio della storia dell’Europa moderna; tra le opere, installazioni di Mario Merz, di Soffiantino, Airò, Boetti,Cattelan, Calzolari e molti altri. 
  • GENOVA: dal 25 settembre 2015 al 16 aprile 2016 imperdibile la mostra DAGLI IMPRESSIONISTI A PICASSO, presso Palazzo Ducale, una selezione di cinquantadue opere appartenenti ai più grandi pittori del ‘900, tra cui Edgar Degas, Vincent Van Gogh, Paul Cézanne, Henri Matisse, Amedeo Modigliani e molti altri. 



Infine, una piccola chicca, per chi di voi avesse la possibilità di concedersi un viaggetto all'estero: presso il Museo Van Gogh di Amsterdam, dal 25 settembre 2015 al 17 gennaio 2016, in occasione dei 125 anni dalla scomparsa di Vincent van Gogh, si terrà l'interessantissima mostra MUNCH: VAN GOGH: L'URLO APPRODA IN OLANDA, DUE ARTISTI A CONFRONTO, Presso la nuova, spettacolare ala espositiva del rinnovato museo.

mercoledì 19 agosto 2015

#letteratura: L'addio a Günter Grass

Sono passati circa 4 mesi dalla morte di Günter Grass, uno degli autori più controversi e affascinanti del XX secolo. Scopriamo insieme qualcosa in più su questa forte personalità.

Im Alter von 87 Jahren ist heute morgen der Literaturnobelpreisträger Günter Grass in einer Lübecker Klinik gestorben. 

Nell'era dell'informazione (e talvolta anche delle emozioni) 2.0, l'annuncio dell'avvenuta scomparsa di un autore di fama mondiale viene affidata a un breve e telegrafico “cinguettìo” su Twitter, pubblicato dalla sua storica casa editrice, la Steindl.
   All'età di ottantasette anni si è spento in una clinica di Lubecca, a causa di una grave infezione, lo scrittore tedesco Günter Grass che, nel 1959, raggiunse la fama internazionale grazie al suo capolavoro Il Tamburo di latta, che quarant'anni di produzione più tardi gli sarebbe valso il Premio Nobel per la Letteratura.



Una figura controversa, che ha fatto parlare di sé in più di un'occasione, in particolare a seguito dell'ammissione del suo arruolamento volontario nelle SS durante la Seconda Guerra Mondiale; un giovane patriottico, che ha poi rinnegato questa scelta applaudendo la caduta del Muro nel 1989.
   La confessione, avvenuta durante un'intervista al giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung nell'agosto del 2006, ha portato numerosi suoi connazionali a richiedere la restituzione del premio Nobel vinto da Grass, che tuttavia si è opposto chiedendo di giudicare le sue opere, non le sue scelte di vita.

Il sostrato culturale e sociale dal quale ha origine la sua produzione letteraria lo influenzerà per tutta la vita: esponente di spicco e colonna portante del Gruppo 47, egli diviene uno dei principali fautori della rinascita culturale tedesca, mosso dalla volontà di promuovere una cultura che sia completamente scissa e indipendente dall'influenza americana, predominante in quegli anni.
   Grass non ha mai fatto mistero, durante la vita e la carriera, delle proprie opinioni politiche: prese posizione contro lo Stato di Israele e contro la proliferazione nucleare, in particolar modo nella poesia Ciò che va detto, componimento che gli è costato il divieto di ingresso nello stato ebraico come "persona non grata".

Com'era facilmente intuibile, non sono mancate le accuse di antisemitismo e il facile (anche troppo, verrebbe da dire) collegamento con il suo “passato nazista”. Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare. Grass, d'altronde, non si è risparmiato nemmeno sul suo Paese natìo, attaccando la Germania e specialmente la cancelliera Angela Merkel colpevole, dalle sue parole, di non aver fatto nulla per evitare il collasso di Paesi europei come la Grecia.

A prescindere dalle posizioni politiche e dal temperamento spregiudicato, Günter Grass rimane comunque il rappresentante emblematico dei malesseri, ma anche della forza, del suo Paese; oggi come ieri, un uomo che ha fatto del cinismo e del nichilismo le sue cifre stilistiche predominanti, vagamente addolciti (o perlomeno smussati) da una forza visionaria di fortissimo impatto, sempre venata di ironia.
   Un vero e proprio universo personale e corale al tempo stesso, espresso con un registro stilistico decisamente ricco e malleabile. “Narratore metaforico della realtà di una Germania che non riesce a fare i conti col proprio tragico passato, che vuole dimenticare”, come sottolineato lucidamente dal critico Paolo Petroni nel 1999.

Si può dire che, per ciascuno dei momenti che hanno segnato la storia della Germania, Grass abbia scritto un libro, a cominciare dall'intramontabile Il tamburo di latta, l'opera che gli donò, croce e delizia di ogni scrittore, la notorietà. Si tratta della storia di Oskar, che a tre anni decide di non crescere più e rimanere per sempre piccolo, un'opera tagliente che descrive un mondo malato filtrato dagli occhi, talvolta innocenti talvolta maligni, di un bambino.



Ecco, se Grass avesse potuto scegliere per sé un epitaffio che lo ricordasse nella sua reale essenza, avrebbe probabilmente optato per una delle sue cosiddette “frasi celebri”, che ben esprime una natura spesso contraddittoria ma sempre autentica e, come diretta conseguenza, scomoda ai più:


"Non sono un pacifista. A chi mi desse uno schiaffo sulla guancia non porgerei mai l'altra, ma mi difenderei a denti stretti. La guerra è per metà fatta di paura e per metà di noie. I giovani del mio paese non sono per la guerra. Non sono nemmeno per il servizio militare. Gli orfani di guerra, poi, la considerano il peggiore dei mali.”

Ma, forse, a noi piace ancor di più come lo descrisse il suo collega Hans Magnus Enzensberger: 


“Quest'uomo è un rompiscatole, è un pescecane nello stagno delle sardine, è un solitario selvaggio nella nostra letteratura addomesticata..."

"Questo articolo è apparso il 16/04/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/addio-a-gnter-grass.html

martedì 18 agosto 2015

#film: Come ti rovino le vacanze... o la serata al cinema?






Incuriosita da un trailer davvero esilarante, ieri sera sono venuta meno alle mie consuete abitudini, che mi portano al cinema solo per vedere horror, thriller o film un po' più seri, e ho deciso di andare a vedere Come ti rovino le vacanze, regia di John Francis Daley Jonathan M. Goldstein e, tra gli attori protagonisti, quella sagoma di Ed Helms (per chi non l'avesse presente, il dentista di Una notte da leoni).









Di solito ho un po' di orticaria nei confronti delle commedie americane, ma questo mi ispirava: la trama è indubbiamente divertente, e vede al centro della vicenda le avventure/disavventure di una famiglia come tante, pronta per andare in vacanza: una mamma sull'orlo della crisi di nervi, un papà e marito pronto a tutto per soddisfare la propria famiglia, ma con risultati perlopiù tragicomici, un fratello maggiore studioso e sognatore, e uno minore un po' troppo sveglio e alquanto stronzetto.

Sulla scia di una vacanza memorabile trascorsa durante l'infanzia, Rusty-Ed Helms decide di portare la sua truppa al Walley World, il mitico parco di divertimenti che vanta un’attrazione dal chiaro richiamo giurassico: il Velociraptor, le montagne russe più spaventose degli Stati Uniti.
   Il viaggio diventerà un'esperienza fuori da ogni possibile immaginazione: tra bagni nello scarico fognario e incidenti stradali decisamente eclatanti (il tentativo di Rusty di fare inversione di marcia in stile Vin Diesel in Fast and Furious, come si vede dal trailer, non andrà a buon fine...), risse e improbabili esperienza amorose/sessuali, la famiglia si riscoprirà comunque più unita che mai.




Un commento personale su questo film? Una comicità decisamente gretta, ma comunque efficace nel strappare qualche risata di gusto, nel complesso non mi è dispiaciuto.

Un commento un po' più riflessivo? La sagra degli stereotipi, a partire dai personaggi.
   Possibile che, in tutti i film, le donne siano sempre o in piena crisi isterica o, se di bell'aspetto, delle leggerone subito pronte a saltare al collo del primo arrivato? E per quale arcano motivo se un ragazzo ama leggere ed è bravo a scuola, dev'essere necessariamente uno sfigato?
   Insomma, con queste premesse, con questa mentalità che è ormai ben radicata nel pensiero comune, non stupiamoci quando poi vediamo certi comportamenti in ragazzi sempre più giovani.

Ma, a parte il commento da Nonna Papera, ora devo farne uno da puritana, eh insomma: i riferimenti sessuali si sprecano, e in effetti certe scene, magari esilaranti per un pubblico adulto o almeno adolescenziale, di certo non sono adatte ad una platea più giovane (anche se, nella sala dove mi trovavo ieri sera, c'erano moltissimi bambini sotto i dieci anni che ridevano di gusto. O tempore o mores!, mi verrebbe da dire...).

Nel complesso un film godibile, ma costruito principalmente su gag dal taglio demenziale che mira sempre più all’osceno, tutto in linea con il senso dell’umorismo contemporaneo nella sua versione più dozzinale, tenuto insieme da un lieto fine piuttosto scontato dove, stavolta, predominano i buoni sentimenti, il ritrovato amore tra coniugi, e il miglioramento del rapporto tra fratelli.

Insomma, Come ti rovino le vacanze non si può di certo definire un grande successo, specialmente se lo paragoniamo al suo avo degli anni Ottanta, National Lampoon’s Vacation, il film che ha fatto la storia della comicità on the road, interpretato dall'allora emergente Chevy Chase (che appare anche nella versione odierna, interpretando la versione invecchiata del suo personaggio di allora), da un’attrice di talento come Beverly D’Angelo e scritto da John Hughes, maestro della commedia adolescenziale dei mitici Eighties (suoi Sixteen Candle, Breakfast Club, La donna esplosiva, Una pazza giornata di vacanza, Io e zio Buck e molti altri).



Tirando le somme: se volete trascorrere un paio d'ore con l'encefalogramma piatto e la risata facile (e, per le signore, a osservare un perfetto esemplare maschile qual è Chris Hemsworth in boxer, dismessi i panni di Thor), allora questo film è l'ideale, ma non aspettatevi un capolavoro della comicità 2.0, mi raccomando.



lunedì 17 agosto 2015

#libri: Lucìa Puenzo, Il medico tedesco - Wakolda

Un libro crudo, emozionante e a tratti sottilmente raccapricciante... Oggi vi racconto "Il medico tedesco - Wakolda", della giovane scrittrice argentina Lucìa Puenzo. 


I libri e le opere sulle atrocità compiute dal regime Nazista si sprecano, e la qualità è decisamente altalenante.
   Spesso e volentieri, infatti, il rischio è quello di sfociare nel banale, indulgendo troppo negli aspetti più patetici delle vicende narrate: il bambino separato dai genitori, il protagonista seviziato e vessato all'inverosimile, in un eterno contrasto buono-cattivo letto e riletto.

Tuttavia, altrettanto spesso, fortunatamente, si trova anche qualche voce fuori dal coro, che narra una storia delicata e difficile da digerire, con uno stile davvero impeccabile e anticonformista: è il caso del volume "Il medico tedesco - Wakolda" (Guanda, 2014) della scrittrice, sceneggiatrice e regista argentina Lucía Puenzo, figlia di quel Luis che vinse l'Oscar nel 1985 con "La storia ufficiale".

La vicenda è ambientata in America Latina, tra Buenos Aires e la desertica Patagonia, e inizia con un lungo viaggio, la calcolata e tranquilla fuga di una delle figure più spietate, odiose e intriganti della storia nazista, quella di Josef Mengele, il celebre medico che fece innumerevoli esperimenti su migliaia di Ebrei all'interno dei campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau.

Ciò che colpisce non è tanto la crudeltà del medico, accennata più o meno velatamente in varie parti dell'opera, ma soprattutto la natura del rapporto che l'uomo riuscirà ad instaurare con la figlia dodicenne di alcuni compagni di viaggio conosciuti lungo la strada, un rapporto morboso fatto di perversione, curiosità adolescenziale e un'attrazione carnale che infastidisce e attrae il lettore fino al terribile epilogo.
   Quella che sembra quasi una favola noir è invece una cruda realtà, e ciò che sconvolge è che un simile orrore possa essere esistito realmente: fino a che punto può spingersi il male? quanto è profondo l'abisso dentro ognuno di noi?

"Il medico tedesco - Wakolda" racconta l'ultimo folle esperimento di Mengele, che cercherà di deviare la natura di una ragazza ancora acerba rendendola sua complice, catturando il lettore in un intreccio di suspense e perversione sottile ma spietatamente violenta, guidandolo con uno stile sapiente, carico di immagini che ci fanno riflettere sulla storia e sulla natura dei rapporti umani.

Temi forti trattati senza paura, insomma, dove primeggiano la formazione dell’identità sessuale adolescenziale e la labilità di una coscienza politica e civile discutibile e difficile da digerire.
   Ma qual è l'intenzione di fondo che ha spinto Lucía Puenzo, argentina, classe 1976, a trattare un tema così difficile? Sicuramente, il bisogno e la volontà di interrogarsi sulle ragioni che hanno spinto il governo argentino, negli anni del secondo dopoguerra, ad aprire le frontiere e a dare rifugio a tanti nazisti autori di atrocità inimmaginabili, ma anche tante famiglie argentine che hanno scelto di rendersi complici di questi uomini senza scrupoli.
   Infatti, dopo la sconfitta di Hitler, numerosi nazisti trovarono rifugio in Sud America, criminali di guerra del calibro di Eichmann e lo stesso Mengele, la cosiddetta "rotta dei topi", una precipitosa e calcolata fuga orchestrata dalla misteriosa "Organisation der ehemaligen SS-Angehorigen", meglio nota come OdeSSA, in accordo con il governo del presidente argentino Juan Domingo Perón, la chiesa cattolica argentina e gli agenti segreti di Himmler a Buenos Aires.

Il motivo di tutto ciò? Le conoscenze di gerarchi e scienziati nazisti utili allo sviluppo tecnologico nazionale, un fatto storicamente noto che, tuttavia, lascia spazio a numerosi interrogativi, tutt'oggi irrisolti.

"Questo articolo è apparso il 04/06/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/il-medico-tedesco-wakolda-luca-puenzo.html

venerdì 14 agosto 2015

#libri: Paula Hawkins, La ragazza del treno: il thriller dell'estate?

Il thriller dell'estate, che ha diviso il mondo dei lettori: capolavoro di adrenalina e tensione pura, o cocente delusione? Ecco cosa ne penso io...


"La ragazza del treno" (Piemme, giugno 2015) è, fondamentalmente, una storia di donne. Presentato e acclamato come il thriller dell'estate, regala, sì, una notevole dose di suspense e adrenalina, ma soprattutto fa riflettere sulla fragilità dell'animo umano e mostra il lato peggiore della natura femminile, in una spirale di angoscia difficile da digerire.




Al centro della vicenda una giovane donna, Rachel, poco più di trent'anni e una vita che si sta sgretolando davanti ai suoi occhi, perennemente annebbiati dall'alcol e dai rimorsi. Divorziata, alcolizzata, instabile e debole, è un personaggio che disturba il lettore e lo innervosisce, per le sue azioni sconsiderate e quell'ultimo bicchiere di vino o gin tonic che l'ultimo non è mai. Una versione autodistruttiva e per nulla ironica di Zeno Cosini con quella dannata ultima sigaretta.

Licenziata per essersi presentata al lavoro ubriaca, Rachel continua comunque a recarsi a Londra ogni mattina, per non ammettere la propria sconfitta e, soprattutto, per osservare la vita altrui attraverso il finestrino di un treno: pretesto ideale per non concentrarsi troppo sulla propria.





Ogni mattina la stessa storia, gli stessi volti. In particolare quelli di una coppia felice che abita in una villetta nei pressi della stazione ferroviaria. Tutto normale, insomma, finché un giorno Rachel non nota qualcosa di diverso, che turba il suo equilibrio già precario. Da qui, un vortice di violenza che la trascinerà in una storia più grande di lei.

Come dicevamo, una storia al femminile, singolare e corale al tempo stesso. Infatti, oltre alla vicenda che ruota attorno a Rachel, nel racconto compaiono altre due donne: Megan, una traditrice seriale che, da figura predominante e forte, diventerà la vittima dell'ennesimo femminicidio che ci riporta con orrore alla quotidianità della cronaca nera; Anna, donna debole, possessiva e succube del suo uomo.

Vite spezzate di donne deluse dalla vita stessa, sbattute in faccia al lettore senza mezze misure e falsi buonismi, che ci forniscono il pretesto per affrontare temi scomodi, come tradimento, sesso, alcolismo, violenza domestica; difficili da trattare e ancor di più da raccontare, ma che la scrittrice Paula Hawkins, esordiente dall'innegabile talento narrativo, non ha paura di proporre al lettore.

Menzogna e alienazione, ecco cosa traspare da questo thriller dalla valenza fortemente psicologica, che suscita una sensazione di repulsione nei confronti della protagonista e mostra quanto sia difficile, a volte, provare pietà e comprensione per i nostri simili.

Anche lo stile narrativo è in linea con il romanzo e il suo intento: capitoli raccontati in prima persona dalle tre protagoniste, in una alternanza continua, con un linguaggio che appartiene più al parlato che alla narrativa tradizionale, e che riesce a coinvolgere il lettore dalla prima all'ultima pagina, soprattutto grazie a un pretesto narrativo vincente: l'”ecosistema sociale treno”, un contesto quotidiano che si carica di inquietudine proprio perché assolutamente plausibile e legato a una routine comune.

Una situazione che potrebbe capitare a chiunque, un ritmo che frena e accelera vertiginosamente, fermata dopo fermata, stazione dopo stazione, dolore dopo dolore.

"Questo articolo è apparso il 09/08/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/la-ragazza-del-treno-paula-hawkins.html

giovedì 13 agosto 2015

#libri: Alessandro D'Avenia, Ciò che inferno non è

Volete leggere un bel libro, di quelli intensi, che ti catturano dalla prima all'ultima pagina, in grado di conquistare il lettore con una storia vera ed emozionante? Allora date un'occhiata a questa mia recensione su "Ciò che inferno non è", del giovane scrittore siciliano Alessandro D'Avenia: non vorrete più smettere di leggerlo. 



Che cos'è l'Inferno? Di certo non è quella dimensione onirica popolata di spettri, anime in pena, diavoli e demoni senza cuore né pietà per i malcapitati che vi finiscono dentro, non è né religione, né superstizione né credenza popolare. 
   No, l'Inferno è qualcosa di ben peggiore, l'Inferno è quando dei bambini di dieci anni appena vivono a contatto, quotidianamente, con una realtà fatta di violenza, soprusi e violazione del sacrosanto diritto ad essere felici, o quando una donna è costretta a portare in grembo il frutto di uno stupro e viene lasciata sola nella sua terribile decisione, o ancora quando un uomo viene trascinato sull'orlo della rovina soltanto perché si rifiuta di sottomettersi alla volontà del più forte (o soltanto del più prepotente).




Questa è la cruda realtà che si trova davanti Federico, diciassettenne della Palermo bene, quando oltrepassa il passaggio a livello che separa la città da Brancaccio, un quartiere che fa paura, dove le leggi non sono quelle dello Stato ma quelle di Cosa Nostra, che prosciuga i suoi abitanti dei sogni, delle speranze, della vita stessa.
   Ma perché mai un giovane così lontano da questo ambiente così decadente dovrebbe avvicinarvisi? Semplice, perché talvolta, nella storia, nascono uomini eccezionali che si innalzano rispetto alla media, capaci di trascinare con sé le masse e portare un segno di speranza anche dove, di speranza, non ce n'è.

Quest'uomo è Padre Pino Puglisi, vero e proprio eroe palermitano protagonista di “Ciò che inferno non è di Alessandro D'Avenia, che proporrà al giovane Federico un'esperienza ben più utile di qualsiasi vacanza studio all'estero: trascorrere qualche mese in mezzo ai suoi compaesani, in mezzo a quei reietti che i palermitani benestanti fingono di non vedere, perché è più semplice, perché è più comodo.

L'inizialmente recalcitrante Federico, grazie a 3P (è così che i ragazzi chiamano Don Pino), scoprirà che l'Inferno è semplicemente un luogo dove non c'è amore ma, anche se Brancaccio è la candidata ideale a ricoprire questo ruolo, che può offrire anche momenti di pura grazia e dolcezza, momenti d'amore che ci fanno finalmente capire ciò che inferno non è.

Un libro che è un vero e proprio pugno nello stomaco; anzi, in faccia, dove fa più male e non si può nascondere, perché è questo che vuol fare D'Avenia, lo scrittore siciliano che, dal già acclamato “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, ha subito una maturazione impressionante, specialmente per quanto riguarda lo stile, incisivo, di forte impatto emotivo, a tratti secco, a tratti di una dolcezza poetica: condurci per mano in una realtà per molti versi sconosciuta, dove la Mafia regna incontrastata a pochi passi da palazzi antichi e piazze affollate di gente e turisti. 

Perché, in fondo, "così sono tutti i bambini di Brancaccio: vengono iniziati all'inferno organizzando duelli alla morte tra cani randagi, seviziando gatti da gettare in pasto a quegli stessi cani da guerra o da impiccare... La luce si oscura e viene sostituita dalla rabbia di chi distrugge e non sa neanche il perché, di chi impara a dominare prima di amare, di chi non sa che amare aggiunge qualche cosa alla vita e invece odiare lo toglie, ma odiare è più facile e immediato. È una sorta di anestesia che non fa sentire la vita e la luce."

"Questo articolo è apparso il 21/05/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/ci-che-inferno-non-alessandro-davenia.html







mercoledì 12 agosto 2015

#Viaggi: Sicilia, terra del sole e dello spasimo...

In questi giorni prosegue l'esodo (sarà poi vero, con questa crisi? Mah...) degli italiani verso le mete turistiche più gettonate di sempre: Baleari, Canarie, Seychelles, luoghi più o meno esotici e/o sperduti.
   Ma io oggi vi voglio portare in una terra non troppo lontana, densa di fascino e suggestione, carica di pathos ed emozione, e di una bellezza che la rende unica e immortale.

Sto parlando della Sicilia, un'isola preziosa, un vero e proprio gioiello di questo nostro Mediterraneo ferito ma non per questo meno bello.
   Se avete in mente una partenza last minute, vi consiglio di buttarvi sulla Sicilia, sono certa che non ve ne pentirete: io ci sono stata lo scorso anno, e ho trascorso due settimane davvero indimenticabili, tanto da sentirne, ancora oggi, una profonda e pungente nostalgia.

Appena arrivati all'aeroporto di Catania abbiamo affittato un Pandino rosso fiammante che ha retto ben 2500 km di avanti e indietro ininterrotti su strade assolate, in aperta campagna o ad un passo dal mare, con base a Piazza Armerina, nell'entroterra, una località un po' sottovalutata ma che merita decisamente una visita approfondita, specialmente alla meravigliosa Villa Romana, con i suoi mosaici unici al mondo.


Mosaici di Piazza Armerina

Il mio viaggio ha toccato parecchie tappe, località di mare tra cui Licata, dalle coste incessantemente battute dallo Scirocco, Porto Empedocle con la sua Scala dei Turchi, di un bianco accecante che sembra quasi neve, Taormina, con il suo fascino signorile. 


Scala dei Turchi, Porto Empedocle
Veduta marina siciliana...


Per non parlare delle città d'arte, veri e propri gioielli di sapiente maestria, di quelle cose belle che ti fanno rivalutare un po' il genere umano, in grado di distruggere ma anche di costruire meraviglie come la Cappella Palatina di Palermo, il duomo di Monreale o quello dello stesso capoluogo, e ancora gli edifici della Valle dei Templi di Agrigento che, quando li ho visti per la prima volta, mi è anche uscita una lacrimuccia, lo ammetto, perché il mio cuore è stato pervaso da un'emozione indescrivibile, e i miei piedi hanno camminato su un suolo carico di storia e passato. 
Chiesa di San Cataldo, Palermo





Cattedrale di Palermo

Interno della Cappella Palatina


Valle dei Templi, Agrigento

Un altro luogo davvero magico è sicuramente Siracusa, una delle città più belle che abbia mai visto: arrivati sull'isola di Ortigia, il centro storico collegato alla parte nuova della città tramite un ponte, rimani abbagliato dal candore della pietra con la quale sono costruiti gli edifici, specialmente in piazza del Duomo dove, nelle ore più calde della giornata, si può godere della magia che sono la Sicilia sa regalare: i contorni sfumano, e gli occhi si riempiono dell'azzurro del cielo e dei profumi di questa terra.

Duomo di Siracusa

L'Orecchio di Dionisio
Ma a Siracusa c'è un altro luogo da scoprire, l'Orecchio di Dionisio, una grotta artificiale scavata nel calcare che si trova nell'antica cava di pietra detta Latomia del Paradiso, sotto il Teatro Greco di Siracusa. Profonda ben 65 metri, sembra di entrare all'inferno più che in Paradiso: qui i suoni si smorzano, il buio diventa assoluto, una dimensione parallela che ti fa dimenticare ciò che ri aspetta all'esterno.

L'intricato sentiero che conduce all'Orecchio di Dionisio

Ma non avrebbe senso raccontarvi, nei dettagli, tutto il mio percorso, l'elenco di monumenti che ho potuto vedere e osservare durante il mio viaggio, no, queste sono cose che potete trovare su qualsiasi guida turistica sulla Sicilia. Vi ho voluto dare soltanto un'infarinatura, giusto per preparare i vostri occhi alle meraviglie che vi attendono. 

Io vi voglio trasmettere le sensazioni che mi ha donato questa terra, l'emozione che ho poi ritrovato parlando con chi a questa terra appartiene, leggendo libri di scrittori siciliani (uno su tutti, Alessandro D'Avenia), e notando che c'è sempre un denominatore comune: l'attaccamento a questo luogo materno e crudele al tempo stesso, questo luogo segnato da storie di inaudibile crudeltà (la Mafia, la povertà toccata con mano...) e al tempo stesso illuminato da una luce che non si trova altrove. 

C'è una sensazione che io, da piemontese, non avevo mai considerato, e della quale non ero a conoscenza: lo spasimo, una parola che mi era tutto sommato sconosciuta, ma che ho compreso visitando di persona quest'isola: un'emozione che ti travolge il cuore in maniera quasi violenta, e ti lascia senza fiato per la sua bellezza primitiva e selvaggia. 
   Al di là dell'accezione religiosa (sono molte le chiese dedicate a Santa Maria dello Spasimo, una su tutte quella di Palermo, oggi sconsacrata, a cielo aperto), si tratta di un sentimento che chiunque può provare, basta aprirsi completamente alla magia della Sicilia

Non abbiate paura di addentrarvi nei vicoli e nelle piazzette più piccole e sconosciute, perdetevi in questo labirinto di pietra fatto di colori e profumi, lasciatevi guidare dallo Scirocco che spira senza tregua e dall'odore di salsedine che impregna tutto ciò che vi circonda, fermatevi a parlare con la gente e godetevi un caffè in uno dei tanti bar tipici, abbandonando per un po' la fretta e la nevrosi quotidiana, adottando i ritmi più lenti e tranquilli della Sicilia: soltanto così potrete davvero rigenerarvi, e non vorrete più andarvene da quella che è, secondo me, l'isola più bella del Mediterraneo