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giovedì 13 agosto 2015

#libri: Alessandro D'Avenia, Ciò che inferno non è

Volete leggere un bel libro, di quelli intensi, che ti catturano dalla prima all'ultima pagina, in grado di conquistare il lettore con una storia vera ed emozionante? Allora date un'occhiata a questa mia recensione su "Ciò che inferno non è", del giovane scrittore siciliano Alessandro D'Avenia: non vorrete più smettere di leggerlo. 



Che cos'è l'Inferno? Di certo non è quella dimensione onirica popolata di spettri, anime in pena, diavoli e demoni senza cuore né pietà per i malcapitati che vi finiscono dentro, non è né religione, né superstizione né credenza popolare. 
   No, l'Inferno è qualcosa di ben peggiore, l'Inferno è quando dei bambini di dieci anni appena vivono a contatto, quotidianamente, con una realtà fatta di violenza, soprusi e violazione del sacrosanto diritto ad essere felici, o quando una donna è costretta a portare in grembo il frutto di uno stupro e viene lasciata sola nella sua terribile decisione, o ancora quando un uomo viene trascinato sull'orlo della rovina soltanto perché si rifiuta di sottomettersi alla volontà del più forte (o soltanto del più prepotente).




Questa è la cruda realtà che si trova davanti Federico, diciassettenne della Palermo bene, quando oltrepassa il passaggio a livello che separa la città da Brancaccio, un quartiere che fa paura, dove le leggi non sono quelle dello Stato ma quelle di Cosa Nostra, che prosciuga i suoi abitanti dei sogni, delle speranze, della vita stessa.
   Ma perché mai un giovane così lontano da questo ambiente così decadente dovrebbe avvicinarvisi? Semplice, perché talvolta, nella storia, nascono uomini eccezionali che si innalzano rispetto alla media, capaci di trascinare con sé le masse e portare un segno di speranza anche dove, di speranza, non ce n'è.

Quest'uomo è Padre Pino Puglisi, vero e proprio eroe palermitano protagonista di “Ciò che inferno non è di Alessandro D'Avenia, che proporrà al giovane Federico un'esperienza ben più utile di qualsiasi vacanza studio all'estero: trascorrere qualche mese in mezzo ai suoi compaesani, in mezzo a quei reietti che i palermitani benestanti fingono di non vedere, perché è più semplice, perché è più comodo.

L'inizialmente recalcitrante Federico, grazie a 3P (è così che i ragazzi chiamano Don Pino), scoprirà che l'Inferno è semplicemente un luogo dove non c'è amore ma, anche se Brancaccio è la candidata ideale a ricoprire questo ruolo, che può offrire anche momenti di pura grazia e dolcezza, momenti d'amore che ci fanno finalmente capire ciò che inferno non è.

Un libro che è un vero e proprio pugno nello stomaco; anzi, in faccia, dove fa più male e non si può nascondere, perché è questo che vuol fare D'Avenia, lo scrittore siciliano che, dal già acclamato “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, ha subito una maturazione impressionante, specialmente per quanto riguarda lo stile, incisivo, di forte impatto emotivo, a tratti secco, a tratti di una dolcezza poetica: condurci per mano in una realtà per molti versi sconosciuta, dove la Mafia regna incontrastata a pochi passi da palazzi antichi e piazze affollate di gente e turisti. 

Perché, in fondo, "così sono tutti i bambini di Brancaccio: vengono iniziati all'inferno organizzando duelli alla morte tra cani randagi, seviziando gatti da gettare in pasto a quegli stessi cani da guerra o da impiccare... La luce si oscura e viene sostituita dalla rabbia di chi distrugge e non sa neanche il perché, di chi impara a dominare prima di amare, di chi non sa che amare aggiunge qualche cosa alla vita e invece odiare lo toglie, ma odiare è più facile e immediato. È una sorta di anestesia che non fa sentire la vita e la luce."

"Questo articolo è apparso il 21/05/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/ci-che-inferno-non-alessandro-davenia.html







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