Volete leggere un bel libro, di quelli intensi, che ti catturano dalla prima all'ultima pagina, in grado di conquistare il lettore con una storia vera ed emozionante? Allora date un'occhiata a questa mia recensione su "Ciò che inferno non è", del giovane scrittore siciliano Alessandro D'Avenia: non vorrete più smettere di leggerlo.
Che cos'è l'Inferno? Di
certo non è quella dimensione onirica popolata di spettri, anime in
pena, diavoli e demoni senza cuore né pietà per i malcapitati che
vi finiscono dentro, non è né religione, né superstizione né
credenza popolare.
No, l'Inferno è qualcosa di ben peggiore,
l'Inferno è quando dei bambini di dieci anni appena vivono a
contatto, quotidianamente, con una realtà fatta di violenza, soprusi
e violazione del sacrosanto diritto ad essere felici, o quando una
donna è costretta a portare in grembo il frutto di uno stupro e
viene lasciata sola nella sua terribile decisione, o ancora quando un
uomo viene trascinato sull'orlo della rovina soltanto perché si
rifiuta di sottomettersi alla volontà del più forte (o soltanto del
più prepotente).
Questa è la cruda realtà
che si trova davanti Federico, diciassettenne della Palermo bene,
quando oltrepassa il passaggio a livello che separa la città da
Brancaccio, un quartiere che fa paura, dove le leggi non sono quelle
dello Stato ma quelle di Cosa Nostra, che prosciuga i suoi abitanti
dei sogni, delle speranze, della vita stessa.
Ma perché mai un giovane
così lontano da questo ambiente così decadente dovrebbe
avvicinarvisi? Semplice, perché talvolta, nella storia, nascono
uomini eccezionali che si innalzano rispetto alla media, capaci di
trascinare con sé le masse e portare un segno di speranza anche
dove, di speranza, non ce n'è.
Quest'uomo è Padre Pino
Puglisi, vero e proprio eroe palermitano protagonista di “Ciò
che inferno non è” di Alessandro D'Avenia, che proporrà al
giovane Federico un'esperienza ben più utile di qualsiasi vacanza
studio all'estero: trascorrere qualche mese in mezzo ai suoi
compaesani, in mezzo a quei reietti che i palermitani benestanti
fingono di non vedere, perché è più semplice, perché è più
comodo.
L'inizialmente
recalcitrante Federico, grazie a 3P (è così che i ragazzi chiamano
Don Pino), scoprirà che l'Inferno è semplicemente un luogo dove non
c'è amore ma, anche se Brancaccio è la candidata ideale a ricoprire
questo ruolo, che può offrire anche momenti di pura grazia e
dolcezza, momenti d'amore che ci fanno finalmente capire ciò che
inferno non è.
Un libro che è un vero e
proprio pugno nello stomaco; anzi, in faccia, dove fa più male e non
si può nascondere, perché è questo che vuol fare D'Avenia, lo
scrittore siciliano che, dal già acclamato “Bianca come il
latte, rossa come il sangue”, ha subito una maturazione
impressionante, specialmente per quanto riguarda lo stile, incisivo,
di forte impatto emotivo, a tratti secco, a tratti di una dolcezza
poetica: condurci per mano in una realtà per molti versi
sconosciuta, dove la Mafia regna incontrastata a pochi passi da
palazzi antichi e piazze affollate di gente e turisti.
Perché, in
fondo, "così sono tutti i bambini di Brancaccio: vengono
iniziati all'inferno organizzando duelli alla morte tra cani randagi,
seviziando gatti da gettare in pasto a quegli stessi cani da guerra o
da impiccare... La luce si oscura e viene sostituita dalla rabbia di
chi distrugge e non sa neanche il perché, di chi impara a dominare
prima di amare, di chi non sa che amare aggiunge qualche cosa alla
vita e invece odiare lo toglie, ma odiare è più facile e immediato.
È una sorta di anestesia che non fa sentire la vita e la luce."
"Questo articolo è apparso il 21/05/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/ci-che-inferno-non-alessandro-davenia.html
"Questo articolo è apparso il 21/05/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
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