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giovedì 6 agosto 2015

#libri: Ugo Riccarelli, Comallamore

La storia d'amore tra me e questo libro, "Comallamore" di Ugo Riccarelli, è iniziata per caso, al supermercato (sì insomma, non sarà proprio il massimo, ma i sondaggi dicono che ci si innamora più al banco dell'ortofrutta che in discoteca...), spulciando tra le decine di volumi super scontati presenti sugli scaffali.
   Stavo soppesando con occhio critico manuali e libricini di dubbia provenienza, quando l'occhio mi è caduto su un volume con una bella copertina, un bimbo che poggia l'orecchio su una conchiglia per sentire lo sciabordio del mare.
   Dopo averlo rigirato tra le mani, leggo qualche riga sul retro, e mi conquista definitivamente, aggiudicandosi un posto nel carrello.

"Come all'amore, come all'amore" ripeté intanto il ragazzo, e quel ripetere prese quasi il ritmo di una litania ossessiva che occupava il tempo, stringeva le parole tra loro, le univa e le sintetizzava in un unico grido: "Comallamore!" urlò.
Le braccia spalancate, la testa rivolta all'insù, il giovane cominciò la sua danza sfrenata fatta di ghirigori e salti, una danza impazzita punteggiata dall'urlo della parola che aveva appena creato, con la quale aveva affrontato la paura, finalmente matto e saggio, rapito dalla felicità dell'amore che cambiava le regole della guerra e la scacciava. 
Queste le parole che hanno catalizzato la mia attenzione, e il mio presentimento non era sbagliato perché, dopo averlo letto, è diventato senza esitazioni uno dei miei libri preferiti in assoluto.
   La storia non ha nulla di strano né artefatto, un racconto ambientato al tempo della Seconda Guerra Mondiale; sai che novità, direte voi, e invece no perché, in questo caso, il terrore della guerra è filtrato attraverso gli occhi di un gruppo di personaggi indimenticabili, i pazienti di un ospedale psichiatrico (o, come veniva chiamato allora, di un manicomio), guidati sapientemente da un giovane "quasi-medico" e da un'assistente dal cuore grande come il mare.

Il protagonista principale della storia è Beniamino, giovane studente di Medicina che decide di interrompere gli studi per cercare un impiego proprio tra le mura del manicomio, luogo dove il tempo sembra essersi fermato, e che da sempre lo attrae con una forza invisibile.
   Beniamino ancora non lo sa, ma tra quelle mura diventerà un uomo, e anche un grande uomo, disposto a tutto pur di salvare le anime innocenti e dolcemente ingenue dei suoi amati pazienti.


Questo il pretesto narrativo per accompagnarci in un vero e proprio spaccato dell'Italia in guerra, di un periodo storico e di una generazione sull'orlo del baratro, dove non esistono buoni e cattivi in senso lato, ma assenza e presenza d'amore, l'unico fattore che può cambiare il corso delle cose.
   Percepire la guerra attraverso il sottile filo che divide realtà e fantasia, quello dei cosiddetti "matti", è un'esperienza che va vibrare le corde dell'anima: corpi sballottati da una violenza che non sanno comprendere né avvertire in tutta la sua efferatezza, anime fragili che reagiscono alla morte inventando altre realtà difficili da sondare.
   Come Fosco, che troverà rifugio in una parola, quella che dà il titolo al volume, inventata in un attimo di genio puro, un mantra in grado di proteggerlo e fargli capire che, per un gesto di malvagità, ce n'è sempre uno di altrettanta dolcezza, basta soltanto saperlo cogliere.



Un libro che ci trasmette un messaggio forte e che, almeno a me, ha commosso profondamente, anche grazie ad uno stile narrativo evocativo e meraviglioso, raffinato e suggestivo, in grado di coinvolgere il lettore dalla prima all'ultima pagina, grazie a sentimenti semplici e genuini.

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