"A volte mi sembra di toccarla la vita attraverso l'analisi dell'otturatore che mi permette di intravederne il senso (spietato e patologico). Altre volte mi dissemina di significati che in parte colgo, in parte lascio perché incapace di comprenderli.
... In questa mia visione, la macchina fotografica assume le sembianze di una protesi di un arto amputato che non c'è più; protesi che talune volte mi serve, anzi mi disturba, tanto che la uso solo quando voglio. Non parto sempre con la macchina fotografica al collo, spesso la lascio di proposito a casa, appoggiata su un ripiano qualsiasi, con la ricarica elettrica volontariamente a secco. Poi sembra che stia lì a chiamarmi, a chiedermi spazio, uno sprazzo di luce o di ombra. E così ci incontriamo. Io e lei, andando nel resto del mondo".
Un rapporto intenso, emozionale, tangibile quanto capriccioso, quello che lega indissolubilmente Giulia Carmen Fasolo, autrice, scrittrice, editor e fotografa siciliana dalle mille sfaccettature, alla sua fedele macchina fotografica, come emerge chiaramente dalle pagine (poche, ma decisamente buone) di L'effimero fotografico (Edizioni Smasher, 2014) saggio suggestivo e poetico sull'arte della fotografia.
Un saggio che non pretende di essere tale, di porsi come opera omnia, esaustiva sull'argomento, ma come una serie di riflessioni che scivolano nel letterario e filosofico, condita da una visione assolutamente personale di questo variegato universo artistico.
E allora. leggendolo, scopriamo come la pensa Giulia (ma non solo lei, il volumetto è ricco di citazioni tratte da grandi autori e fotografi quali Heinrich Schwarz, Diego Mormorio, Walter Benjamin, Franco Vaccari e molti altri) circa il rapporto tra otturatore e morte, sessualità, quali sono i meccanismi di difesa (e chi di noi non li ha mai messi in atto, almeno una volta?) che scattano di fronte a un obiettivo, la psicologia che sta dietro la fotografia ma anche davanti, negli occhi (e nella mente) di chi si ritrova, volente o nolente, di fronte al "mirino" della camera.
Nel complesso, un tributo alla fotografia che è una dichiarazione d'amore, un effimero che può durare il tempo di un click, di uno scatto, o un'eternità quando ci si affida alle parole, un omaggio intenso che si sviluppa attraverso un attento e puntuale excursus analitico (per non dire, direttamente, psicoanalitico) e un'indagine semantica affascinante che emana una profonda conoscenza non soltanto della materia in esame, ma della cultura nella sua accezione più ampia, il tutto attraverso uno stile elegante ma non pesante, denso ma scorrevole come un volume di narrativa.
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