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mercoledì 30 marzo 2016

#film: Mona Lisa Smile, Mike Newell

Mi è capitato di vedere, qualche sera fa, un film con qualche anno sulle spalle (è del 2003), che vale assolutamente la pena di andare a rispolverare: ispirato a una storia vera e diretto dall'eclettico Mike Newell, Mona Lisa Smile è un film davvero interessante, e non perché, com'è risaputo, ho una passione per i pipponi pro-diritti delle donne, ma perché si tratta di una pellicola equilibrata, ben strutturata e verosimile in quanto a tematiche trattate e ambientazioni.


Infatti ci mostra con dovizia di dettagli un tipico spaccato dell'America anni '50, l'epoca della guerra fredda, un momento storico spaventosamente infarcita di perbenismo e ipocrisia: una realtà in cui non tutto è come sembra, pronta ad esplodere, e che sta per dare il prepotente avvio alla fulgida fiamma del femminismo

Oltre alla tematica e all'eccellente interpretazione di Julia Roberts, il film è supportato da un ottimo cast di giovani attrici, un parterre tutto al femminile di grandissimo livello: da Maggie Gyllenhaal a Kirsten Dunst (magistrale nel suo personaggio apparentemente negativo, quello di una ragazza tradita, sola e disperata, che troverà comunque la forza di rifarsi una vita), senza tralasciare la brava Julia Stiles. 
   Il film presenta, inoltre, una ricostruzione accurata sia storico-scenografica (parte delle riprese si sono svolte proprio nell'antico college di Wellesley) sia dei costumi, e la trama stessa rende bene l'atmosfera che aleggiava nell'America dei fantastici (si fa per dire) Fifties: protagonista è la professoressa Katherine Watson, insegnante di storia dell'arte, si trasferisce al campus di Wellesley, prestigioso college femminile per rampolle dell'alta società. 
   Idealista e armata delle migliori intenzioni, Katherine è costretta a fare i conti con una realtà conformista, bigotta e repressiva, dove le stesse ragazze, ricevono un'istruzione improntata a renderle future mogli e madri di famiglia impeccabili, un traguardo nel pieno rispetto delle convinzioni sociali.
   Dopo le resistenze iniziali, Katherine cerca di spingere le sue allieve a non sacrificare le proprie aspirazioni e a non abbandonare gli studi pur di avere un marito: "Puoi fare entrambe le cose: sposarti ma anche diventare avvocato".
   I metodi di insegnamento "poco ortodossi", "troppo liberali" della professoressa Watson non sono ben visti dalla direzione del college, ma Katherine non è disposta a tradire il suo credo per avere riconfermato l'incarico, per cui decide di andarsene, lasciando in eredità alle sue allieve un messaggio di speranza e libertà impossibile da cancellare.

Un inno al femminismo, insomma, ma quello vero, fatto di forza di volontà e passione, non quello scadente del "Bruciamo i reggiseni" nelle piazze, per intenderci; un femminismo che si manifesta appieno in un film forte, intenso e commovente, ma anche molto ironico, dove l'ironia si manifesta chiaramente anche e soprattutto nelle scene finali, con la sfilata delle terrificanti pubblicità americane dell'epoca (sì, sono reali, non spaventatevi): 




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