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lunedì 9 maggio 2016

#musica: Aftermath, Amy Lee


Quest'oggi parto con una premessa: nella mia adolescenza (ma anche oggi, che tanto adolescente non sono più...) ho amato follemente, visceralmente e sinceramente gli Evanescence, ma soprattutto la punta di diamante di questo gruppo, la splendida Amy Lee, tanto bella quanto vocalmente dotata di un'ugola preziosa, di immane potenza espressiva.
 



Per questo ho sofferto del suo distacco dal resto della band, ma allo stesso tempo mi sono precipitata ad acquistare il suo album da solista, Aftermath, primo capitolo di una storia dettata dalla piena e completa libertà artistica, il risultato raggiunto da un'artista svincolata dalle logiche di mercato, tornata sui palchi e sul mercato discografico mondiale con creatività e voglia di mettersi in gioco, elogiata dalla critica ma non compresa a fondo dal grande pubblico.

Il risultato del mio primo ascolto? Contrastante, e forse anche per questo ho atteso così tanto prima di scriverne.
   Infatti si tratta di un album non semplice da ascoltare, specialmente per chi si aspetta una versione rinnovata delle sonorità degli Evanescence, una serie di tracce di forte impatto emotivo ma alle quali ci dobbiamo approcciare più volte prima di farle nostre, un prodotto completamente nuovo, nato da una notevole commistione di differenti generi musicali.

"Amy Lee Featuring Dave Eggar: Aftermath" vede la vocalist statunitense collaborare con il noto e talentuoso violoncellista Dave Eggar, con il quale ha creato la colonna sonora liberamente ispirata a “War Story”, diretto da Mark Jackson.
 
Una mezz’ora circa di musica a cavallo tra elettronica (come avevamo già pregustato con Swimming Home, dall’ultimo “Evanescence”) ed elementi classici, dove non manca un'affascinante influenza orientale che riaffiora specialmente nella suggestiva Dark Water, in duetto con la bravissima Malika Zarra. 

La voce di Amy non è la protagonista assoluta dell’intero progetto, poiché stavolta l'artista ha scelto di occuparsi principalmente di produzione, programming e composizione delle tracce.
   Immancabili i momenti pianistici, suonati ovviamente dalla Lee (come in "Drifter”), mentre l’eclettica “Lockdown” regala brividi a profusione.


Nel complesso, un lavoro intenso, sicuramente di non facile ascolto, che probabilmente farà storcere il naso ai più accaniti Evanescence-addicted, ma di gran classe, un gioiello di archi, musicalità insolite, un mix quasi ipnotico, che spero doni nuova linfa e segni il definitivo ritorno di una delle voci migliori del panorama musicale internazionale contemporaneo.

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