Oggi vi voglio parlare di un fenomeno mondiale che segnò un'epoca, un testo che avevo scritto ai tempi dell'Università per un corso di Grafica Contemporanea, e che ho rispolverato proprio in questi giorni perché considero ancora fortemente attuale.
Questo viaggio inizia tra gli anni Cinquanta e Sessanta, specialmente negli Stati Uniti, dove si assiste allo sviluppo di numerose tendenze artistiche alternative, che si distaccano marcatamente dalle forme espressive tradizionali.
Prende campo la Pop Art, una corrente artistica della seconda metà del XX secolo che prende il nome dalla parola inglese “popular art”, ovvero arte popolare, non da intendersi come arte del popolo o per il popolo ma, più puntualmente, come arte di massa, cioè prodotta in serie, ed è una delle più importanti correnti artistiche del dopoguerra.
L'altro grande fenomeno di massa è il fumetto, che proprio in questi anni viene elevato a vera e propria forma d'arte.
Per quanto riguarda la Pop Art, questo movimento discende direttamente dal graffiante cinismo del Dadaismo e della Nuova Oggettività, ma anche dalla semplicità equilibrata e dalla sintesi cromatica del Suprematismo russo di Malevic.
La nascita della Pop Art avviene negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni ’50, con le prime ricerche di Robert Raushenberg e Jasper Johns, ma la sua esplosione avviene soprattutto nel decennio degli anni ’60, conoscendo una prima diffusione e consacrazione con la Biennale di Venezia del 1964.
I maggiori rappresentanti di questa tendenza sono tutti artisti americani: Andy Warhol, Claes Oldenburg, Tom Wesselmann, James Rosenquist, Roy Lichtenstein.
Una corrente apparentemente passeggera ed effimera, ma che in realtà, a partire dagli anni Novanta del XX secolo, ha avuto nuova vita, con un secondo movimento che va sotto il nome di NeoPop, frantumandosi però in numerosi sottogruppi con diversi rimandi culturali: dal graffitismo urbano al mondo dell’undergound, dall’uso di materiali diversi come plastiche, resine ecc… al mondo dei fumetti giapponesi, dalla urban art al web design, fino a mescolarsi con riferimenti “alti”, letterari o concettuali.
Tra gli artisti più noti: Jeff Koons, Takashi Murakami, ma anche Gary Baseman, Jenny Holzer o, in Europa, Sigmar Polke, Katharina Fritsch, Gary Hume, Tim Noble.
Caratteristica interessante della Pop Art è che si serviva di oggetti presenti nella vita quotidiana trasformandoli in opere d’arte: la rappresentazione degli hamburger, delle auto, dei fumetti si trasforma presto in merce, in oggetto che si pone sul mercato (dell'arte) completamente calato nella logica mercantile.
La sfrontata mercificazione dell'uomo moderno, l'ossessivo martellamento pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita, il fumetto quale unico, residuo veicolo di comunicazione scritta, sono i fenomeni dai quali gli artisti pop attingono le loro motivazioni.
In altre parole, la Pop Art attinge i propri soggetti dall'universo del quotidiano – in specie della società americana – e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili: poiché la massa non ha volto, l'arte che la esprime deve essere il più possibile anonima: solo così potrà essere compresa e accettata dal maggior numero possibile di persone. In un mondo dominato dal consumo, la Pop Art respinge l'espressione dell'interiorità e dell'istintività e guarda, invece, al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi che circondano l'uomo contemporaneo: il cosiddetto "folclore urbano”, che porta con sé dalle bandiere americane di Jasper Johns alle bottiglie di Coca Cola di Warhol, dai fumetti di Lichtenstein alle locandine cinematografiche di Rosenquist.
Gli artisti di questo movimento hanno svolto un ruolo rivoluzionario, introducendo nella loro produzione l’uso di strumenti e mezzi non tradizionali della pittura come il collage, la fotografia, il cinema, il video e la musica, dalla quale gli stessi Beatles per alcune canzoni hanno trovato ispirazione.
La Pop Art infatti usa il medesimo linguaggio della pubblicità e risulta dunque perfettamente omogenea alla società dei consumi che l'ha prodotta.
L'artista, di conseguenza, non trova più spazio per alcuna esperienza soggettiva e ciò lo configura quale puro manipolatore di immagini, oggetti e simboli già fabbricati a scopo industriale, pubblicitario o economico.
Questi oggetti, riprodotti attraverso la scultura e la pittura, sono completamente personalizzati. Nelle mani di un artista pop le immagini della strada si trasformano nelle immagini "ben fatte" dell'arte colta.
I temi raffigurati sono estremamente vari: prodotti di largo consumo, oggetti di uso comune, personaggi del cinema e della televisione, immagini dei cartelloni pubblicitari, insegne, foto di giornali, riviste.
L'artista sa di operare all'interno di un contesto sociale, non più caratterizzato dalla netta contrapposizione tra avanguardia e conservazione, ma nell'ambito di una situazione più complessa e intricata in cui coesistono diversi livelli culturali. Porsi al di fuori di questo contesto non è possibile, né avrebbe senso, o avrebbe il senso di una nuova evasione, di un rinchiudersi nuovamente in una ristretta posizione aristocratica: l'artista pop lo sa e accetta di operare dentro il sistema abbandonando la pretesa di una redenzione totale e accettando di lavorare mediante interventi circoscritti dentro situazioni particolari e ben determinate.
Il denominatore comune a tutti questi artisti è una stessa fondamentale esigenza di realismo, di prendere coscienza della nuova condizione antropologica determinata dallo sviluppo industriale e dai mezzi di comunicazione di massa.
Ma si tratta di un realismo consapevole della convenzionalità del linguaggio artistico, del filtro che i nuovi strumenti tecnici di rappresentazione pongono tra noi e i dati della realtà.
Volendo indicare un precedente storico della pop art, è possibile risalire fino al realismo di Courbet, che si era già dato il compito di rappresentare la vita moderna. Nel catalogo della sua mostra all'Esposizione universale del 1855 l'artista aveva infatti esplicitamente dichiarato: ‟Sapere per potere, questa fu la mia idea. Essere in grado di tradurre i costumi, le idee, l'aspetto della mia epoca, secondo la mia valutazione, essere non solo un pittore, ma un uomo; in una parola, fare dell'arte viva, questo è il mio scopo".
Anche il Futurismo può essere identificato come un possibile precedente storico della ricognizione urbana condotta dalla Pop Art.
Infatti il Futurismo è stato un movimento programmaticamente pro-urbano che ha celebrato la città e la folla amplificando l'iconografia della vita moderna proposta dagli impressionisti e dai postimpressionisti.
Il primo manifesto marinettiano contiene ‟il resoconto di un incidente automobilistico, riportato come un'esilarante esperienza". Occorre aggiungere che i futuristi non si rivolgono alla scena urbana soltanto come a un repertorio tematico, di ordine contenutistico, ma si rifanno soprattutto alle mutate condizioni ambientali per cogliere nuovi procedimenti di formazione dell'arte introducendo le nozioni di coinvolgimento e di simultaneità.
Come già indicato, grande elemento di riferimento della Pop Art fu proprio il fumetto.
Questo genere di lettura era già diffuso dagli anni ‘40 ma riusciva ad attrarre a sé solo un pubblico di ragazzini: infatti proprio a questi ultimi si riferivano le grandi case editrici fumettistiche, escludendo completamente l’idea di diffondere i fumetti tra un pubblico molto più vasto.
Grazie all’artista Roy Lichtenstein, che negli anni ‘50-60 ha riprodotto in grande scala vignette tratte da giornali come Dick Tracy e anche da personaggi dei cartoni animati, trasformando le vignette in veri e proprio quadri, questo genere si è diffuso anche tra il pubblico adulto.
L'artista ha aperto la strada a una nuova considerazione del fumetto da parte della cultura e, in particolare, del mondo dell'arte: con l'artista newyorkese il linguaggio fumettistico, con le sue figure e le parole stereotipate, viene ad assumere un ruolo privilegiato.
Negli stessi anni Andy Warhol realizzava quadri con immagini di comics e, successivamente, molti altri artisti hanno utilizzato nelle loro opere elementi tratti da questo universo iconico.
Spesso si è cercato di “sbarazzarsi” di Lichtenstein come di “quello che ingrandisce i fumetti”; adolescente durante la “Golden Era” dei comics, nella maturità l'artista non torna ai racconti a fumetti per un irrazionale richiamo sentimentale, ma in realtà esplora le “moderne mitologie volgari di pathos adolescenziale e di distruzione dell'uomo adulto, con un lessico visivo che ha la potenza dell'espressionismo astratto”.
In fumetti come “Drowning Girl” o “Ok hot shot”, entrambi del 1963, oppure in “Hopeless” e in “Eddie Diptych”, dello stesso anno, l'artista americano lucidamente condensa l'anonimo e industrializzato repertorio delle immagini prodotte per la comunicazione di massa.
Roy Lichtenstein realizzò una sua personale visione dell’America, grazie a una particolare tecnica che si avvaleva del linguaggio puntinato, un metodo usato per realizzare i fumetti, che veniva ottenuto grazie alla sovrapposizione di una retina metallica sopra alla tela.
Lichtenstein utilizzò questa tecnica non solo per esplorare un altro metodo espressivo ma anche per criticare la tecnica pittorica dell’astrattismo e per trovare una nuova forma artistica che coniugasse arte e cultura popolare.
Il fumetto non era considerato un’opera d’arte ma era invece visto più come una popolare forma alternativa di comunicare in modo sintetico un racconto.
Naturalmente le cose in seguito cambiarono e il fumetto divenne anche un’opera d’arte e sicuramente un mezzo espressivo che poteva contenere canoni artistici.
Fu comunque Lichtenstein ad utilizzarlo per la prima volta in questo senso, benché le sue opere non possano essere paragonate al fumetto.
Infatti, osservando con attenzione i suoi quadri, si distanziano in modo sostanziale dalla vignetta o dalla tavola del fumetto. Innanzi tutto i suoi disegni sembrano non suscitare alcun sentimento o stato d’animo, a guardarli sembrano distaccati, come se riuscissero a rarefare uno stato d’animo all’infinito, senza bisogno di avere un’immagine successiva, ma raccontando la loro storia dentro all’immagine che rappresentano. In questo sono senso quadri totalizzanti, che contengono una storia dall’inizio alla fine.
Anche nell'opera di Roy Lichtenstein l'universo quotidiano è sottoposto a un procedimento sorretto da una fortissima intenzione formalizzante.
L'artista si rivolge ai mezzi di comunicazione di massa e in particolare alle ‛storie' dei fumetti e, più in generale, ai prodotti dell'industria culturale, ma crea uno stacco marcato tra il messaggio di questi prodotti e le immagini che vengono rese, invece, con una definizione asciutta, ironicamente aristocratica della forma.
Si comprende perciò come un quadro di Lichtenstein, che si presenta in superficie come una mera riproduzione dei comics, finisca in realtà con il riassumere in sé, nel suo contesto circoscritto, una vera e propria ‛storia' delle correnti visive contemporanee. Di qui il largo impiego della ‛citazione' (le riprese testuali da Cézanne, Mondrian, Léger e altri, ma, per quanto riguarda più specificamente il segno, anche da Seurat e da Gauguin, da Van de Velde e dall'Art Nouveau).
Per quanto riguarda l'ambito prettamente fumettistico, un disegnatore che introdusse la Pop Art mescolata al Surrealismo e atmosfere psichedeliche fu Jim Steranko.
Questi ebbe la grande idea di inserire immagini in collage nelle sue vignette e colori molto accesi e surrealistici che si ispiravano all’arte di Warhol, creando atmosfere uniche e affascinanti; si possono vedere queste tavole negli albi del personaggio della Marvel Nick Fury (anni ‘70-80).
Molti critici definirono il suo stile come “Zap Art”, cioè un'arte di strada, metropolitana, vicina alla Street Art.
Steranko si ispirò ai romanzi di Ian Fleming sull’agente 007, ma in seguito furono i registi dei film sulla spia britannica che vennero influenzati dalle vicende di Nick Fury.
Steranko assorbì e adattò il suo stile alle tecniche di Jack Kirby, uno dei più celebri ed influenti autori di fumetti della storia, che ha collaborato per molti anni per la casa fumettistica Marvel.
Prolifico e con uno stile riconoscibile a prima vista, divenne il modello per generazioni di autori, grazie all’uso di fotomontaggi (in particolare per gli sfondi cittadini) e il frequente ricorso ai disegni a piena pagina privi di vignette, che occupavano uno, due o addirittura quattro fogli.
Un fumettista che utilizzò queste tecniche fu Will Eisner,considerato il padre dell’“arte sequenziale” perché reinventò completamente la struttura delle vignette, dei dialoghi e del movimento dei personaggi con i racconti del suo personaggio “The Spirit”.
Un altro fumettista che ha sfruttato lo stile della Pop Art è sicuramente Frank Miller, creatore e disegnatore dell’affascinante serie di fumetti “Sin City”, pubblicata dalla “Dark Hours”.
In questi cartoon non ci sono figure in bianco e nero, ma una vera e proprio lotta tra la luce e le ombre in cui non è presente alcun tipo di sfumatura e dove il bianco è quasi abbagliante e il nero è color pece.
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