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giovedì 15 ottobre 2015

#film: Il Grande Lebowski, un'icona cinematografica intramontabile


Qualche giorno fa mi sono finalmente decisa a guardare un film che avevo in lista da tempo immemore, Il Grande Lebowski, attratta dalla fama e dal successo di questa pellicola ma soprattutto del suo atipico protagonista, coinvolto in ogni genere di rocambolesche peripezie. 
   Cult dei fratelli Coen del lontano 1998, si basa essenzialmente sullo scanzonato ed estroso Jeffrey “Drugo” Lebowski, il tipico prototipo dell'antieroe, un uomo che deambula in vestaglia dismessa e mutandoni a quadri, un'icona cinematografica nonché vero e proprio idolo del cinema contemporaneo e di un’intera generazione, un hippie scazzato amante della easy life che, suo malgrado, verrà risvegliato dal suo torpore a causa di un gioco di equivoci davvero esilarante. 



Lontanamente ispirata al Grande Sonno di Chandler, è un’opera che racchiude in sé un esplosivo mix di generi diversi e grottesche situazioni, in una contaminazione che si divide tra noir, commedia e crime story, condita da una buona dose di cinismo e devastante realismo.

Jeff Bridges è assolutamente perfetto nel suo ruolo, un essere privo di qualsiasi tipo di ambizione o preoccupazione, disilluso nei confronti della miseria umana e consapevole della propria inutilità, ma ostinato a trascorrerla con rassegnazione tra uno spinello, un bicchiere di White Russian e una partita a Bowling.

Altro pilastro portante del film, un formidabile John Goodman, ossessionato dal ricordo dei “compagni morti con la faccia nel fango” in Vietnam, ex soldato instabile e autodistruttivo, e ancora il taciturno Donny (Steve Buscemi), di un'ingenuità disarmante. 
   Una vita tranquilla, insomma, ma il dolce far niente di Drugo (“The Dude” in lingua originale alludendo all’assoluta anonimia del personaggio) &Co verrà interrotto da una spirale di "violenza" (più o meno, più che altro di demenza) tra presunti falsi rapimenti, aggressioni e scambi di identità, una farsa borghese orchestrata da un ricco e costellata di incontri con grotteschi personaggi, tra cui la visionaria artista femminista interpretata da Julianne Moore, l’ispanico John Turturro in tutina rosa attillata e il magnate del mercato pornografico Jackie Treehorn.

Una realtà allucinata raccontata attraverso una visione psichedelica, priva di logica ma incredibilmente ironica e dissacrante, che ci pone di fronte ad un'amara e disincantata analisi critica della decadente società contemporanea, quell’America dove si “rispetta un regime di droghe pesanti per mantenere la mente flessibile”.




A chiudere il cerchio il bowling, uno sport che diventa metafora dell’esistenza umana che scorre come una palla in pista, senza sapere se il lancio sarà vincente o un fallimento assoluto, ma che val comunque la pena di provare. 
   Nel complesso, dialoghi coloriti e talvolta assurdi, sperimentazioni stilistiche che hanno fatto dei fratelli Coen un consolidato marchio di fabbrica, brillante sceneggiatura e una colonna sonora da paura, che va da Bob Dylan ad Elvis Costello
   Un film che o si ama o si odia, ma che comunque non lascia mai indifferenti al “modo attraverso il quale la dannata commedia umana si perpetua”.

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