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martedì 20 ottobre 2015

#libri, #attualità: Erri De Luca, quando la libertà di parola vince sulla politica

"Questa classe politica verrà spazzata via, per raggiunti limiti di indegnità"
Parole sante, quelle di Erri De Luca, parole, queste, e molte altre, che gli sono costate la stima di milioni di italiani, ma (legge del contrappasso docet) anche le antipatie di una classe politica incapace, che teme la verità e l'onestà più della peste.


Quando ho appreso dell'assoluzione dello scrittore napoletano, accusato di istigazione a delinquere per le sue dichiarazioni pubbliche a sostegno del sabotaggio della Tav, ho provato un senso di sollievo, una piccola sensazione di vittoriosa rivalsa perché, almeno per una volta, la verità ha avuto la meglio sul marcio che ci circonda.
   Non voglio assolutamente entrare nel merito della bagarre Tav sì, Tav no anche perché, se devo esser sincera, fatico ad avere un'opinione precisa e sicura: troppe ombre, lo spauracchio del progresso e quello del bene della nostra terra, troppi chiaroscuri in una vicenda di cui noi comuni cittadini potremo conoscere neppure la metà dei fatti reali.

Tornando a De Luca, è stato assolto dal Tribunale di Torino perché il fatto non sussiste: è finito così uno dei processi più discussi degli ultimi anni, un processo alla libertà di parola e di espressione, non soltanto ad un singolo uomo, un processo che ha mobilitato intellettuali e politici, soprattutto francesi.
   Ecco appunto, soprattutto francesi; e i nostri?
Sopiti in una protettiva coltre di indifferenza e menefreghismo, o soltanto di pura convenienza?
   Per carità, in molti hanno firmato la petizione per l'innocenza di De Luca, ma si sono fatti notare maggiormente i grandi assenti, come spesso accade.

Dopo la sentenza, lo scrittore napoletano ha dichiarato:
"Non è una vittoria, è stata impedita una ingiustizia, quest'aula è un avamposto sul presente prossimo; adesso - ha aggiunto - andrò a Bussoleno in val Susa a un appuntamento che avevo già preso tempo fa con gli amici che attendevano la decisione del giudice".
E ha proseguito, incurante del rischio corso nel ribadire un'ideologia troppo scomoda:
"Sarei presente in quest'aula anche se non fossi io lo scrittore incriminato per istigazione. Aldilà del mio trascurabile caso personale, considero l'imputazione contestata un esperimento, il tentativo di mettere a tacere le parole contrarie. Confermo la mia convinzione che la linea sedicente ad Alta Velocità va intralciata, impedita e sabotata per legittima difesa del suolo, dell'aria e dell'acqua".
E ancora:
"Sabotare, verbo nobile e democratico pronunciato e praticato da Gandhi e Mandela con enormi risultati politici. Quello che oggi saboterei è la passività degli italiani: ci siamo abituati che la corruzione è un dato di fatto, che i giornali disinformano. Servono atti di resistenza, come quello che può fare uno scrittore a sostegno di popolazioni minacciate”. 
Un processo che è stato definito, dallo stesso incriminato, assolutamente "politico", perché politica era la volontà di repressione della parola.
   Una parola che, finalmente, ha riacquistato in parte la sua importanza, uscendo dal tribunale, andando tra la gente comune, scuotendo le coscienze.

Immediate le reazioni di politicanti e politichini di ogni sorta, inviperiti, che hanno apostrofato De Luca con parole pesanti, accuse infondate, istigazione alla violenza, ad atti vandalici, e chi più ne ha più ne metta.
   Idem molti giornalisti (o forse giornalai? La linea di confine è sottile...).

Ma suvvia, in un Paese dove il meno corrotto dei politici ha sulla testa, a mo' di spada di Damocle, imputazioni per associazione mafiosa, dove il mantenere decine e decine di escort con il denaro pubblico è sinonimo di virilità anche a 80 anni, dove alle donne, ancor oggi, è concesso di far carriera sotto a una scrivania piuttosto che dietro, dove si devastano città perché, in fondo, "un po' di bordello ci sta sempre", dove la Mafia non è più quella de "Il Padrino", ma ce la ritroviamo addosso da Bolzano a Siracusa, ci scandalizziamo e terrorizziamo perché uno scrittore (non un terrorista, UNO SCRITTORE, categoria piuttosto innocua, nel complesso, che dite?) si permette di esprimere la propria opinione, e lo trasciniamo in un'aula di tribunale per questo?
   Proprio in Italia, dove in galera non vanno nemmeno gli stupratori e gli assassini, dove il femminicidio è all'ordine dl giorno e nessuno fa niente?


   Se in questo Paese il problema più grande fosse Erri De Luca, saremmo certamente tra le nazioni più progredite, civili e illuminate al mondo, utopistica chimera, ahimé.

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