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venerdì 20 novembre 2015

#libri: La scomparsa di Patò, Andrea Camilleri


Inizio questa mia nuova recensione con una premessa: sono una neofita dei romanzi di Andrea Camilleri, non ho mai letto nulla che riguardasse il celeberrimo Commissario Montalbano, e le mie conoscenze su questo autore, fatta eccezione per la sua biografia, si limitano ai volumi "La concessione del telefono", "Il gioco della mosca" e "La scomparsa di Patò".
   Per cui, sfegatati fan, non me ne vogliate.

Oggi vi parlerò proprio de "La scomparsa di Patò", un'opera decisamente sui generis che, forse anche per una sana dose di deformazione professionale, non potevo non apprezzare.
   Infatti, da buona giornalista, la lettura di un libro che contiene pagine di giornale, articoli che contribuiscono allo svolgimento della narrazione, frammenti di verbali e simili non poteva che procurarmi un immenso piacere.



Traendo ispirazione da un passo di "A ciascuno il suo" di Leonardo Sciascia (patriottico, Camilleri cita spesso scrittori suoi conterranei, uno su tutti Luigi Pirandello, conosciuto e ricordato con timore e rispetto reverenziale dallo scrittore appena bambino), l'autore rielabora un fatto realmente accaduto nel 1919, reinventando quasi interamente un vero e proprio dossier che va dal 20 marzo al 28 aprile 1890.

Tra lettere scritte a mano, rapporti giornalieri riservati scritti da Carabinieri e rappresentanti della Pubblica Sicurezza, relazioni alquanto atipiche e molto altro, si snoda una narrazione che non procede per capitoli ma per frammenti, priva di una voce narrante poiché sono i frammenti stessi a raccontarci questa storia tragicomica.
   La vicenda? Subito dopo la rappresentazione del “Mortorio” (la “Passione di Cristo”, opera teatrale del cavaliere d’Orioles) che, a Vigàta, si tiene il Venerdì Santo, il ragioniere Patò Antonio, uomo d'onore e direttore presso la filiale della Banca di Trinacria, minacciato di morte dal commerciante Ciaramiddaro Gerlando, scompare senza lasciare traccia.
   Diverse le ipotesi: da quella attinente a una momentanea perdita di memoria, per cui stava vagando senza la capacità di ritrovare la strada del ritorno, al suo assassinio per ragioni su cui bisogna indagare.
   Murì Patò o s’ammucciò? (Patò è morto o si è nascosto?), questo il dilemma.

Un giallo apparentemente semplice, classico, che non mostra particolari pregi né meriti.
   E invece no.
Perché Camilleri ci vuole mostrare il rovescio della medaglia di quella sua tanto amata Sicilia, il malcostume, la corruzione, la pochezza delle istituzioni che, quando il maresciallo dei Carabinieri e il responsabile della Pubblica Sicurezza, superato il reciproco antagonismo, riescono a raggiungere il bandolo della matassa, decidono di insabbiare il tutto per non portare a galla una verità troppo scomoda e disdicevole, e ancora le manie e i peccatucci del popolo, che nulla sono in confronto alle meschinità della autorità, locali e non.
   Vi dice nulla?
La vicenda sarà anche ambientata nel 1890 ma, dopo 125 belli giusti, è forse cambiato qualcosa? Camilleri ci regala una riflessione politica e sociale sulla realtà contemporanea, e lo fa attraverso le armi più potenti che l'essere umano ha a disposizione: l'ironia, l'intelligenza, quel sottile piacere nel svelare altarini nascosti con tanto zelo, il tutto sorretto da una notevole padronanza di diversi registri linguistici: dal tradizionale stile dalla forte cadenza insulare, tipicamente dialettale, a quello giornalistico (anche qui con varie sfumature, dal giornalismo di denuncia a quello ossequiente, dalla cronaca asettica all'articolo di fondo appassionato), da quello agiografico a quello prettamente burocratico.

Infine, un plauso particolare va alla fortissima caratterizzazione dei personaggi: dall'irreprensibile uomo di famiglia, che poi tanto irreprensibile forse non è, alle donne sensuali e dedite alla casa e alla famiglia, dai mascalzoni immischiati con la Mafia al maresciallo dei carabinieri apparentemente incapace, ma in realtà dedito alla verità più di chiunque altro, dal prefetto corrotto al ruffiano di turno, personaggi di sapore e stampo teatrale che tanto mi ricordano proprio quel genio di Pirandello citato ad inizio articolo.
   Insomma, comicità, velata denuncia sociale, ironia e profonda analisi umana, tutto questo è "La scomparsa di Patò".

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