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martedì 10 novembre 2015

#viaggi: L'antica via del tè e dei cavalli, ancestrale fascino orientale

Solitamente amo parlarvi di arte, cinema, libri, musica, fotografia, e tanto altro, ormai ci siete abituati. Ma oggi vi condurrò in un viaggio virtuale sulle ali della storia, un percorso tanto insidioso quanto suggestivo che mi è venuta voglia di intraprendere grazie ad uno spunto terribilmente quotidiano: il rito del tè, pomeridiano o serale che sia.
   No, non si tratta di un rito da me praticato in prima persona, ma dal mio ragazzo, grande estimatore di questa bevanda che, mio malgrado, non riesco proprio a farmi piacere.
   Nonostante questo, non sono rimasta indifferente alle sue antichissime origini, che mi hanno tentata verso un piacevole lavoro di ricerca. In fondo, libri, cultura e tè vanno a nozze, quindi non siamo poi così fuori tema.


Il nostro viaggio inizia nel cuore montuoso del Sichuan occidentale, una foresta di bambù che cela, al suo interno, un sentiero leggendario, la celebre "via del tè e dei cavalli", un'importante rotta commerciale nonché la principale via di collegamento tra la Cina e il Tibet. 
   Un sentiero di cui oggi rimane soltanto un lungo e sottile acciottolato, battuto anticamente dai bastoni delle centinaia di migliaia di portatori che per un millennio hanno percorso questa strada.

Un tempo, il percorso si estendeva per oltre 2.200 chilometri nel cuore del Catai e conduceva da Yaan, nella regione del tè del Sichuan, a Lhasa, la capitale del Tibet che sorge a circa 3.500 metri d'altezza. Il sentiero, uno dei più alti e accidentati dell'Asia, iniziava tra le valli cinesi, attraversava l'Altopiano del Tibet, guadava le acque gelide dei fiumi Yangtze, Mekong e Salween, fendeva la catena del Nyainqentanglha, superava quattro valichi a quota 5.000 e finalmente scendeva fino alla città sacra.
   Un sentiero che, per quanto frequentato costantemente, era comunque irto di banditi, una minaccia costante, uno snodo commerciale fondamentale nato perché la Cina aveva qualcosa che il Tibet voleva: il . Uno scambio, tuttavia, equo: infatti anche il Tibet aveva qualcosa di cui la Cina aveva disperato bisogno: i cavalli.


Una vita estenuante, quella dei commercianti dell'epoca, ben lontana dalla concezione odierna: infatti i portatori di tè, uomini e donne, in genere trasportavano dai 70 ai 90 chili di carico, ma i più forti arrivavano anche a 130. Ovviamente, maggiore il carico, maggiore il guadagno: un chilo di tè veniva pagato con un chilo di riso.
   Indossando stracci e ai piedi sandali di paglia, i portatori attraversavano i valichi innevati con ramponi di ferro. Il loro unico nutrimento consisteva in un sacchetto di pane di granturco e di tanto in tanto una ciotola di tofu, e non tutti riuscivano a sopravvivere alla fatica, alle intemperie e agli stenti.

Vuole la leggenda che il sia giunto per la prima volta in Tibet nel 641, quando la principessa Wen Cheng della dinastia Tang sposò il re tibetano Songtsen Gampo. La famiglia reale e i nomadi tibetani presero l'abitudine di bere il per una serie di ottimi motivi: era una bevanda calda in un paese dal clima freddo non poteva che esser vista come una manna dal cielo.

Tuttavia, il prodotto che arrivava in Tibet attraverso la "via del tè e dei cavalli" non era raffinato, ed era decisamente lontano dalla concezione di bevanda che abbiamo oggi.
   Infatti il tè verde, ricavato da germogli e foglie non ossidati, destinato al Tibet, ha un sapore particolarmente amaro, non semplice da apprezzare.
   Nonostante questo, nell'XI secolo i panetti di tè verde erano diventati vera e propria moneta di scambio. La dinastia Song li utilizzava per acquistare dal Tibet i vigorosi destrieri con cui affrontare in battaglia le feroci tribù nomadi del nord, antenate dell'orda di Gengis Khan.
   Il divenne la principale merce di scambio tra Cina e Tibet. Secondo la tariffa fissata dall'Agenzia del tè e dei cavalli del Sichuan, istituita nel 1074, 60 chili di tè pressato equivalevano a un cavallo.
   Nel XIII secolo, la Cina barattava tonnellate di tè ogni anno in cambio di circa 25 mila cavalli. 
Lo scambio di tè e cavalli proseguì per tutta la dinastia Ming (1368-1644) fino a metà dell'epoca Qing (1645-1912).

Oggi la strada settentrionale è asfaltata e si chiama Statale 317; vicino a Lhasa corre parallela alla ferrovia Qinghai-Tibet, la più alta del mondo. Anche la via meridionale, l'attuale Statale 318, è asfaltata: il vi viene ancora trasportato, ma all'interno di camion, che trasportano prodotti di ogni genere.
   Per quanto riguarda il tratto occidentale della rotta centrale, che si arrampicava sui monti Nyainqentanglha in Tibet, non è mai stato asfaltato perché troppo impervio e pericoloso.


Per quanto riguarda il presente, facendo qualche ricerca ho scoperto che, ad oggi, esiste un nuovo commercio, particolarmente fiorente, lungo quella che una volta era la "via del tè e dei cavalli": si tratta dei cosiddetti "Yartsa gompo", sostanzialmente bruchi essiccati, pagati dai 4 ai 10 dollari.
   Lo yartsa gompo (che in Cina viene chiamato chong cao) è un bruco infettato da un parassita che vive solo nei terreni erbosi oltre i 3.000 metri, parassita che uccide il bruco e poi si nutre del suo corpo. Tutti gli anni a primavera i nomadi tibetani perlustrano i pascoli degli yak con una paletta ricurva di metallo alla ricerca dei bruchi, bestiole che, nonostante le ridotte dimensioni, valgono più dell'intero yak.

Infatti, nelle farmacie cinesi di tutta l'Asia, il chong cao viene venduto come rimedio contro i danni dell'invecchiamento, e come cura per decine di mali, dalle infezioni alle infiammazioni, dalla stanchezza al catarro, fino ai tumori.
   I bruchi migliori costano circa 60 euro al grammo, per darvi un'idea, quasi il doppio del prezzo attuale dell'oro.
   Insomma, tè, cavalli o bruchi che siano, questa ancestrale strada ci mostra quanto l'ingegno dell'uomo, anche attraverso terre impervie e spesso poco generose, riesca a destreggiarsi e a dare vita ad attività fiorenti in grado di portare ricchezza e sapere anche nelle lande più sperdute di questo intrigante e suggestivo pianeta.

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