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giovedì 3 settembre 2015

#spettacolo: Antonio Ornano e "l'animale uomo", istruzioni per l'uso.

Qualche sera fa mi è capitato di assistere a uno spettacolo di cabaret live di Antonio Ornano, volto noto della grande famiglia di Zelig, comico spezzino trapiantato a Genova: un tipo semplice, che si è presentato sul palco in jeans e maglietta anche un po' malconcia, zero pretese e tanta umiltà.
   Strano, solitamente chiunque riesca a raggiungere anche soltanto un briciolo di celebrità, cammina almeno a due spanne da terra.

Un buon inizio, che è riuscito a convincere anche me che non amo eccessivamente la comicità da programma televisivo, spesso volgare e scontata, imbarazzante (non perché io mi scandalizzi, per carità non sono un'educanda, ma perché mi vergogno per la bassezza che alcuni riescono a raggiungere con certi monologhi che, probabilmente, uscirebbero più raffinati al mio cane di un anno e mezzo).
 

Battute divertenti nonostante il tema non sia affatto originale, ovvero l'inconciliabile diversità tra uomo e donne, due specie "animali" così diverse ma così complementari, ognuna unica nella sua imperfetta bellezza.
   Battute prive di volgarità gratuita, che raccontano di una vita di coppia "normale", dove l'uomo ne esce sempre un po' remissivo e la donna un po' bisbetica, in un continuo compromesso che è poi quello che sta alla base di ogni rapporto.

Il che non vuol dire farsi mettere i piedi in testa o venir meno alle proprie idee, come potrebbe pensare qualche femminista incarognita leggendo le mie parole, ma semplicemente imparare ad ascoltare i bisogni dell'altro, e cercare di rendersi felici a vicenda (o almeno ci si prova, insomma).
   Impossibile? Non direi. Banalità a go-go, dette per accattivarsi il pubblico? Neanche, poiché i continui riferimenti ad una moglie con il quale condivide la vita da oltre vent'anni hanno avvalorato ciò che, pur con ironia dissacrante, Ornano ha sottolineato durante il suo spettacolo, il fatto che le nevrosi della vita quotidiana stanno distruggendo a poco a poco il piacere dello stare insieme.

Viviamo attaccati ad uno smartphone manco fosse il prolungamento naturale del nostro braccio, quando andiamo in giro la nostra massima preoccupazione è quella di scattare più selfie possibili con tanto di bocca a culo di gallina ("duck face" mi sa un po' troppo di eufemismo, e io non sono il tipo da eufemismi) da condividere immediatamente su Facebook, fotografiamo fette di prosciutto durante il benedetto "ape", chiappe al vento, baci appassionati con l'occhietto rivolto alla fotocamera, pose plastiche manco fossimo sulla passerella della collezione autunno/inverno di Armani.

Poi, se ci mettono davanti ad un caffè in un baretto semplice semplice, senza aggeggi tecnologici a farci da barriera, da scudo nei confronti della realtà che ci circonda, diventiamo fragili, ci sentiamo a disagio, magari anche con quella persona che dovrebbe essere speciale, e farci sentire davvero noi stessi.

Una realtà sconcertante che può emergere anche da un semplice spettacolo comico, e che sta a noi cambiare, riscoprendo il piacere di stare in compagnia (reale, non virtuale, che quella non conta), liberandoci delle maschere che ci nascondono il volto facendoci sentire più forti e spavaldi, smettendola di fare i fenomeni sui social, se poi di persona non siamo nemmeno in grado di sostenere una conversazione a quattrocchi.



Ornano, pur nella sua semplicità, ha avuto il merito di sottolineare, e ce n'è sempre più bisogno al giorno d'oggi, quanto i rapporti umani si stiano logorando, ma anche l'importanza di riscoprirsi ogni giorno, perché in fondo è vero che la felicità sta nelle piccole cose, anzi in quelle piccolissime, private, personali, da custodire con gelosia, con quei "pochi ma buoni" che valgono molti di più dei mille e passa amici facebookiani.

Amen, andate in pace ragazzi.

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