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mercoledì 30 settembre 2015

#film: Paolo Virzì, Il capitale umano

Viviamo in una società di merda, perdonate l'eufemismo, ma è inutile continuare a girarci attorno, più mi guardo intorno e più ne sono convinta.
   Ed evidentemente non sono l'unica, anche il regista Paolo Virzì credo la pensi come me, visto la trama e le implicazioni contenute all'interno di un film, Il capitale umano, che ci offre uno spaccato decisamente realistico di ciò che ci circonda, un'orda di fenomeni da baraccone che anelano a una ricchezza sempre più cospicua, a uno status sociale un po' più alto, ad avere l'auto più bella rispetto al vicino, o l'amante un po' più giovane.
   Per che cosa, poi? Per ritrovarsi impoveriti, attanagliati da una tale sterilità d'animo e di sentimenti dalla quale difficilmente si riesce a sfuggire.




Siamo abituati a vedere Virzì alle prese con il genere della commedia, invece stavolta ha saputo stupire il suo pubblico con un noir decisamente riuscito, che mi è capitato di vedere giusto un paio di sere fa, e che non mi ha lasciata indifferente.

Ma andiamo per ordine, parliamo un po' della trama: tutto inizia e ruota attorno a un incidente stradale, un ciclista investito da un SUV, che prosegue la sua folle corsa senza fermarsi a soccorrere la vittima. Un fatto di cronaca tristemente quotidiana, aggiungerei.
  Da qui, il film si spezza in capitoli, che si concentrano sulla vita di ciascun protagonista, pur mantenendo un forte senso di unitarietà e un'assoluta comprensione per lo spettatore, un puzzle da ricostruire pezzo dopo pezzo, dolore dopo dolore.

Per primo osserviamo la realtà sotto lo sguardo di Dino Ossola, un immobiliarista in difficoltà a causa della crisi, interpretato da un Fabrizio Bentivoglio con accentuato accento lombardo, un uomo volgare, privo di acume che, approfittando della relazione della figlia Serena (Matilde Gioli) con il rampollo della ricca e potente famiglia Bernaschi, aspira a un'ascesa sociale per lui impossibile.
   Il secondo punto di vista è quello di Carla Bernaschi (Valeria Bruni Tedeschi), moglie ricca e insoddisfatta, ex attrice che troverà una momentanea consolazione in una romantica relazione extraconiugale.
   Il terzo punto di vista è di Serena Ossola, la figlia di Dino, la voce più autentica, l'unica che cerca l'amore vero, insieme alla matrigna, psicologa (Valeria Golino), una donna dolce e forte al tempo stesso.
   Il finale è lacerante, straziante ma non inaspettato, estremamente drammatico nella sua autenticità.

Per quanto riguarda le singole interpretazioni dei vari attori, siamo davanti a un orologio dall'ingranaggio perfettamente oliato, tutto funziona a meraviglia e si incastra senza attriti.
   Superbi gli attori già noti sul grande schermo, specialmente Bruni Tedeschi, spaventosamente espressiva nel suo patetismo, nella sua rassegnazione, nel suo mancato riscatto, mancato davvero per un soffio.
   Decisamente interessanti anche i nuovi volti, specialmente quello di Matilde Gioli, che mi ricorda una Eva Green ancora acerba, e per questo ancor più bella e affascinante.

Un film che non esiterei a definire feroce, perché ti sbatte in faccia lo squallore della realtà senza mezzi termini, la massima estremizzazione di una società dei consumi che ci sta divorando, in un Paese dove, se non sei ricco, non conti nulla, tutto si può comprare, tutto ha un prezzo.
   Anche la vittima sacrificale di questa storia, il malcapitato ciclista che abbiamo citato all'inizio, la cui vita spezzata varrà un ben misero risarcimento alla famiglia, valutato in base al cosiddetto "capitale umano", per definizione "l'insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi".




Per concludere vi lascio con una frase tratta dal film, sicuramente la più inflazionata, ma la più cruda e veritiera: “Avete scommesso sulla rovina del nostro paese e avete vinto”, dice un'amareggiata Carla al marito Giovanni, che giustamente la corregge, quasi rivolgendosi agli spettatori: “Abbiamo vinto, ci sei anche tu”.
   Nessuno è innocente, anche chi non si sporca le mani in prima persona è comunque partecipe del baratro dentro al quale stiamo precipitando, e Virzì ce lo sottolinea con raffinato candore, lasciando finalmente da parte quell'indulgenza cinematografica che ha avuto il sopravvento fino ad oggi.

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