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giovedì 30 giugno 2016

#viaggi: Napoli, terra di sole, mare, bellezza e buonumore

Eccomi, come promesso, con un piccolo "diario di viaggio" della mia breve vacanza in quel di Napoli, città meravigliosa dove il profumo del mare, il calore del sole, l'allegria della gente e il fascino del centro storico si mescolano in un connubio perfetto.

Prima di partire con il resoconto e un po' di consigli di viaggio, devo fare una premessa che mi preme particolarmente: da buona piemontese, sono partita con una bella dose di entusiasmo ma anche, e lo dico sinceramente, con qualche pregiudizio, dovuto sicuramente alla cattiva fama che questa città, ingiustamente, troppo spesso ha in giro per l'Italia e non solo.
   Lo scenario dipinto dall'ignoranza collettiva la dipinge come un luogo carico di delinquenza, violenza, pericoloso, insomma da evitare.
   Errore, madornale errore. Io ho trascorso 3 giorni (dal mattino al tardo pomeriggio) a girare da sola, senza risparmiarmi, cercando di godere appieno della vitalità del centro storico partenopeo, e le tanto paventate "brutte sorprese" non si sono palesate.
   Fortuna? Non credo, soltanto un pizzico di buon senso (ovvio che, se vedete vicoletto sperduto, non frequentato, magari se siete una ragazza e anche sola evitatelo o perlomeno prestate un po' di attenzione) e tanta voglia di scoprire una città per me nuova scevra da preconcetti e inutili timori. 

Detto questo, ecco un sunto del mio girovagare napoletano: in principio fu Pompei,
   Ebbene sì, approfittando della presenza del moroso - ferroviere (successivamente impegnato con i suoi corsi di aggiornamento) ci siamo concessi un lungo pomeriggio tra gli scavi archeologici della magica Pompei, nonostante la stanchezza del viaggio in treno.
   Un luogo di indicibile interesse storico/artistico, dove la bellezza permea ogni angolo di questa città addormentata: abbiamo trascorso qui oltre cinque ore, che non sono nemmeno sufficienti per vedere per intero le rovine, godendo della bellezza delle domus (imperdibili le case del Poeta Tragico - con il famoso mosaico del Cave Canem - del Fauno, la Villa dei Misteri e molte altre), dei teatri, dell'anfiteatro, del lupanare, delle stradine che si inerpicano nei meandri della città, tra necropoli, botteghe, fulloniche, tabernae e thermopolia, per non parlare dei giardini, dei templi, dei mosaici e degli affreschi ivi conservati.
   Unico consiglio: acqua sempre a portata di mano, visto le temperature torride, crema solare, cappellino e scarpe comode, oltre ovviamente alla cartina sempre alla mano.


































Provati dalla splendida Pompei, la sera non ci si può rifocillare altrimenti che con una bella pizza napoletana: imperdibile la pizzeria Sorbillo, storico locale nella centralissima Via dei Tribunali, uno dei decumani cittadini, non ne rimarrete delusi.






E ora inizia il mio tour in solitaria: si parte subito con il percorso della Napoli Sotterranea, una delle esperienze più intense che abbia mai provato durante i miei viaggi, e una tappa obbligata per gli appassionati di storia che si trovino in visita a Napoli: i primi manufatti sotterranei risalgono a circa 5.000 anni fa, mentre nel III secolo a.C., i Greci aprirono le prime cave sotterranee per ricavare i blocchi di tufo necessari per costruire le mura e i templi della loro Neapolis.

   Lo sviluppo imponente del reticolo dei sotterranei iniziò in epoca romana con gallerie viarie e una rete di acquedotti complessa, alimentata da condotti sotterranei provenienti dalle sorgenti del Serino. 
   Larghi quel poco che permetteva il passaggio di un uomo, i cunicoli dell’acquedotto si diramavano in tutte le direzioni, con lo scopo di alimentare fontane ed abitazioni situate in diverse aree della città superiore.
 


A tratti, sulle pareti, si notano ancora tracce dell’intonaco idraulico, utilizzato dagli ingegneri dell’antichità per impermeabilizzare le gallerie.
   Nel complesso, una rete di cunicoli e cisterne di oltre 2.000.000 m², diffusa per tutta la città.
I sotterranei furono anche utilizzati durante la Seconda Guerra Mondiale come rifugi antiaerei per proteggersi dai disastrosi bombardamenti che colpirono la città.
   Resti di arredi, graffiti e vari oggetti in ottimo stato di conservazione testimoniano ancora oggi la grande paura dei bombardamenti e i numerosi periodi della giornata vissuti nei rifugi, facendo riemergere uno spaccato di vita importante e al tempo stesso tragico della storia cittadina.

Insomma, un percorso carico di storia, condotto dalle guide specializzate dell'Associazione La Napoli Sotterranea (particolarmente preparate, per la durata complessiva di un'ora e mezza), suggestivo ma non adatto a chi soffre di claustrofobia: alcuni tratti del percorso prevedono il passaggio all'interno di cunicoli stretti e angusti, per cui occorre l'ausilio di candele per illuminare il percorso, e ovviamente sono raccomandate scarpe comode con suola in gomma, onde evitare di scivolare (l'umidità al'interno è al 100%, per una media di 15 gradi circa).
   Insomma, un percorso consigliatissimo, che vi permetterà di visitare anche i resti del teatro romano, conservati in un'ex cantina al di sotto di un'abitazione privata.





Tra le altre attrazioni assolutamente imperdibili troviamo il Duomo, dedicato a Santa Assunta ma meglio noto con l'intitolazione a San Gennaro, con annessi la cappella del santo e il Museo del Tesoro, che contiene ornamenti di raro pregio e bellezza, la Basilica di Santa Chiara, che offre al visitatore la possibilità di passeggiare nello splendido chiostro interamente decorato da maioliche coloratissime, e ancora la Basilica di San Lorenzo, anch'essa parte del percorso della Napoli sotterranea (Napoli è una città che si sviluppa incredibilmente in altezza e in profondità), nonché la chiesa di San Domenico Maggiore, particolarmente maestosa e suggestiva, e quella del Gesù Nuovo, con il suo caratteristico bugnato che ricorda molto il Palazzo dei Diamanti di Ferrara. 














Una menzione particolare per la Cappella di San Severo dove, al centro della navata, potrete ammirare il Cristo velato, una delle opere più note e suggestive al mondo, eseguita Giuseppe Sanmartino.
   Qui troverete, inoltre, le famose Macchine anatomiche, ovvero gli scheletri di un uomo e di una donna in posizione eretta, con il sistema arterio-venoso quasi perfettamente integro, realizzate dal medico palermitano Giuseppe Salerno. 

Anche i musei meritano una menzione d'onore per il grandissimo valore dei reperti che contengono, uno su tutti il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che contiene moltissimi reperti trovati negli scavi dell'antica Pompei, oltre a numerose collezioni di mosaici e ad una sezione dedicata all'arte egizia.
   Analogo discorso per il Maschio Angioino (attenzione, sulle cartine lo troverete indicato con il nome di Castel Nuovo), il Palazzo Reale di Napoli, immerso nella splendida cornice della storica Piazza del Plebiscito, e il Castel dell'Ovo.
 

E, proprio a proposito di questo castello, fortezza spagnola perfettamente conservata, imperdibile una passeggiata al tramonto sul lungomare Caracciolo, suggestivo e romantico al punto giusto, zona molto turistica ricca di ottimi ristoranti (da Antonio e Antonio il pesce è cucinato a regola d'arte, provare per credere!). 





















Abbiamo parlato di musei, chiese, attrazioni turistiche note in tutto il mondo, ma la vera Napoli, quella più autentica, verace per davvero, è sicuramente quella dei vicoli: Spaccanapoli, via San Gregorio Armeno (entrate nell'omonima chiesa, mi raccomando, un gioiellino barocco immerso nel centro storico), via di San Biagio de' Librai, via Benedetto Croce e via dicendo, fino a raggiungere la splendida zona di Port'Alba, dove troverete librerie antiche, bancarelle di volumi antichi, usati e non, a prezzi davvero stracciati, bar, locali carini, insomma, il brulicare della vita del centro più antico della città, fino a raggiungere la più commerciale Via Toledo (nota anche come Via Roma), una delle vie dello shopping cittadino. 



Non abbiate timore di immergervi nelle viuzze fatte di botteghe artigiane, presepi, bancarelle che vendono ogni tipo di leccornia dolce e salata, perché la bellezza di Napoli risiede proprio qui: in questo mi ha ricordato moltissimo la mia adorata Genova, con i suoi carruggi, le sue vie strette, talvolta buie e anche un po' sporche, ma piene di fascino e suggestione, leggende e storie antiche come la pietra che le contiene.

Del cibo non vi parlo nemmeno, se andate a Napoli senza prima farvi una cultura su tutto ciò che dovrete TASSATIVAMENTE assaggiare non siete degli di leggere questo blog... ;)

Insomma, questo è solo un assaggio di Napoli, potrei scrivere un intero libro sulle sue bellezze, ma vi toglierei tutto il piacere della scoperta.
   Quindi, se non avete ancora prenotato le vostre vacanze estive, cercatevi un bell'hotel in centro, e abbandonatevi alla carezza del sole, al profumo di una sfogliatella appena sfornata, all'allegro vociare dei bimbi per strada, alla passione che trasuda dalle città del sud, affascinanti, suggestive, imperdibili. 




martedì 28 giugno 2016

#cinema: Addio Bud Spencer, gigante buono del cinema italiano

Ieri pomeriggio se n'è andato un pezzo della storia del cinema italiano, il "gigante buono" che tutti noi ricordiamo con affetto fin dall'infanzia, un personaggio poliedrico e quanto mai sottovalutato: ieri pomeriggio è morto Bud Spencer, o meglio Carlo Pedersoli, classe 1929, partenopeo, la metà del mitico duo storicamente formato con Terence Hill.


Tutti noi lo ricordiamo per la celeberrima sequenza "doppio sganassone potente - pugno in testa", ma Bud è stato molto di più: protagonista di una carriera lunga ed eclettica nella quale, accanto ai film più popolari, ha interpretato thriller (diretto da Dario Argento in Quattro mosche di velluto grigio), si è misurato con il cinema d'autore con Ermanno Olmi e persino con il dramma di denuncia civile con Torino nera di Carlo Lizzani.
Per non parlare della sua carriera di sportivo: come nuotatore è stato il primo italiano a scendere sotto il minuto nei 100 metri stile libero, oltre ad essere stato più volte campione italiano di nuoto a stile libero e in staffetta. 

Insieme, Bud Spencer e Terence Hill hanno scritto momenti indimenticabili del cinema italiano: dalla serie indimenticabile degli "Spaghetti western" all'avventura comica, un duo che ha fatto sganasciare dalle risate diverse generazioni di giovani (e diversamente giovani).

Tante esperienze, tanti successi, una lunga vita fatta di tante soddisfazioni ma condita anche da un pizzico di amarezza per non esser stato abbastanza considerato da quel mondo del cinema in cui era entrato un po' per caso, finendo poi per dedicargli una vita intera; aveva infatti dichiarato alla stampa nazionale: "In Italia io e Terence Hill semplicemente non esistiamo, nonostante la grande popolarità che abbiamo anche oggi tra i bambini e i più giovani. Non ci hanno mai dato un premio, non ci invitano neppure ai festival".

Ma d'altronde si sa, nello showbusiness va avanti soltanto chi sgomita, chi si impone senza tanti scrupoli e lui, nonostante i cazzotti volati in quantità sul grande schermo, nella realtà quotidiana era veramente un gigante buono e gentile, forse troppo, in un mondo di serpi.

E il modo in cui se n'è andato lo testimonia, in silenzio, senza clamore, in punta di piedi, come annunciato dal figlio Giuseppe: "Papà è volato via serenamente alle 18.15. Non ha sofferto, aveva tutti noi accanto e la sua ultima parola è stata grazie".

Una serenità che aveva già manifestato in precedenza, come presagendo l'approssimarsi dell'ultimo viaggio: "Non temo la morte. Dalla vita non ne esci vivo, disse qualcuno: siamo tutti destinati a morire. Da cattolico, provo curiosità, piuttosto: la curiosità di sbirciare oltre, come il ragazzino che smonta il giocattolo per vedere come funziona. Naturalmente è una curiosità che non ho alcuna fretta di soddisfare, ma non vivo nell'attesa e nel timore. C'è una mia canzone che racchiude bene la mia filosofia: “Futtetenne”, ovvero fregatene".


E allora freghiamocene dei mancati riconoscimenti, e auguriamo a Bud l'unica cosa possibile: una scorpacciata di fagioli insieme agli angeli tra i quali, sicuramente, è finito. 




domenica 19 giugno 2016

#news: La Mansarda se ne va in vacanza...

Da lunedì la Mansarda di Ravatti, nonché la sottoscritta, saremo in trasferta a Napoli, per un'inaspettata vacanza partenopea.
   Per qualche giorno non scriverò ma, come sempre, di ritorno dal viaggio proporrò un breve resoconto ricco di consigli e dritte per partire all'arrembaggio, quindi rimanete aggiornati...

A presto, mangerò una sfogliatella e qualche zeppola anche per voi! ;)


venerdì 17 giugno 2016

#libri: Le spine di una... Rosa, Marzia Polito

Oggi vi propongo una recensione scritta per il portale online http://chanceincomune.altervista.org/, nel contesto della collaborazione con il sito letterario http://www.recensioniperesordienti.it/: si parla di violenza sulle donne, si parla di argomenti difficili da affrontare (o anche solo da leggere), si parla di tematiche che non si possono più tenere nascoste sotto un velo di ipocrisia... 




“Non capisci che sono uomini e possono fare ciò che vogliono? Arrangiati con il poco che ti dà.”

Per quanti, agghiaccianti anni uomini e donne hanno ragionato così, dando per scontato che la violenza fosse un corollario logico e inevitabile del matrimonio, della relazione tra i due sessi, che la donna dovesse quotidianamente subire ogni genere di inaudita, intollerabile violenza?
   Sì, perché di violenza non ce n'è una sola, ne esistono moltissime, dolorose sfumature: da quella fisica, la più scontata, quella che fa più clamore, quella dello schiaffo, del pugno, dello sfregio estetico, a quella mentale, una delle più pericolose, perché va a minare certezze e autostima della vittima designata, da quella verbale, fatta di insulti, parolacce e umiliazioni in pubblico e non, a quella sessuale (sì, perché uno stupro può avvenire anche tra le mura domestiche, e frequentemente) ed economica, che impedisce alla donna di possedere anche la minima indipendenza economica dal coniuge.

È proprio su queste tematiche che si snoda la trama di Le spine di una... Rosa, potente esordio narrativo dell'autrice Marzia Polito, un romanzo estremamente difficile da leggere, ma certamente non per la mancanza di stile o di maestria letteraria da parte della Polito, anzi: si tratta di un volume talmente realistico, dallo stile narrativo talmente limpido, vivido, incisivo, e i personaggi risultano caratterizzati in maniera così concreta che arrivare in fondo è un dolore per chi legge, donna o uomo che sia.

Toccare con mano il degenerare progressivo di quella che, almeno inizialmente, sembrava un'autentica storia d'amore, percepire a pelle la sofferenza e l'umiliazione di Rosa, arrivare al punto di odiare profondamente Nando, marito – padrone, di augurargli anche soltanto un briciolo di ciò che ha fatto subire alla moglie e ai figli, in un'infinita catena di disumana violenza (e dove la costrizione all'aborto, o meglio a più di uno, diventa altra tematica collaterale su cui riflettere attentamente), è inevitabile.

Sentimenti forti, quelli suscitati nel lettore, un senso d'indignazione ovvio e sacrosantemente giusto ma, analizzando meglio il proprio stato d'animo post – lettura, c'è qualcos'altro che emerge: un senso di rabbia e frustrazione rivolto non soltanto al carnefice, ma anche alla vittima, proprio quella Rosa che subisce, che persevera nei suoi indicibili errori, che, nonostante tutto, continua ad amare il suo aguzzino sperando, utopisticamente, che forse un giorno possa tornare il suo principe azzurro.

Ed è proprio questo il messaggio più importante che ci lancia Marzia Polito: quando leggiamo, o ascoltiamo al telegiornale, la notizia dell'ennesima violenza subita da una donna, non meravigliamoci del fatto che, magari, la vittima non abbia mai denunciato il proprio partner, o ne abbia subito le angherie per anni, perché è proprio questa la parte più difficile: denunciare la violenza subita, superare la paura, la vergogna dell'essere giudicata, l'umiliazione, e tentare, tra mille difficoltà, di ricominciare a vivere, per davvero. 

Nel complesso, un libro di fortissimo impatto emotivo, una scelta stilistica assolutamente vincente (l'autrice apre il romanzo, introduce il lettore alla dolorosa realtà femminile degli anni Sessanta/ Settanta – anni in cui le denunce per abusi sarebbero state del tutto inutili - per
poi ritirarsi e lasciar spazio al completo svolgimento della narrazione), e un invito, sul finale, da sventolare gloriosamente come un vessillo: “Ama il tuo essere Donna”.

mercoledì 15 giugno 2016

#libri: Le escluse, Jeanne Benameur


La Varienne e Luce, la sua bambina, sono due anime dimenticate dal mondo, due anime dimentiche del mondo, due anime che hanno scelto di vivere nel silenzio, nel torpore soffocante dell'indifferenza più ostinata nei confronti di tutto ciò che le circonda, nel rifiuto di un qualsiasi contatto con la realtà, anche quella più semplice, più prosaica.

Unite da un legame viscerale, quasi animale, come solo quello tra una madre e la sua creatura può essere, Luce e La Varienne fuggono i giudizi del mondo, schivano tutto ciò che è straniero, perché ciò che non si conosce è sicuramente nemico: rannicchiate in una piccola casa umida e scura, sporca e trascurata, vivono due esistenze appannate, fatte di abitudini, rituali immodificabili che assicurano, nella loro ossessività, protezione e riparo.




Seppellite per anni dentro questa sorta di malato ventre materno, le due creature saranno costrette a uscire dal proprio mondo a causa di un evento imprevisto: la piccola Luce ha compiuto sei anni e deve andare a scuola, a contatto con un'insegnante che ama il proprio lavoro, e con dei coetanei pieni di vitalità, ma anche di pregiudizi.
   Obbligata ad accettare quest'odiosa imposizione, la donna si separa, per la prima volta, dalla sua bambina, con conseguenze dolorose e devastanti per entrambe.
 
La Varienne e Luce sono Le escluse, protagoniste di questo volume edito in Italia da Ortica a trent'anni di distanza dalla prima pubblicazione francese, opera dell’italo-tunisina Jeanne Benameur, la cui prosa, che ricorda a tratti la crudezza di quella di Sartre, arriva dritta al cuore del lettore non come un balsamo, ma come una coltellata, grazie ai contenuti ma anche a uno stile graffiante, monocorde, terribilmente incisivo.

Penetrare, comprendere a fondo la psiche di una donna sola, ritardata (ebete”, come viene ripetutamente chiamata nel libro, con empatico e crudele realismo) è difficile, spinge il lettore a uno sforzo di immedesimazione non facilmente digeribile, diventa a tratti repellente, ci fa rabbia: la rabbia di vedere una donna sola, abbandonata dalla società perché diversa, la rabbia nel veder crescere una bambina “sbagliata”, emarginata, la rabbia nel vedere una giovane mente brillante solo in potenza, sopita da una madre inconsapevolmente crudele, che vorrebbe soltanto il suo bene, ma non si rende conto di consumarla pian piano, giorno dopo giorno.

Le escluse è una storia fatta di dolore, di (assenza di) redenzione, di violenza, di difficoltà, una storia che tira fuori la polvere da sotto i tappeti, una storia al femminile che tratteggia una figura materna ben lontana da quelle delle fiabe, una madre pericolosa, per se stessa e per la sua creatura; più efficace di un pezzo di nera, più forte di uno schiaffo in pieno volto all'ipocrisia della società contemporanea.

"Questo articolo è apparso su rivista Paper Street in data 13/06/2016/. Per gentile concessione". 
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/le-escluse-jeanne-benameur.html

lunedì 13 giugno 2016

#cinema: Siamo cosììì… 10 donne coi contro… fiocchi al cinema

Coraggiose, sensuali, malvagie, affascinanti, ostinate, fragili… potremmo andare avanti all’infinito con gli aggettivi per descrivere la poliedricità della presenza femminile nel mondo del cinema, perché diciamocelo, la bellezza e la suggestione di certi ruoli in rosa sul grande schermo, i signori uomini, se le scordano.

Madri, mogli, figlie, amanti, donne in carriera, donne che vi hanno rinunciato per amore della famiglia, donne ingabbiate all’interno di cliché dai quali è ben difficile liberarsi, ma anche donne che hanno saputo spiccare il volo, con le proprie ali, come dimostra questa mia top ten mooolto personale e sentita. 

E allora non dilunghiamoci troppo, e andiamo alla scoperta dei 10 migliori ruoli femminili sul grande schermo, ruoli che hanno fatto la storia, facendoci sognare ad occhi aperti e scatenando in nutrite schiere di adolescenti folli deliri di autentica emulazione.

Solo su TheMacGuffin.it... ;) 


venerdì 10 giugno 2016

#cinema: Evil Selfie, quando un autoscatto può essere... fatale

Classe ’88, ternano doc, faccia pulita da bravo ragazzo, ma è tutto un trucco: oggi conosciamo meglio insieme Eros Bosi, giovane attore e filmaker umbro che, a dispetto dell’aspetto apparentemente tranquillo, possiede in realtà una passione sfrenata per i film horror, di cui è regista e interprete ormai da diversi anni.


Ma parliamone direttamente con lui: Eros, chi sei? Presentati in breve, cercando di attirare su di te l’attenzione di quei pessimi elementi dei lettori di TheMacGuffin.it.

Allora, tanto per cominciare sono da sempre un cinefilo incallito, non amo solo gli horror, anche se è sicuramente il mio genere preferito, ma guardo con piacere e colleziono praticamente ogni tipologia di film in DVD. Vado pazzo anche per i film comici all’italiana, in particolare con Pippo Franco, Tomas Milian, Adriano Celentano e Lino Banfi.

Oltre al cinema, tra le mie passioni c’è senz’altro quella musicale: stravedo per le chitarre elettriche distorte, mi posso definire un rockettaro/metallaro scatenato, ma non disdegno affatto nemmeno l’elettronica anni ’80. 

Abbiamo detto che sei un “film-horror-dipendente”: come nasce la tua passione per il mondo cinematografico, ma soprattutto per il genere più truculento che c’è?

Beh, innanzitutto permettetemi una riflessione: spesso sono molto più truculenti i film sulla malavita, sulle bande di quartiere, come accade in Arancia meccanica o ne I guerrieri della notte. Stessa cosa vale per i polizieschi e i film d’azione: mi è capitato recentemente di vedere Il grande racket, pellicola particolarmente violenta, ma di grande qualità.

Detto questo, la passione per il truculento ce l’ho da quando avevo 11 anni, l’illuminazione mi ha colto dopo aver visto Vampires di John Carpenter; da lì ho iniziato a divorare horror a manetta, tutte le settimane controllavo quale film dell’orrore davano in TV e li registravo. D’altronde, da un accanito lettore di Dylan Dog cos’altro potevate aspettarvi? 

Per quanto riguarda la passione per questo mondo, più in generale, nel 2008 ho iniziato a lavorare sul set di Porta per l’inferno di Lorenzo Buscaino e da lì la passione, ma soprattutto il desiderio di fare cinema, hanno iniziato a prendere forma. Sono partito dallo staff per arrivare prima al ruolo di attore principale e poi di regista.

Sei un ragazzo di provincia, nato in una zona d’Italia apparentemente lontana dai grandi centri di produzione cinematografica, come Roma e Milano: come sei riuscito ad affermarti in questo settore, è stata dura?

Tutto sommato Roma è abbastanza vicino a Terni, dista circa 100 km, infatti spesso mi reco nella Capitale per fare da comparsa in alcuni film. In realtà non è stata dura affermarmi nel settore perché a Terni ci sono molti film-maker, si tratta di una città molto viva sotto questo punto di vista. E pensare che avrebbe potuto evolversi ancora di più nell’ambito cinematografico, grazie agli studi di Roberto Benigni che ormai, purtroppo, non sono più attivi da anni.

Ma veniamo al motivo principale per cui siamo qui ad intervistarti: l’uscita del tuo ultimo corto, Evil Selfie, un comedy horror sul quale ci devi assolutamente svelare qualche dettaglio in più. Come ti è venuta l’idea? E la scelta di genere, a metà tra orrore e ironia: quale componente prevale maggiormente?

Siccome subisco molto il fascino delle creepy photos, letteralmente “fotografie che fanno paura”, il tutto è nato dal desiderio di realizzare un film su uno spettro che appare improvvisamente tra due fidanzati proprio in un selfie, così con l’occasione ho sfruttato anche la crescente e inarrestabile moda degli autoscatti. L’idea di mescolare orrore e ironia è molto frequente nei film d’orrore, anche nel mio film precedente, Circondato dalle tenebre, sono presenti scene che scivolano a tratti nella commedia, come quella girata in un bar o quella di sapore fetish. E poi un horror/commedia ha il pregio di spaventare e far ridere allo stesso tempo.



Leggendone la trama, possiamo intuire una certa critica, piuttosto aspra, all’uso/abuso della tecnologia ai giorni nostri. Considerando il crescente numero di persone che, ogni anno, ci restano secchi per immortalarsi in selfie spericolati sul bordo di scogliere e precipizi, come darti torto, in effetti…

Infatti il messaggio che vorrei dare è proprio di critica alla dipendenza dallo smartphone, al fatto che, oggigiorno, siamo ossessionati dai selfie e dai social network; ne siamo tutti un po’ malati, io per primo, lo ammetto.

Quanto impegno c’è dietro questo film (parliamo di tempistiche, difficoltà incontrare sul set, etc. etc)? Hai qualche aneddoto in merito da raccontarci?

Avendo lavorato con uno staff dalla provenienza decisamente variegata (Luca Alessandro da Roma e Luigi Nappa da Caserta), in effetti è stata dura trovare un fine settimana in cui fossero tutti presenti, attori, fotografi di scena, truccatori e così via. In realtà, il primo week end di lavorazione è stato un disastro, siamo riusciti a girare veramente poco.


Ma, fortunatamente, non tutto il male viene per nuocere poiché, anche grazie a Luca Alessandro, sono riuscito a coinvolgere alla lavorazione del film Alex Visani e due amici, Diletta Vedovelli, attrice professionista, e un effettista speciale di tutto rispetto, Pasquale Miele, che hanno dato man forte al mio film. Oltre a questo, per il ruolo di Isabella ho voluto la bravissima Chiara Palombi, ruolo che inizialmente doveva andare a Serena Meloni, l’attrice narnese che in Circondato dalle tenebre interpreta Irene, impegnata su un altro set proprio in quei giorni.




Ironia, suspense, paura: qual è il segreto per miscelare al meglio questi ingredienti, e come tenere accesa la curiosità (e l’adrenalina) dello spettatore?

Realizzando delle scene di iniziale calma e tranquillità, per poi sconvolgere il tutto con uno scoppio improvviso di paura e suspense, il tutto condito da una buona dose di ironia. Insomma, stupire lo spettatore, spiazzarlo, questo è il segreto. 

Quanto c’è della tua Umbria nelle ambientazioni di questo film? Al lettore medio magari non fregherà una cippa, ma io ci sono stata in vacanza l’anno scorso e me ne sono innamorata, per cui la domanda la inserisco lo stesso!

C’è c’è, infatti ho scelto una location immersa nel verde per la scena principale, a ulteriore dimostrazione che l’Umbria, oltre ad essere bellissima, è veramente il cuore verde dell’Italia.

Volevo tenere la domanda clou per la fine, ma non tengo più, lo ammetto: come ca… spita hai fatto a piazzare Gene Gnocchi nel cast?! Per carità, tutti attori giovani ma di tutto rispetto, ma Gene è Gene, un mito! Com’è nata questa vostra conoscenza/amicizia?


L’ho conosciuto nel febbraio 2010 dopo lo spettacolo The legend is Back che ha fatto al Teatro Verdi per gli eventi Valentiniani, ci siamo conosciuti ma non siamo rimasti in contatto. Circa tre anni dopo, dopo aver stretto amicizia col figlio Ercole su Facebook, mi è stato chiesto di inviargli il DVD di La mano infernale e Gene, di sua volontà, lo ha recensito in un video, candidandosi addirittura per un ruolo da interprete in un mio futuro film (“Se vi serve un attore stagionato esperto di horror io ci sono assolutamente”, queste le sue parole). Inizialmente credevo scherzasse, ma poi non ho perso occasione per farlo partecipare ad Evil Selfie, dove lo vedrete in un cammeo decisamente inaspettato…



Per quanto riguarda la tua carriera, abbiamo detto che hai lavorato in diverse vesti, in pellicole come il tuo film precedente, Circondato dalle tenebre, e ancora ne La mano infernale (2012) e nella commedia fantascientifica Passepartout – Tutte le porte sono aperte (2013), entrambe di Lorenzo Buscaino: meglio davanti o dietro la videocamera? Quale ruolo senti più tuo?

Io nasco come attore ma amo entrambi i ruoli, mi danno grande soddisfazione e mi stimolano a dare sempre il meglio.

Qual è stata la tua miglior esperienza lavorativa sul set? Hai lavorato con attori esordienti o anche con professionisti già noti?

Ovviamente quella di Circondato dalle tenebre, che mi ha donato l’emozione di vedere per la prima volta realizzato un soggetto interamente nato da me. In Evil Selfie ho recitato al fianco di Diletta Vedovelli, bravissima attrice professionista, e un po’ di inferiorità rispetto al suo talento l’ho percepita chiaramente. Diletta ha tre anni meno di me, ma molta più esperienza. Oltre a questo, ho recitato due volte accanto ad attori noti a livello nazionale: in due puntate di Al di là del lago, nel 2010, dove interpretavo il ruolo del carabiniere, insieme ad Alessandro Partexano e Roberto Farnesi, e l’anno successivo, sul set de La vita che corre (2012), accanto a Flavio Parenti

Per quanto riguarda la diffusione di Evil Selfie, abbiamo letto che verrà proiettato in occasione del festival cinematografico horror Narnia Terror Night 2016, e farà parte del progetto collettivo 17 Dopo Mezzanotte: di che si tratta?

Esatto, si tratta di un lungometraggio ideato da Davide Pesca che unisce vari cortometraggi di registi vari. Il primo capitolo, 17 a mezzanotte, è uscito due anni fa, ma il suo successo non accenna a scemare.

Sogni, progetti per il futuro? Insomma, dacci anche qualche anticipazione gustosa…

Sicuramente continuerò a girare film horror, ma mi piacerebbe provare anche altri generi e, perché no, anche un film romantico. Attualmente mi sto concentrando sulla promozione di Evil Selfie e del Narnia Terror Night – Speciale Dylan Dog, in occasione dei trent’anni dall’uscita del mio fumetto preferito, evento che si terrà all’Arena di Via delle rose di Narni Scalo (Terni) il prossimo 23 luglio 2016. 

Chiudiamo l’intervista con la consegna di rito: convinci i lettori di TheMacGuffin.it a non perdersi il tuo corto per nulla al mondo, in una manciata di poche, pregnanti parole!


Amici lettori, non perdetevi il mio corto Evil Selfie, anzi sostenetelo iscrivendovi alla pagina Facebook, perché ridere fa bene alla salute (e qui si ride, eccome!). Spaventarsi un po’ meno, ma sono dettagli… 

"Questo articolo è apparso sul TheMacGuffin.it. Per gentile concessione".
http://www.themacguffin.it/focus/evil-selfie-un-autoscatto-puo-fatale/

mercoledì 8 giugno 2016

#libri: Gehenna, Francesco De Nigris


Gehenna fa rima con inferno, dolore, sofferenza, con storie di vite vissute al limite, borderline, storie di reietti che la società rifiuta con disprezzo.
Gehenna è l'inferno, ma non quello delle leggende, delle fiabe e delle superstizioni, Gehenna è l'inferno reale, urbano, metropolitano, la sede di quelle anime tanto reali quanto evanescenti che abitano le periferie delle nostre città, anime che sanno e hanno visto troppo marcio per potersi reintegrare nel mondo "normale", se così si può definire.
Ma Gehenna è anche voglia di riscatto, di libertà, di dignità, di tornare al mondo senza per forza diventare uno dei tanti, una pedina in mano a pochi eletti.

Francesco De Nigris, con questo suo terzo romanzo, ci regala una storia forte, intensa, magistrale nella sua crudele verità, una storia di fallimenti, una presa d'atto delle difficoltà che costellano l'esistenza, ma anche la dimostrazione che la volontà - come ci insegna Schopenhauer - si impone sopra le macerie di esistenze apparentemente "inutili", che poi inutili non sono, come non lo è nessuna vita.

La storia è ambientata nell'inferno della distilleria Kuntz, un vecchio edificio abbandonato e corroso dal tempo e dal vizio, teatro di un'antica tragedia, e cornice ideale dove sbocciano storie, relazioni, amori di seconda mano, ma anche rancori, odio e violenza, più dettata dalla disperazione che dalla crudeltà, rifugio di relitti umani in cerca di salvezza, una salvezza che difficilmente arriverà.
   Protagonista assoluto della vicenda è Viktor, un personaggio enigmatico, distaccato, dal passato glorioso ma dal presente decisamente impietoso, un uomo alla ricerca di se stesso, smarrito, che cercherà di riconquistare il proprio posto nel mondo, proprio come Olga, giovanissima prostituta russa, rapita da un'esistenza tranquilla e semplice, e costretta a svendere il proprio corpo a mani fameliche e malate.
   Due esistenze intrecciate sullo sfondo della più nera desolazione, due vite alle quelli fanno da sfondo una moltitudine di personaggi più o meno sbandati, uomini e donne che hanno toccato con mano il dolore, e ne sono stati marchiati a fuoco per tutta la vita.

De Nigris ci racconta le ingiustizie della vita e della società attraverso un male di vivere che si insinua sotto pelle, che avvolge il lettore fino al'ultima pagina, ci racconta una storia dove gli ultimi difficilmente, diventeranno i primi, costretti a peregrinare all'interno di infiniti e psichedelici labirinti escheriani.

Oltre alla trama, affascinante e seduttiva al punto giusto, ad aggiungere valore all'opera sono le due maggiori cifre distintive dell'autore: in primis lo stile, raffinato, suggestivo e coinvolgente, in grado di raccontare anche la minima emozione dei protagonisti del romanzo, emozioni che si riflettono, senza filtri, nel lettore, una penna decisa che sa essere lieve al momento giusto.
   Secondo elemento di pregio, la capacità di De Nigris di trasportarci all'interno di storie che, apparentemente, non hanno né tempo né spazio, e forse proprio per questo risultano così reali e di forte impatto emotivo, oltre alla caratterizzazione quasi epidermica della città, la Città Vecchia, fatta di vicoli intricati, luci e ombre, metafora degli esseri umani che ne abitano il dedalo di strade e piazze, angoli e pericolosi sotterranei, reale e fantastico, poetico e prosaico.



lunedì 6 giugno 2016

#RecensioniPerEsordienti: Il sorpasso dell'irrealtà, Anemone Ledger

Ecco con un nuovo appuntamento dedicato agli scrittori esordienti, nato in collaborazione con il sito http://www.recensioniperesordienti.it/ per proporvi recensioni, focus e interviste agli autori che si affacciano per la prima volta nel variegato mondo letterario che noi lettori famelici tanto amiamo.

Per chi di voi ancora non lo conoscesse, provvedete subito, mi raccomando: RecensioniPerEsordienti.it è un portale online nato dalla passione di un gruppo di ragazzi per la lettura, la scrittura e la narrativa, un team che ha tanta voglia di mettersi in gioco e diffondere la cultura nel web, un team ben consolidato di cui faccio parte anch'io, con grande piacere.

E allora proseguiamo con la nostra avventurosa partnership con la recensione di una giovane autrice che promette decisamente bene: quest'oggi parliamo di "Il sorpasso dell'irrealtà" di Anemone Ledger: buona lettura!


Violenza, angoscia, inquietudine, solitudine, ossessione: questi sono soltanto alcuni degli ingredienti che rendono così “appetitosa” una raccolta di racconti come “Il sorpasso dell'irrealtà”, una silloge a metà tra noir, thriller e horror nata dalla penna (e dalla fantasia) di una giovane e talentuosa autrice, Anemone Ledger, 17 anni appena, ma di una bravura incredibilmente matura.

Ogni racconto della raccolta segue uno sviluppo narrativo proprio, assolutamente personale, ma un unico fil rouge percorre l'intera opera, quello del pathos narrativo sempre crescente, che non cala nello sviluppo della narrazione.
   Oltre al talento, la Ledger mostra anche un coraggio da vendere: infatti iniziare un volume con un tema scomodo e difficile da raccontare come il disagio mentale infantile non è certamente una scelta popolare, e rappresenta un incipit potente, che sconvolge il lettore e lo inchioda alle pagine del libro, spaventandolo ed emozionandolo al tempo stesso.

A dare il titolo alla raccolta è, tuttavia, il secondo racconto, particolarissimo: frammenti di diario, lettere personali che ci mostrano universi paralleli fatti di angoscia e paure concrete, nelle quali ognuno di noi può riconoscersi e perdersi, una forma narrativa difficile da gestire ma espressa in maniera magistrale.

Tra gli altri racconti, merita poi una menzione particolare quello dedicato al famoso Pier delle Vigne, uno dei personaggi più controversi dell’Inferno dantesco: l'autrice evidentemente non teme il confronto con l’illustre precedennte, narrando una versione ancor più noir del fatto storico della Commedia, mostrando di possedere una fantasia brillante e fervida, ma anche una solida base letteraria sulla quale reggere il proprio lavoro.

Nel complesso un esordio letterario potente, sorretto da uno stile pulito, cristallino, con continui richiami letterari (viene spontaneo il paragone con la grande tradizione della letteratura gotica, da Mary Shelley ad Edgar Allan Poe e H. P. Lovecraft, e poi ancora Charles Baudelaire e Stephen King) e cinematografici (pescando tra i migliori film horror di questo filone, come Insidious e Sinister) tutti da scoprire e riconoscere; una raccolta imperdibile, assolutamente consigliata.

venerdì 3 giugno 2016

#libri: Sono solo in muto - Francesco Amoruso

Milleottocentosessanta.Milleottocentosessanta per dodici anni.Milleottocentosessanta per dodici anni fanno centocinquantacinque.Centocinquantacinque l'anno.Milleottocentosessanta.

Quanto può diventare ossessiva la vita di un uomo?
   Quanto il ritmico alternarsi di insoddisfazione dovuta al binomio lavoro (poco, precario, quando c'è) e casa (problemi di soldi, problemi familiari, problemi su problemi) può annullare la vita di un uomo?
   Quanto può essere devastante il trascorrere di un'esistenza lontana dalle proprie frustrate ambizioni, a compilare ossessivamente curriculum vitae in buona parte inventati di sana pianta, “romanzati”?

A metà tra “Il grande fratello” di George Orwell e il nichilismo di Camus, il flusso di coscienza dei racconti di Francesco Amoruso travolge il lettore con rassegnata, dolorosa violenza, una riflessione ininterrotta sul cambiamento di una società non meglio precisata, ma che assomiglia pericolosamente a quella odierna e contemporanea, dove i numeri contano più dei nomi dei singoli individui, e la spersonalizzazione dei suoi protagonisti tocca livelli assoluti.


Queste le sensazioni che fluiscono da un racconto come Sono solo in muto, tematiche che in parte sono presenti anche ne “Il ciclo della vita” (Statale 11, 2012), romanzo che vede protagonista Giorgio, un matrimonio fallito alle spalle, la voglia di ricominciare, le difficoltà sempre in agguato.

Lo stile di Amoruso è ben ricoscibile: personale, nervoso, ironico ma di un'ironia alla Buster Keaton, rassegnato, chiaro, lineare, scorrevole.
   I personaggi accomunati da un'incapacità di stare al mondo, di rapportarsi col mondo, caratteristiche che ricordano, seppur da lontano, l'inettitudine di Zeno Cosini, ma in una versione decisamente più tendente al sociopatico.

Insomma, nel complesso il giovane scrittore napoletano propone al suo lettore una fredda e lucida analisi del malcostume tutto italiano, pur senza riferimenti a fatti e realtà riconoscibili, racconta con maestria l'incubo della ricerca di un lavoro per i giovani (e diversamente giovani), il compromesso accettato senza proteste, perché è così che si fa, se si vuole arrivare da qualche parte.

"Questo articolo è apparso su rivista Paper Street in data 23/05/2016. Per gentile concessione" http://www.paperstreet.it/cs/leggi/sono-solo-in-muto-francesco-amoruso.html#sthash.7eAau5yR.dpuf