Ebbene sì, il momento tanto agognato delle ferie è arrivato anche per me... e quest'anno, per festeggiare l'inizio del 2016, la Mansarda dei Ravatti se ne va in vacanza a Vienna, una delle capitali europee che meglio sa esprimere il clima festoso del Natale e del Capodanno.
Un augurio di un sereno e scoppiettante anno nuovo, ci rivediamo il 4 gennaio, con un ricco reportage di quello che sarà questo mio piccolo viaggio.
A presto, e buon Capodanno!
Di tutto un po', arte, libri, fotografia, musica, viaggi e tanto, tanto altro...
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lunedì 28 dicembre 2015
giovedì 24 dicembre 2015
#Natale - Caro Babbo Natale...
Quest'anno (come accade da un po' di tempo a questa parte, devo ammettere), la mia letterina a Babbo Natale resterà bianca.
Non perché non desideri nulla, per carità, i desideri e i sogni ci saranno sempre, "finché porto le orecchie", per intenderci con un modo di dire che non ho mai capito se fosse tipico della mia famiglia o serravallese/ligure.
La mia letterina resterà bianca perché sono soddisfatta di quello che ho: una famiglia splendida, che sa darmi tutto ciò di cui ho bisogno, compreso un bel paio d'ali per spiccare il volo e sapermela cavare in ogni situazione; una persona accanto che mi ama, mi rispetta, mi comprende e della quale mi fido, che è forse la cosa più importante, una persona che brilla di quella luce forte che soltanto in pochi hanno (pur con tutti i suoi bei difettucci né!); delle amicizie speciali, non di quelle effimere, che durano il tempo di un'estate, ma di quelle che continuano, che ti accompagnano in tutte le stagioni della vita; tanti piccoli lavori che, pur non essendo particolarmente redditizi, sanno darmi tante soddisfazioni, e sono nati da scelte che rifarei mille volte ancora.
Insomma, questo Natale non voglio chiedere nulla, non voglio pensare alle cose che vorrei e che, magari, non ho ancora, no: questo Natale voglio godermi tutto ciò che ho di più bello, caro e prezioso, e posso dire di essere completamente, assolutamente, veramente FELICE.
mercoledì 23 dicembre 2015
#libri e #cinema - Cento registi per cui vale la pena vivere, a cura di Lucio Laugelli e Giacomo Lamborizio
La scena è composta da un salotto in bianco e nero. Un uomo minuto, seminascosto dietro un paio di spessi occhiali da vista,è sprofondato in poltrona con un microfono in mano e registra su nastro tutte quelle cose per cui vale la pena vivere, almeno secondo lui, in un momento di cocente sconforto a causa di un'esistenza troppo complessa e deprimente. L’elenco dura qualche minuto e comprende, sostanzialmente, una sfilza di nomi di grandi registi e altrettanto grandi pellicole, per cui vale assolutamente la pena vivere. Perché in fondo, la cinefilia ha anche un'ottima azione antidepressiva.
Ed è proprio da questa scena (se non l'avete riconosciuta, è tratta da Manhattan (1979) e l'omino in questione è proprio Woody Allen) che è nato "Cento registi per cui vale la pena vivere" (Falsopiano Edizioni, 2015), volume curato da Lucio Laugelli e Giacomo Lamborizio, la prima opera letteraria nata totalmente all'interno della redazione di Paper Street, rivista culturale online che propone recensioni cinematografiche, letterarie, teatrali, musicali e, più in generale, una veduta di ampio respiro sul panorama culturale contemporaneo e non solo, e che vede il contributo di numerosi collaboratori della testata online.
Sarò di parte, direte voi, essendo anch'io redattore di Paper, ma in realtà lo posso dire spassionatamente: si tratta di un volume decisamente interessante, che potrete leggere tutto d'un fiato per una full immersion cinematografica oppure come un vero e proprio elenco da consultare in base all'occasione, che vi farà fare la vostra "porca figura" anche durante i migliori simposi intellettuali (garantito al 100% dagli autori stessi).
Insomma, un piccolo dizionario, esauriente ma comunque dall'impronta soggettiva, proprio perché nato da una scelta personale e, per così dire, emotiva, che rispecchia il sentire di un'intera generazione di giovani cinefili mossa da una passione forte e motivata nei confronti del grande schermo, ma soprattutto della macchina da presa.
Il filtro della preferenza personale, e le recensioni scritte spesso con piglio ironico, ma non per questo meno scientifico, ne fanno un libro adatto anche ai giovani e giovanissimi, ancora "digiuni di cinema", e il sottotitolo parla forte e chiaro a questo proposito: "Ad uso e abuso delle nuove generazioni", una piccola provocazione rivolta a quelle nuove leve che hanno un ventaglio di possibilità ampio ed eterogeneo, pronto per essere colto, un consiglio dato non da uno stuolo di accademici saliti in cattedra, ma da un gruppo di ragazzi appassionati che vogliono diffondere il verbo del grande cinema mondiale.
E allora sbizzarritevi nella lettura e nel "toto-nomi", per la serie "celo celo manca", da Fritz Lang a Paolo Sorrentino (rigorosamente in ordine cronologico), e non perdete i film consigliati in ciascuna scheda, ovvero il meglio del meglio di ciascun regista, uno strumento utile anche per costruirsi facilmente una piccola filmografia personale suddivisa per registi.
Info utili:
Potete trovare "Cento registi per cui vale la pena vivere", a cura di Lucio Laugelli e Giacomo Lamborizio, nelle librerie Mondadori, in tutte le librerie che ospitano al loro interno un angolo tematico dedicato al cinema, sul sito della casa editrice www.falsopiano.com/, o ancora sui principali canali di vendita online di libri.
http://www.libreriauniversitaria.it/cento-r…/…/9788898137978
http://www.amazon.fr/Cento-registi-vivere-Fals…/…/8898137974
http://www.libreriafernandez.it/libreria/catalogo/libro/9788898137978/L--Laugelli--G--Lamborizio-Cento-registi-per-cui-vale-la-pena-vivere
http://www.libreriauniversitaria.it/cento-r…/…/9788898137978
http://www.amazon.fr/Cento-registi-vivere-Fals…/…/8898137974
http://www.libreriafernandez.it/libreria/catalogo/libro/9788898137978/L--Laugelli--G--Lamborizio-Cento-registi-per-cui-vale-la-pena-vivere
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lunedì 21 dicembre 2015
#libri - Non solo Tannenbaum, Patrizia Ferrando
Chi l'ha detto che le presentazioni dei libri si tengono in auditorium, librerie, saloni formali e affini?
Assolutamente no, le presentazioni dei libri si possono tenere anche in una pasticceria, com'è successo lo scorso venerdì, in occasione della nascita del volumetto "Non solo Tannenbaum", scritto da Patrizia Ferrando, giornalista e scrittrice locale di Arquata Scrivia.
La location, il bar pasticceria Carletto di Novi Ligure, storico locale che vanta la miglior cioccolata del novese, con tanto di deliziosi pasticcini annessi; l'argomento, il Natale, ça va sans dire, e più nello specifico il simbolo per eccellenza di queste festività, l'albero di Natale.
Un piccolo libro che nasce dalla voglia di divertirsi e dalla voglia di raccontare un argomento tanto amato dall'autrice, che ha scelto volontariamente di tralasciare l'argomento "presepe", eccessivamente ampio, che avrebbe meritato un volume a parte.
Una chiacchierata piacevole e salottiera, intima e gioiosa, che si è aperta con il racconto della genesi della passione per la scrittura che caratterizza Patrizia, con l'immagine di lei bambina, di appena 5 anni, e del suo rapporto particolare con le fiabe: tanto amate alcune, quanto fonte di disagio altre, una su tutte
"La piccola fiammiferaia".
Una bimba che amava raccontare a sua volta le fiabe, modificandone il finale a proprio piacimento, manifestando già in tenera età una notevole propensione per la scrittura, e una fervida immaginazione (se vi siete incuriositi, sappiate che nella sua nuova versione la piccola fiammiferaia veniva salvata e portata in una casa con un bellissimo albero... vi dice nulla?).
Patrizia, di origini genovesi, inizia il suo excursus dalla versione più tradizionale dell'albero di Natale, quello fatto con alloro e ginepro, per arrivare al classico e intramontabile abete (compreso quello sintetico), che lei ogni anno decora seguendo un tema ben preciso e sempre diverso.
Esatto, avete capito bene: un albero di Natale che diventa sinonimo di albero della vita, che contiene e racchiude tutte le testimonianze della vita e della famiglia dell'autrice, come accade a tutti noi, che conserviamo gelosamente veri e propri cimeli familiari, talvolta anche molto antichi, splendido pretesto per ricordi e momenti di bellissima condivisione.
Tornando all'albero tematico, Patrizia ce ne propone davvero di ogni tipologia, da lei stessa realizzati nel corso degli anni, tra cui i temi Vittoriano, con angeli, country, patchwork, con mele e corteccia, provenzale, toscano, Shabby Chic, musicale, steampunk, rockabilly, suq, boudoir, ecopelliccia, fattoria e moltissimi altri, tutti da scoprire.
Ma quando è nata questa passione? "Ho preso il controllo dell'albero di Natale di casa - ricorda scherzosamente l'autrice - durante la quarta Ginnasio, quando ho proposto il mio primo albero strano, se così si può definire, ovvero quello a tema musicale, che amo particolarmente. Da lì ho iniziato ogni anno a cercare idee, senza necessariamente prendere ispirazione dalle vetrine natalizie, ma semplicemente dalla quotidianità, come le stagioni, i libri, la natura, ecc".
Alla mia domanda su quali fossero i suoi ricordi più significativi legati al periodo natalizio, Patrizia ne ha ricordati due, davvero speciali: "Il primo è legato all'infanzia, avevo 4 anni circa, e conservo il ricordo di uno splendido Natale dal sapore Ottocentesco, arricchito dall'occasione del fidanzamento di mia cugina e da moltissimi parenti, al punto da dover preparare la tavola delle feste nell'ingresso della nostra casa genovese, enorme e incredibilmente imbandita. Per quanto riguarda il secondo, avevo 24 anni, fu un anno caratterizzato da una grande gelata, che impedì ai nostri parenti di raggiungerci: per questo trascorremmo il Natale a casa io e i miei genitori, guardando "Il piccolo lord" e passando una dolcissima giornata".
Insomma, abbiamo appurato che il Natale trascende il significato prettamente religioso, e anche quello consumistico, fortunatamente: il Natale è condivisione, calore, voglia di stare insieme alle persone care.
Infine, concludiamo questa nostra chiacchierata con una piccola curiosità letteraria: sapete quando comparve il primo albero di Natale nella storia della letteratura? Ne "I dolori del giovane Werther" di Goethe, dove l'atmosfera natalizia contribuiva alla malinconia del tormentato protagonista.
A questo punto non resta che augurarvi buone feste, e non lasciatevi sfuggire questo libello a tutto Natale!!! ;)
venerdì 18 dicembre 2015
#libri: Luoghi abbandonati - Maggy Bettolla
“Luoghi abbandonati. Tra borghi, castelli e antiche dimore della provincia spezzina” (Edizioni Giacché) è il titolo del nuovo libro di Maggy Bettolla, ventisettenne, appassionata esploratrice di luoghi abbandonati da oltre 10 anni e creatrice del sito http://www.desertislocis.com, un volume scritto col patrocinio del network EWMD.
Maggy è un’esperta del settore, da anni censisce i luoghi abbandonati in tutta Italia, che conosce e visita personalmente, e col suo lavoro ha contribuito a rendere note realtà nascoste che sono, in molti casi, autentici monumenti.
Il libro, ricco di documentazione e arricchito con circa duecento fotografie a colori, presenta alcuni tra i più significativi casi di abbandono in tutto il mondo, da Pripyat, la città vicino a Chernobyl, a Famagosta, Cipro, soffermandosi con particolare attenzione sul nostro Paese.
Infatti in Italia il fenomeno dei luoghi abbandonati interessa ben seimila paesi (Istat 2014), tra cui il borgo di Balestrino vicino a Savona, Roscigno nei pressi di Salerno, Brienza Vecchia in Basilicata, Formentara, il paese sommerso dalle acque di Vagli, e molti altri.
E non si tratta soltanto di paesi, ma anche di strutture ospedaliere, ville signorili, luoghi ricchi di fascino ormai abbandonati; a questo proposito, particolarmente suggestive alcune delle immagini contenute nel libro, come quelle di un vecchio mulino aggrappato in una gola vicino a Sorrento, o quelle delle chiese sconsacrate in Emilia Romagna e Piemonte.
La parte più corposa del libro è dedicata alla provincia di La Spezia, come suggerisce il titolo, con 20 schede di luoghi abbandonati collocati soprattutto in Val di Vara, nelle quali l’autrice descrive il cammino e le sue emozioni nel visitare sinistre abitazioni in rovina, che affacciano le loro finestre sdentate su panorami di grande bellezza, i castelli medievali diroccati, avvolti dai rampicanti, ancora di sentinella sui passi e sulle valli a testimoniare l’importanza strategica di quei luoghi, o ancora le dimore gentilizie che si fondono a poco a poco con la natura, scomparendo lentamente nel paesaggio.
Un viaggio anche emozionale per riscoprire le proprie radici, un iter che stimola la curiosità di raggiungere questi borghi abbandonati, questi resti di vite e di storie dimenticate, di scoprire la silenziosa bellezza di questi suggestivi luoghi.
"Questo articolo è apparso il 15/12/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/luoghi-abbandonati-tra-borghi-castelli-e-antiche-dimore-della-provincia-spezzina-maggy-bettolla.html
giovedì 17 dicembre 2015
#tatuaggi: Non c'è l'uno senza il due...
Lo sapevo, ci sono ricascata... e pensare che quando mi dicevano "Guarda che se ne fai uno poi non smetti più, ne vuoi fare subito un altro" non ci credevo, e invece eccomi qua.
Alcol, droga o altre robe strane? Assolutamente no, sto parlando di tatuaggi, un tunnel decisamente meno pericoloso ma altrettanto contagioso, in grado di dare assoluta dipendenza.
Ormai è diventato praticamente un rito dal sapore natalizio: esattamente un anno fa scelsi di imprimere in maniera indelebile, sulla mia pelle, una frase che è anche il titolo di una raccolta del grande Fabrizio De André, "In direzione ostinata e contraria", nonché il verso di una sua straordinaria canzone, "Smisurata preghiera".
Una frase particolarmente significativa, legata ad un momento di scelte lavorative non semplici, da affrontare a testa alta e a costo di sbatterci il muso e farsi tremendamente male.
Quest'anno è arrivato il secondo dono natalizio, sempre da parte di una persona che definire speciale è dir poco (e poi mi accusano di essere poco romantica, tsè), un tatuaggio apparentemente più frivolo, e forse un po' più inflazionato, ma altrettanto bello: una farfalla in 3D, una scelta effettivamente soprattutto estetica, ma che mi ha colpita profondamente, un'idea che mi è entrata in testa come un tarlo e non ne è più uscita.
E il risultato mi ha decisamente soddisfatta, un'immagine che comunica libertà, e tutta la forza di una creatura che, pur con le sue delicatissime ali, riesce a librarsi in volo e ad aggrapparsi alla vita con tutte le sue energie, pur effimere.
E meno male che doveva essere qualcosa di frivolo! ;)
mercoledì 16 dicembre 2015
#AVolteRitornano...
In questi giorni il tempo per scrivere sul blog si è dimezzato, il numero di articoli che devo consegnare per i vari siti di cui mi occupo triplicato, ma a breve tornerò, niente panico... ;)
Nel frattempo, a farmi compagnia durante il mio lavoro "matto e disperatissimo" in stile leopardiano, c'è lui, un piccolo tocco natalizio che non guasta mai perché, non mi stancherò mai di ripeterlo, #ilnataleèunacosaseria.
Stay Tuned!
lunedì 14 dicembre 2015
#libri: InediTO, un concorso talent-scout alla ricerca di nuovi talenti letterari
Il Premio InediTO - Colline di Torino 2016, concorso talent-scout che scopre nuovi autori e li proietta verso il mondo dell'editoria attraverso un ricco montepremi, il cui bando scade il 31 gennaio 2016, ha raggiunto il prestigioso traguardo della XV Edizione.
Il concorso, punto di riferimento in Italia tra i premi letterari per opere inedite, dedicato a tutte le forme di scrittura, narrativa, poesia, teatro, cinema e musica, è nuovamente presieduto dal poeta Davide Rondoni e diretto dallo scrittore e cantante jazz Valerio Vigliaturo, presidente dell’associazione culturale Il Camaleonte di Chieri (TO), organizzatrice.
Per festeggiare tale ricorrenza InediTO ha trovato casa in una nuova veste grafica attraverso il sito www.premioinedito.it, dedicato esclusivamente al premio, e ha coinvolto all'interno della giuria uno dei più geniali ed estroversi artisti italiani, Morgan, che presiederà la sezione del Testo Canzone affiancato da Giordano Sangiorgi e John Vignola.
Faranno parte della giuria delle altre sezioni, tra gli altri, Aurelio Picca, Margherita Oggero, Davide Longo, Gianluca e Massimiliano De Serio, Isabella Panfido, Diego Casale, Michele Di Mauro, Antonella Frontani, Luca Ragagnin,Valentina Diana.
Novità di quest'edizione il coinvolgimento, oltre che delle città di Torino, Chieri e Santena, di Moncalieri e Chivasso, e le neo collaborazioni con il Festival Letterario I luoghi delle parole di Chivasso, con il Festival Internazionale di Poesia Parole Spalancate di Genova, il sistema delle Biblioteche Civiche Torinesi, il portale ufficiale della Regione Piemonte Booking Piemonte e l’agenzia di editing e comunicazione West Egg.
InediTO è inserito nell’ambito della manifestazione Il Maggio dei libri, promossa dal Centro per il Libro e la Lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e partner del concorso sono il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna, il M.E.I. (Meeting delle Etichette Indipendenti) di Faenza e l’agenzia di promozione discografica L’Altoparlante.
La proclamazione dei vincitori si terrà a maggio al Salone del Libro di Torino 2016 e la premiazione nei Comuni delle Colline di Torino coinvolti.
Il concorso si articola in sei sezioni a tema libero: Poesia; Narrativa–Romanzo; Narrativa–Racconto; Testo Teatrale; Testo Cinematografico; Testo Musicale, e tutti i dettagli sul bando di partecipazione e i relativi premi sono disponibili al link http://www.premioinedito.it/2016/bando.
Per info:
Ufficio Stampa e pubbliche relazioni
Ilaria Del Boca - stampa@premioinedito.it, cell. 393.9485636
Sito: www.premioinedito.it
Facebook: PremioInediTO
Twitter: PremioInediTO
Google+: PremioInediTO
Il concorso, punto di riferimento in Italia tra i premi letterari per opere inedite, dedicato a tutte le forme di scrittura, narrativa, poesia, teatro, cinema e musica, è nuovamente presieduto dal poeta Davide Rondoni e diretto dallo scrittore e cantante jazz Valerio Vigliaturo, presidente dell’associazione culturale Il Camaleonte di Chieri (TO), organizzatrice.
Per festeggiare tale ricorrenza InediTO ha trovato casa in una nuova veste grafica attraverso il sito www.premioinedito.it, dedicato esclusivamente al premio, e ha coinvolto all'interno della giuria uno dei più geniali ed estroversi artisti italiani, Morgan, che presiederà la sezione del Testo Canzone affiancato da Giordano Sangiorgi e John Vignola.
Faranno parte della giuria delle altre sezioni, tra gli altri, Aurelio Picca, Margherita Oggero, Davide Longo, Gianluca e Massimiliano De Serio, Isabella Panfido, Diego Casale, Michele Di Mauro, Antonella Frontani, Luca Ragagnin,Valentina Diana.
Novità di quest'edizione il coinvolgimento, oltre che delle città di Torino, Chieri e Santena, di Moncalieri e Chivasso, e le neo collaborazioni con il Festival Letterario I luoghi delle parole di Chivasso, con il Festival Internazionale di Poesia Parole Spalancate di Genova, il sistema delle Biblioteche Civiche Torinesi, il portale ufficiale della Regione Piemonte Booking Piemonte e l’agenzia di editing e comunicazione West Egg.
InediTO è inserito nell’ambito della manifestazione Il Maggio dei libri, promossa dal Centro per il Libro e la Lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e partner del concorso sono il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna, il M.E.I. (Meeting delle Etichette Indipendenti) di Faenza e l’agenzia di promozione discografica L’Altoparlante.
La proclamazione dei vincitori si terrà a maggio al Salone del Libro di Torino 2016 e la premiazione nei Comuni delle Colline di Torino coinvolti.
Il concorso si articola in sei sezioni a tema libero: Poesia; Narrativa–Romanzo; Narrativa–Racconto; Testo Teatrale; Testo Cinematografico; Testo Musicale, e tutti i dettagli sul bando di partecipazione e i relativi premi sono disponibili al link http://www.premioinedito.it/2016/bando.
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sabato 12 dicembre 2015
#InformazioniDiServizio: cambio indirizzo email
Informazione di servizio: da oggi potrete trovarmi esclusivamente all'indirizzo email: AriannaBorgoglio89@gmail.com. In poche parole, addio Fastweb.
#sapevatelo ;)
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venerdì 11 dicembre 2015
#musica: X Factor 2015, quando il rock, inaspettatamente, trionfa
Inutile ribellarsi, indignarsi e protestare, ormai i talent show sono diventati parte integrante della nostra cultura di massa, e come tali vanno considerati e trattati a dovere.
Insomma, nulla di più lontano dalla musica di qualità, magari anche di nicchia, o dalle storiche band del passato, ma ci dobbiamo convivere, non c'è scampo.
E allora, per dovere di cronaca (più o meno), ieri sera anch'io mi sono sintonizzata davanti alla televisione, più precisamente su Cielo, e ho guardato la finale di X Factor 2015, pur non essendo affatto una fan sfegatata come accade normalmente all'italiano medio.
E in effetti, mi sono dovuta ricredere: gara decisamente a sorpresa che, nonostante la mia scarsa convinzione iniziale, è poi riuscita a coinvolgermi più del previsto.
Bravi i cantanti, belle le esibizioni dei giudici (io amo profondamente Skin, nonostante fosse un po' spompata è comunque un'artista di grandissimo livello), finalmente una novità i generi musicali portati in un contesto commerciale e stereotipato come quello dei talent, dove mai avrei pensato di poter udire una canzone dei Foo Fighters in diretta live davanti a migliaia di ragazzotte urlanti e, lasciatemelo dire, venute su a pane e Fragola (Lorenzo).
Insomma, stranamente meritatissimi sia il primo che il secondo posto, dove hanno trionfato il bello, fascinoso e talentuoso Giosada, rocker dal cuore tenero, e i sorprendenti Urban Strangers, ai quali non daresti una cicca, ma appena aprono bocca sanno fare faville.
Tuttavia, quest'anno proprio non riesco a comprendere il motivo delle solite, sterili polemiche riguarda il risultato finale e, a costo di sembrare la Selvaggia Lucarelli de noantri, ve lo devo dire: care le mie ragazzine e adolescenti isteriche (e non solo, purtroppo), ma che problemi avete contro Giosada?
Come fate a criticare una performance da urlo, uno che ha cantato "The best of you" da far venire giù il Filaforum di Assago?
Possibile che, se non sono elementi come Lorenzo Fragola (sì, non mi piace, l'avrete capito, nulla di personale ma proprio nun se po' sentì), Kygo, Michele Bravi e compagnia bella, non vi garbano, gente con un filo di voce, presenze efebiche che rantolano sul palco come se stessero esalando l'ultimo respiro?
Ecchecca... volo, finalmente un uomo con la U maiuscola, uno con una voce roca, vibrante, potente, che viene da un sostrato hardcore, uno che mastica rock e metal da sempre, e si sente, si sente eccome.
Non vi va giù che abbia vinto un rockettaro? Vi odio un po' ma ve lo concedo, ma almeno riconoscete una caratteristica che, anche con il televisore senza audio, potrete carpire al volo: Giosada, oltre che bravo, è pure 'bbbono.
Manco questo vi va bene, ormai se non son tutti risvoltini, barbette glitterate, pantaloni stile mi-si-è-allagato-il-soggiorno-e-l'idraulico-è-in-ferie, capello rasato lateralmente e musichetta di Uomini e Donne in sottofondo non li volete?
Io quoto sempre più per il genere pugliese verace con barba (vera), vestito come un cristiano e non un beota, con voce roca e modi a metà tra il riservato e l'ironico, senza svenimenti in diretta o arie da duro con manicure appena fatta e sopracciglia spinzettata.
Ma mi sa che ormai son già di un'altra generazione, voialtre tenetevi pure Lorenzo Fragola, a ognuno ciò che si merita... ;)
Insomma, nulla di più lontano dalla musica di qualità, magari anche di nicchia, o dalle storiche band del passato, ma ci dobbiamo convivere, non c'è scampo.
E allora, per dovere di cronaca (più o meno), ieri sera anch'io mi sono sintonizzata davanti alla televisione, più precisamente su Cielo, e ho guardato la finale di X Factor 2015, pur non essendo affatto una fan sfegatata come accade normalmente all'italiano medio.
Bravi i cantanti, belle le esibizioni dei giudici (io amo profondamente Skin, nonostante fosse un po' spompata è comunque un'artista di grandissimo livello), finalmente una novità i generi musicali portati in un contesto commerciale e stereotipato come quello dei talent, dove mai avrei pensato di poter udire una canzone dei Foo Fighters in diretta live davanti a migliaia di ragazzotte urlanti e, lasciatemelo dire, venute su a pane e Fragola (Lorenzo).
Insomma, stranamente meritatissimi sia il primo che il secondo posto, dove hanno trionfato il bello, fascinoso e talentuoso Giosada, rocker dal cuore tenero, e i sorprendenti Urban Strangers, ai quali non daresti una cicca, ma appena aprono bocca sanno fare faville.
Tuttavia, quest'anno proprio non riesco a comprendere il motivo delle solite, sterili polemiche riguarda il risultato finale e, a costo di sembrare la Selvaggia Lucarelli de noantri, ve lo devo dire: care le mie ragazzine e adolescenti isteriche (e non solo, purtroppo), ma che problemi avete contro Giosada?
Come fate a criticare una performance da urlo, uno che ha cantato "The best of you" da far venire giù il Filaforum di Assago?
Possibile che, se non sono elementi come Lorenzo Fragola (sì, non mi piace, l'avrete capito, nulla di personale ma proprio nun se po' sentì), Kygo, Michele Bravi e compagnia bella, non vi garbano, gente con un filo di voce, presenze efebiche che rantolano sul palco come se stessero esalando l'ultimo respiro?
Ecchecca... volo, finalmente un uomo con la U maiuscola, uno con una voce roca, vibrante, potente, che viene da un sostrato hardcore, uno che mastica rock e metal da sempre, e si sente, si sente eccome.
Non vi va giù che abbia vinto un rockettaro? Vi odio un po' ma ve lo concedo, ma almeno riconoscete una caratteristica che, anche con il televisore senza audio, potrete carpire al volo: Giosada, oltre che bravo, è pure 'bbbono.
Manco questo vi va bene, ormai se non son tutti risvoltini, barbette glitterate, pantaloni stile mi-si-è-allagato-il-soggiorno-e-l'idraulico-è-in-ferie, capello rasato lateralmente e musichetta di Uomini e Donne in sottofondo non li volete?
Io quoto sempre più per il genere pugliese verace con barba (vera), vestito come un cristiano e non un beota, con voce roca e modi a metà tra il riservato e l'ironico, senza svenimenti in diretta o arie da duro con manicure appena fatta e sopracciglia spinzettata.
Ma mi sa che ormai son già di un'altra generazione, voialtre tenetevi pure Lorenzo Fragola, a ognuno ciò che si merita... ;)
giovedì 10 dicembre 2015
#libri: Informazioni di servizio per #Autori e #CaseEditrici
Il blog #LaMansardaDeiRavatti è sempre attivo e disponibile per recensioni, promozioni, giveaway e collaborazioni, specialmente in ambito letterario.
Garantisco recensioni serie e del tutto oneste, anche perché dietro questo piccolo blog c'è una Giornalista regolarmente iscritta all'Ordine dei Giornalisti del Piemonte, nonché Caporedattore della sezione Libri di una rivista online culturale piuttosto nota.
... Insomma, "bluffo" bene ma in realtà le referenze ci sono ;)
Accetto libri sia in formato ebook che cartaceo, e non disdegno alcun genere, anche se devo dire che non sono molto ferrata sulla fantascienza, leggermente più lontana dalle "mie corde".
Inoltre, sono assolutamente interessata a ricevere informazioni di ogni genere sulle novità da parte delle case editrici, così da poter coinvolgere i followers e far pubblicità all'oggetto stesso.
Le iniziative verranno pubblicizzate attraverso tutti i canali online in mio possesso e, per qualsiasi informazione, richiesta o consiglio, potrete contattarmi a uno dei seguenti indirizzi email: ary-borgo@fastwebnet.it, oppure ariannaborgoglio89@gmail.com.
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mercoledì 9 dicembre 2015
#libri: La città dell'oblio, René Frégni
"Le tentate evasioni, i suicidi, le sommosse, succede tutto lì. Quando non possono segare le loro sbarre, affilano la loro crudeltà. Ma quando la notte cala sulla prigione, in fondo alla propria cella, ciascuno di loro piange pensando alla propria madre"
Definire "La città dell'oblio" semplicemente un noir è un atto profondamente riduttivo, quasi offensivo, per un romanzo come questo.
Perché "La città dell'oblio" sa donare al suo lettore un'infinita gamma di colori, il rosso della passione, il blu della malinconia, il verde della speranza, il nero dell'ossessione, il grigio di una quotidianità insignificante, che può portare alla follia.
Colori forti, ben definiti, che corrispondono poi alla gamma di emozioni e sfumature nel quale ci fa immergere René Frégni, scrittore marsigliese che conobbe il carcere all'età di appena 19 anni, esperienza che ha cambiato radicalmente il corso della sua vita, influenzando anche la sua produzione letteraria.
"Come raccontare i giorni, le notti, le stagioni dietro i muri di una prigione, a chi sicuramente non li valicherà mai, come descrivere gli uomini che fumano, mangiano, ridono, si insultano, si incrociano mettendosi la mano sul cuore in segno d’amicizia, aspettano, seduti su panchine di pietra, l’era del rancio, o la fine del tempo?"
Frégny ci riesce, e in modo magistrale, inserendo nella sua opera spunti fortemente autobiografici, negativi ma ancor più spesso decisamente positivi, uno su tutti l'attività che lo impegna a tutt'oggi, quella di insegnante di scrittura creativa a contatto con carcerati di tutte le età.
E infatti proprio in un carcere è ambientata questa vicenda, nel penitenziario di Marsiglia, un luogo dimenticato da Dio dove l'umanità diventa ancor più concreta, reale, dolorosamente tangibile.
Tra le sbarre di una prigione e le strade della città francese, fatte di luci ed ombre, si snoda la storia di un'ossessione, quella di un assassino per sua moglie, da lui stesso uccisa in un momento di folle rabbia, ma anche quella di uno scrittore fallito per questa stessa storia, così forte, emozionante, coraggiosa, fuori dalle righe, l'appiglio perfetto per evadere da una vita opprimente e priva della benché minima soddisfazione.
E sarà proprio un'evasione a fare da fil rouge all'intera narrazione, e a condurre il lettore fino al tragico epilogo, o apparente tale.
Apparente, perché questo romanzo, oltre a condurci per mano nei meandri più reconditi e inquietanti dell'animo e dell'abisso umano, ci offre anche un fortissimo messaggio di speranza, condito anche da un pizzico di ironia assolutamente indovinata: un uomo può provare un piccolo assaggio di felicità anche quando viene privato della propria libertà, grazie all'amore di una donna, alla solidarietà tra detenuti, al profumo dell'estate imminente, al pensiero del tanto agognato ritorno a casa.
E, per quanto grave possa essere il delitto commesso, c'è sempre una redenzione possibile, un momento in cui, contro tutte le aspettative, la coscienza si libera, dopo tanta agonia, si pente e spicca il volo, portando una goccia di serenità nel cuore di quelle che, se così non fosse, resterebbero soltanto anime in pena, condannate a scolorire giorno dopo giorno.
martedì 8 dicembre 2015
#Natale: luci, colori, ricordi d'infanzia e profumo di neve
Se siete di quelli che "Il Natale è solo shabby chic, un rametto dentro una boccia e via, l'addobbo minimal è pronto", allora non leggete questo post, non è pane per i vostri denti. Sarò poco oggettiva, sarò assolutamente di parte e testardamente categorica come al solito, ma per me il Natale è luce, colore a profusione, allegria, opulenza, e non parlo di soldi (di quelli pochetti, mannaggia la pupazza!), ma di addobbi e decorazioni che, a mio modesto parere, non bastano mai, a costo di sembrare pacchiana o eccessivamente vistosa.
Da sempre, a casa mia, Natale vuol dire tutto questo: già ai primi di dicembre non resistiamo alla tentazione di andare a recuperare gli scatoloni sparsi tra soffitta, cantina e garage, aprirli tutti insieme (cane compreso), e ogni anni veniamo meno alla promessa fatta solennemente il Natale precedente, ovvero: "Questa è l'ultima pallina che compro, giuro, non ce ne stanno proprio più".
A furia di ripetere questa frase, anno dopo anno, l'albero è gradualmente sparito, inghiottito dalla quantità impressionante di addobbi, angioletti, le classiche palline, quelle in vetro che vengono trattate come vere e proprie reliquie, pupazzetti di neve e piccoli, dolcissimi Babbi Natale, ed è rimasta una piramide di luce che, ad ogni sguardo, ci scalda il cuore e infonde quell'atmosfera magica che solo il Natale sa donare.
Detto da una che, con la religione, non ha esattamente un rapporto idilliaco, può sembrare insensato, addirittura contraddittorio, e forse è vero.
Ma lo ammetto senza problemi, io del Natale amo il significato, a prescindere dalla connotazione religiosa: amo la gioia di quest'atmosfera festosa, amo il ritrovarsi con la famiglia davanti a una tavola imbandita, amo lo scambio reciproco dei doni, un momento emozionante e carico di aspettative nel tentativo di stupire e rendere felice la persona che abbiamo di fronte, amo il profumo, amo lo stare insieme a giocare a tombola, l'arrivo di Gesù Bambino e Babbo Natale, ai quali il mio fratellino crede ancora, e che aiuta a mantenere inalterata la magia della notte del 24, amo il calendario dell'avvento con un piccolo pensiero ogni giorno, gli abbracci, i baci, i biscotti al pan di zenzero e i giretti per i mercatini della zona.
Insomma, il Natale mi emoziona ancora, e mi fanno un tristezza incredibile tutti coloro che attendono con ansia la fine delle feste, quelli che sbaraccano gli addobbi il giorno dell'Epifania, tanto per togliersi il fastidio, quei maledetti centri commerciali che ci rubano l'atmosfera natalizia addobbando le loro vetrine ad ottobre ed eliminando qualsiasi traccia festiva ancor prima del fatidico 25.
Lasciatemi essere per nulla obiettiva, per una volta: non mi venite a dire che un rametto secco e anche un po' stitico, una pigna rachitica, mezza pallina bio-eco-sostenibile-biodegradabile-e-chi-più-ne-ha-più-ne-metta vi fanno sentire a casa, dai, non ci credo.
Diciamo che sono più comodi, ci vuole meno a farli e poi anche a disfarli ma, spesso e volentieri, proprio nun se possono guardà.
E allora, ecco qual è la mia concezione di "addobbo natalizio", dopo tutto questo spiegone non potevo non darvene una prova tangibile! ;)
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venerdì 4 dicembre 2015
#SerieTv: American Horror Story, un trash di qualità
Ebbene sì, in ritardo, ma ci sono arrivata anch'io.
Dopo mesi e mesi di insistenze da parte di amici/conoscenti e via dicendo, mi sono decisa: ho iniziato a guardare la prima stagione di American Horror Story, una delle serie più amate e discusse degli ultimi anni.
Per farlo, ho dovuto vincere l'iniziale astio che mi crea, puntualmente, la serie cool del momento, la componente horror mi ha dato la spinta finale, e devo ammettere che non saprei dare un parere certo e univoco.
Infatti, ho avuto, e ho tutt'ora, una serie di reazioni contrastanti: inizialmente delusione totale, durante le prime puntate il caos regna sovrano, gli episodi si affastellano e accumulano senza un preciso criterio, rendendo la trama fumosa e poco chiara ma, proseguendo, l'ansia e la tensione salgono, la suspense pure, e mi sono ritrovata a guardare 4 episodi consecutivi per scoprire il finale a sorpresa.
Sarà capitato sicuramente anche a voi di ritrovarvi a leggerne la trama, pensando "Ecco, la solita serie sulla casa infestata, che barba che noia", ma in effetti non è proprio così: il pretesto è sì banale, il contesto visto e rivisto, la casa abitata da presenze oscure è davvero un classico del cinema horror, ma in questo caso la differenza la fanno i personaggi, in primis, e lo sviluppo della narrazione.
Per quanto riguarda i personaggi, magistrale l'interpretazione di Jessica Lange, la vera protagonista della serie, che interpreta un personaggio controverso, contraddittorio, altalenante tra compassione, crudeltà, a tratti aberrante ma non completamente negativo, personaggio che, tra l'altro, è valso alla Lange un Golden Globe.
Interessante anche il giovane Evan Peters, nuovo idolo delle teen agers mondiali (basta un attimo, è proprio vero...), sensuale e aberrante, ma deludente la resa sul piccolo schermo di Dylan McDermott, decisamente poco espressivo, a tratti amorfo, forse l'unico elemento discordante all'interno di un cast di altissimo livello.
Per quanto riguarda la narrazione, è sicuramente qui che troviamo la vera novità di American Horror Story: la storia procede per continui flashback che, dopo la confusione iniziale (tanta, fidatevi, tanta da far quasi passare la voglia di proseguire nella visione), svelano quello che diventa, pian piano e sotto gli occhi dell'attonito e basito spettatore, una trama affascinante e disturbante al tempo stesso.
Tra violenze, momenti di shock (pochi, ma ci accontentiamo) decisamente inaspettati, "mostri" più o meno paurosi, l'asticella sale, e anche la sensazione di fastidio e ribrezzo nei confronti di scene e personaggi concepiti appositamente per suscitare queste reazioni nel pubblico.
Ma l'elemento principale, quello che connota profondamente questa serie, quello che caratterizza in maniera pressoché assoluta American Horror Story, è il concetto di "trash": trash è l'accumulo di situazioni spaventose e grottesche al tempo stesso, trash è il voler spaventare a tutti i costi, trash sono le continue allusioni sessuali più o meno velate e spesso gratuite ma comunque contestualizzate, trash è il cliché della sexy governante, trash sono i dialoghi surreali e le musichette allegre in sottofondo, quasi da giostra, trash è il finale, trash è la dicitura "Horror Story", perché di horror questa storia tutto sommato ha poco, ma riesce comunque a calamitare l'attenzione dello spettatore con originalità e fantasia.
Insomma, consigliato se siete alla ricerca di un prodotto televisivo nuovo e sconcertante, fuori dagli schemi e non semplice da apprezzare, ma che merita comunque una chance, anche da parte del telespettatore più scettico.
mercoledì 2 dicembre 2015
#libri: Non ti avvicinare, Luana Lewis
Che cosa fareste se, in una gelida e nevosa serata invernale, una giovane sconosciuta bussasse alla vostra porta?
Questa l'immagine iniziale che conduce il lettore all'interno del vortice d'inquietudine e crudeltà che fa da fil rouge alle vicende di "Non ti avvicinare" (Longanesi, 2015) di Luana Lewis, un thriller che tratta, senza tabù né falsi moralismi, un tema tanto scomodo quanto tristemente attuale, quello della violenza sulle donne.
Donne, volutamente al plurale, poiché l'abuso si compie su una giovane psicologa già vittima di stupro, resa fragile dalle circostanze e fortemente instabile, e su una minorenne, sedici anni e una bellezza che fa gola agli orchi che popolano le pagine di questo romanzo quanto quelle della cronaca nera.
L'intreccio narrativo di "Non ti avvicinare" è ben strutturato, e viene sviluppato mantenendo la suspense costante, ma l'abilità sostanziale dell'autrice sta principalmente nel fattore emotivo: il lettore è sottoposto a un forte stato di ansia, di disgusto, a una sensazione di impotenza di fronte alle ingiustizie perpetrate ai danni di due vittime di una società di sciacalli.
Lewis instilla magistralmente il seme del dubbio, gioca con le parole come con le sensazioni epidermiche del lettore, lo conduce per mano verso un abisso di follia dall'epilogo intuibile ma comunque di forte impatto.
Dal punto di vista prettamente stilistico, il linguaggio è volutamente semplice, privo di voli pindarici, concreto ed estremamente immediato, dal piglio quasi cinematografico, degno del miglior thriller psicologico.
Anche la narrazione regge, alternando tre piani temporali differenti ma strettamente connessi, in grado di fornire ciascuno un tassello dell'intricata vicenda.
Un meccanismo a orologeria ben oliato e pronto a esplodere, dove il tema principale, ben celato rispetto a quello più palese della violenza sulla donna, e percepibile per tutta la durata del racconto, è uno solo: l'alienazione, quella che affligge "l'animale - uomo" contemporaneo, ma anche quella che ha fatto spesso da filo conduttore alla storia della letteratura e della filosofia, da Seneca a Hegel, da Marx a Feuerbach, da Pirandello a Moravia e Montale, quella solitudine che rende i protagonisti delle monadi inquiete, incapaci di comunicare tra loro, chiuse ciascuna nel proprio inconfessabile dolore.
"Questo articolo è apparso il 30/11/2015 sulla rivista online Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/non-ti-avvicinare-luana-lewis.html
lunedì 30 novembre 2015
#arte: Il Novese, un territorio da scoprire
Oggi vi voglio parlare di un'iniziativa particolarmente interessante che riguarda il mio amato territorio, quello del Novese, un luogo tanto bello quanto, troppo spesso, ancora in parte sottovalutato.
Ma torniamo a noi: tenetevi pronti, perché l'inizio del mese di dicembre porterà una bellissima iniziativa dedicata a tutti colori che amano arte, storia e più in generale tutto ciò che è cultura.
Infatti il Distretto del Novese, in collaborazione con il Tour operator di Torino Oneiros Incoming by Il Mondo in Valigia, in occasione di Dolci Terre di Novi, la grande manifestazione delle eccellenze enogastronomiche che da anni attira nel nostro territorio centinaia di turisti e non solo, ha deciso di realizzare un collegamento con bus-navetta da Novi Ligure verso i due grandi beni culturali del nostro territorio, l'area archeologica di Libarna e il Forte di Gavi, che per l'occasione resteranno aperti dalle ore 10.00 alle ore 16.00 per le visite guidate.
L'appuntamento è per il prossimo 6 dicembre 2015, e la partenza sarà da Movicentro (piazza della stazione) a Novi Ligure alle ore 10.00 per raggiungere l’antica città di Libarna, uno dei più importanti siti archeologici del Piemonte, dove potrete ammirare le tracce dell’antico insediamento pre-romano e romano, in particolare i resti di due isolati, del teatro e dell’anfiteatro.
A seguire, trasferimento a Dolci Terre a Novi per assaporare le specialità dolciarie, vitivinicole e gastronomiche della zona, come la focaccia Novese De.Co. e la farinata, o ancora assaggiare i piatti tipici della tradizione proposti all'interno di “menù ad hoc”.
Il tour proseguirà nel pomeriggio con il trasferimento a Gavi per la visita all’omonimo Forte, un'imponente fortezza che sorge su una rocca naturale a strapiombo sul borgo antico di Gavi, lungo la via Postumia, che nell'antichità collegava la Repubblica di Genova al Basso Piemonte e alla Lombardia, un raro e pregevole esempio di architettura militare.
Infine, al termine della visita trasferimento a Novi Ligure entro le ore 17.30.
Il costo dell'itinerario in bus per tutto il giorno ammonterà a 3 euro a persona, per mezza giornata a 1,50 euro a persona, e ricordiamo che Libarna, Forte di Gavi e rassegna enogastronomica presso Dolci Terre hanno ingresso totalmente gratuito.
Per informazioni e prenotazioni info@distrettonovese.it oppure oneiros_viaggi@yahoo.it.
Ma torniamo a noi: tenetevi pronti, perché l'inizio del mese di dicembre porterà una bellissima iniziativa dedicata a tutti colori che amano arte, storia e più in generale tutto ciò che è cultura.
Infatti il Distretto del Novese, in collaborazione con il Tour operator di Torino Oneiros Incoming by Il Mondo in Valigia, in occasione di Dolci Terre di Novi, la grande manifestazione delle eccellenze enogastronomiche che da anni attira nel nostro territorio centinaia di turisti e non solo, ha deciso di realizzare un collegamento con bus-navetta da Novi Ligure verso i due grandi beni culturali del nostro territorio, l'area archeologica di Libarna e il Forte di Gavi, che per l'occasione resteranno aperti dalle ore 10.00 alle ore 16.00 per le visite guidate.
L'appuntamento è per il prossimo 6 dicembre 2015, e la partenza sarà da Movicentro (piazza della stazione) a Novi Ligure alle ore 10.00 per raggiungere l’antica città di Libarna, uno dei più importanti siti archeologici del Piemonte, dove potrete ammirare le tracce dell’antico insediamento pre-romano e romano, in particolare i resti di due isolati, del teatro e dell’anfiteatro.
A seguire, trasferimento a Dolci Terre a Novi per assaporare le specialità dolciarie, vitivinicole e gastronomiche della zona, come la focaccia Novese De.Co. e la farinata, o ancora assaggiare i piatti tipici della tradizione proposti all'interno di “menù ad hoc”.
Il tour proseguirà nel pomeriggio con il trasferimento a Gavi per la visita all’omonimo Forte, un'imponente fortezza che sorge su una rocca naturale a strapiombo sul borgo antico di Gavi, lungo la via Postumia, che nell'antichità collegava la Repubblica di Genova al Basso Piemonte e alla Lombardia, un raro e pregevole esempio di architettura militare.
Infine, al termine della visita trasferimento a Novi Ligure entro le ore 17.30.
Il costo dell'itinerario in bus per tutto il giorno ammonterà a 3 euro a persona, per mezza giornata a 1,50 euro a persona, e ricordiamo che Libarna, Forte di Gavi e rassegna enogastronomica presso Dolci Terre hanno ingresso totalmente gratuito.
Per informazioni e prenotazioni info@distrettonovese.it oppure oneiros_viaggi@yahoo.it.
#animali: Shiver, la migliore amica di una blogger
Solitamente vi propongo articoli culturali, recensioni, commenti, approfondimenti, insomma, una visione personale di tutto ciò che è "cultura", ma filtrato attraverso competenze e conoscenze di stampo accademico.
Oggi, invece, voglio fornirvi un nuovo tassello per conoscermi un po' meglio, attraverso uno dei miei amori più grandi, Shiver.
Sì, perché se il cane è il miglio amico dell'uomo, Shiver, splendido esemplare de pestifero samoiedo, è sicuramente la migliore amica della blogger che vi sta scrivendo.
Un piccolo tornado di quasi due anni (li compirà il prossimo 10 dicembre), una creatura portatrice di gioa di vivere e di una voglia incontenibile di combinare disastri a profusione, che è entrata a far parte della nostra famiglia poco più di un anno e mezzo fa.
Si tratta di una razza canina piuttosto sconosciuta ai più, particolarmente affettuosa, che possiede una caratteristica piuttosto anomala per un quadrupede: una spiccata loquacità.
Infatti tra borbottii, una gamma infinita di modi differenti di abbaiare, versetti anomali e mugolii, esprime una gamma di sentimenti ed emozioni di gran lunga superiore al 99% della popolazione media italiana che incontro quotidianamente.
Tranquilli, non appartengo alla categoria di psicotici che mettono il cappottino ai cani e tormentano il prossimo descrivendo nei dettagli ogni singola deiezione del proprio amico a quattro zampe, tuttavia non potevo non propinarvi qualche foto della Shiverina, ribelle modella davanti all'obiettivo della mia Reflex.
Ed eccola a voi, da piccola diva e iena impenitente... ;)
venerdì 27 novembre 2015
#musica: Buon compleanno Jimi Hendrix!
Tutto lo ricordano nel giorno della sua morte, ma si tratta di una tragica circostanza, e non mi garba neanche un po'.
Così ho deciso di ricordarlo nell'anniversario della sua nascita, in quel lontano 27 novembre 1942, quando la parola ROCK aveva ancora una connotazione fumosa, e la trasgressione era cosa ben poco nota.
Sto parlando di Jimi Hendrix, of course, Mr. James Marshall Hendrix (Seattle, 27 novembre 1942 – Londra, 18 settembre 1970), IL chitarrista, protagonista di una parabola artistica e musicale tanto breve quanto intensa e significativa, al primo posto della classifica dei 100 migliori chitarristi della storia secondo la prestigiosa rivista musicale Rolling Stone, precedendo artisti del calibro di Eric Clapton e Jimmy Page.
Non servono ulteriori parole per ricordarlo, basta soltanto questo video che, per una come me, che al massimo suona i campanelli, è veramente impressionante (provateci voi a suonare, e anche bene, con i denti!)... Buon ascolto, e buon compleanno Jimi! ;)
Così ho deciso di ricordarlo nell'anniversario della sua nascita, in quel lontano 27 novembre 1942, quando la parola ROCK aveva ancora una connotazione fumosa, e la trasgressione era cosa ben poco nota.
Sto parlando di Jimi Hendrix, of course, Mr. James Marshall Hendrix (Seattle, 27 novembre 1942 – Londra, 18 settembre 1970), IL chitarrista, protagonista di una parabola artistica e musicale tanto breve quanto intensa e significativa, al primo posto della classifica dei 100 migliori chitarristi della storia secondo la prestigiosa rivista musicale Rolling Stone, precedendo artisti del calibro di Eric Clapton e Jimmy Page.
Non servono ulteriori parole per ricordarlo, basta soltanto questo video che, per una come me, che al massimo suona i campanelli, è veramente impressionante (provateci voi a suonare, e anche bene, con i denti!)... Buon ascolto, e buon compleanno Jimi! ;)
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giovedì 26 novembre 2015
#arte: Il fumetto in epoca Pop, una forma d'arte contemporanea.
Oggi vi voglio parlare di un fenomeno mondiale che segnò un'epoca, un testo che avevo scritto ai tempi dell'Università per un corso di Grafica Contemporanea, e che ho rispolverato proprio in questi giorni perché considero ancora fortemente attuale.
Questo viaggio inizia tra gli anni Cinquanta e Sessanta, specialmente negli Stati Uniti, dove si assiste allo sviluppo di numerose tendenze artistiche alternative, che si distaccano marcatamente dalle forme espressive tradizionali.
Prende campo la Pop Art, una corrente artistica della seconda metà del XX secolo che prende il nome dalla parola inglese “popular art”, ovvero arte popolare, non da intendersi come arte del popolo o per il popolo ma, più puntualmente, come arte di massa, cioè prodotta in serie, ed è una delle più importanti correnti artistiche del dopoguerra.
L'altro grande fenomeno di massa è il fumetto, che proprio in questi anni viene elevato a vera e propria forma d'arte.
Per quanto riguarda la Pop Art, questo movimento discende direttamente dal graffiante cinismo del Dadaismo e della Nuova Oggettività, ma anche dalla semplicità equilibrata e dalla sintesi cromatica del Suprematismo russo di Malevic.
La nascita della Pop Art avviene negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni ’50, con le prime ricerche di Robert Raushenberg e Jasper Johns, ma la sua esplosione avviene soprattutto nel decennio degli anni ’60, conoscendo una prima diffusione e consacrazione con la Biennale di Venezia del 1964.
I maggiori rappresentanti di questa tendenza sono tutti artisti americani: Andy Warhol, Claes Oldenburg, Tom Wesselmann, James Rosenquist, Roy Lichtenstein.
Una corrente apparentemente passeggera ed effimera, ma che in realtà, a partire dagli anni Novanta del XX secolo, ha avuto nuova vita, con un secondo movimento che va sotto il nome di NeoPop, frantumandosi però in numerosi sottogruppi con diversi rimandi culturali: dal graffitismo urbano al mondo dell’undergound, dall’uso di materiali diversi come plastiche, resine ecc… al mondo dei fumetti giapponesi, dalla urban art al web design, fino a mescolarsi con riferimenti “alti”, letterari o concettuali.
Tra gli artisti più noti: Jeff Koons, Takashi Murakami, ma anche Gary Baseman, Jenny Holzer o, in Europa, Sigmar Polke, Katharina Fritsch, Gary Hume, Tim Noble.
Caratteristica interessante della Pop Art è che si serviva di oggetti presenti nella vita quotidiana trasformandoli in opere d’arte: la rappresentazione degli hamburger, delle auto, dei fumetti si trasforma presto in merce, in oggetto che si pone sul mercato (dell'arte) completamente calato nella logica mercantile.
La sfrontata mercificazione dell'uomo moderno, l'ossessivo martellamento pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita, il fumetto quale unico, residuo veicolo di comunicazione scritta, sono i fenomeni dai quali gli artisti pop attingono le loro motivazioni.
In altre parole, la Pop Art attinge i propri soggetti dall'universo del quotidiano – in specie della società americana – e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili: poiché la massa non ha volto, l'arte che la esprime deve essere il più possibile anonima: solo così potrà essere compresa e accettata dal maggior numero possibile di persone. In un mondo dominato dal consumo, la Pop Art respinge l'espressione dell'interiorità e dell'istintività e guarda, invece, al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi che circondano l'uomo contemporaneo: il cosiddetto "folclore urbano”, che porta con sé dalle bandiere americane di Jasper Johns alle bottiglie di Coca Cola di Warhol, dai fumetti di Lichtenstein alle locandine cinematografiche di Rosenquist.
Gli artisti di questo movimento hanno svolto un ruolo rivoluzionario, introducendo nella loro produzione l’uso di strumenti e mezzi non tradizionali della pittura come il collage, la fotografia, il cinema, il video e la musica, dalla quale gli stessi Beatles per alcune canzoni hanno trovato ispirazione.
La Pop Art infatti usa il medesimo linguaggio della pubblicità e risulta dunque perfettamente omogenea alla società dei consumi che l'ha prodotta.
L'artista, di conseguenza, non trova più spazio per alcuna esperienza soggettiva e ciò lo configura quale puro manipolatore di immagini, oggetti e simboli già fabbricati a scopo industriale, pubblicitario o economico.
Questi oggetti, riprodotti attraverso la scultura e la pittura, sono completamente personalizzati. Nelle mani di un artista pop le immagini della strada si trasformano nelle immagini "ben fatte" dell'arte colta.
I temi raffigurati sono estremamente vari: prodotti di largo consumo, oggetti di uso comune, personaggi del cinema e della televisione, immagini dei cartelloni pubblicitari, insegne, foto di giornali, riviste.
L'artista sa di operare all'interno di un contesto sociale, non più caratterizzato dalla netta contrapposizione tra avanguardia e conservazione, ma nell'ambito di una situazione più complessa e intricata in cui coesistono diversi livelli culturali. Porsi al di fuori di questo contesto non è possibile, né avrebbe senso, o avrebbe il senso di una nuova evasione, di un rinchiudersi nuovamente in una ristretta posizione aristocratica: l'artista pop lo sa e accetta di operare dentro il sistema abbandonando la pretesa di una redenzione totale e accettando di lavorare mediante interventi circoscritti dentro situazioni particolari e ben determinate.
Il denominatore comune a tutti questi artisti è una stessa fondamentale esigenza di realismo, di prendere coscienza della nuova condizione antropologica determinata dallo sviluppo industriale e dai mezzi di comunicazione di massa.
Ma si tratta di un realismo consapevole della convenzionalità del linguaggio artistico, del filtro che i nuovi strumenti tecnici di rappresentazione pongono tra noi e i dati della realtà.
Volendo indicare un precedente storico della pop art, è possibile risalire fino al realismo di Courbet, che si era già dato il compito di rappresentare la vita moderna. Nel catalogo della sua mostra all'Esposizione universale del 1855 l'artista aveva infatti esplicitamente dichiarato: ‟Sapere per potere, questa fu la mia idea. Essere in grado di tradurre i costumi, le idee, l'aspetto della mia epoca, secondo la mia valutazione, essere non solo un pittore, ma un uomo; in una parola, fare dell'arte viva, questo è il mio scopo".
Anche il Futurismo può essere identificato come un possibile precedente storico della ricognizione urbana condotta dalla Pop Art.
Infatti il Futurismo è stato un movimento programmaticamente pro-urbano che ha celebrato la città e la folla amplificando l'iconografia della vita moderna proposta dagli impressionisti e dai postimpressionisti.
Il primo manifesto marinettiano contiene ‟il resoconto di un incidente automobilistico, riportato come un'esilarante esperienza". Occorre aggiungere che i futuristi non si rivolgono alla scena urbana soltanto come a un repertorio tematico, di ordine contenutistico, ma si rifanno soprattutto alle mutate condizioni ambientali per cogliere nuovi procedimenti di formazione dell'arte introducendo le nozioni di coinvolgimento e di simultaneità.
Come già indicato, grande elemento di riferimento della Pop Art fu proprio il fumetto.
Questo genere di lettura era già diffuso dagli anni ‘40 ma riusciva ad attrarre a sé solo un pubblico di ragazzini: infatti proprio a questi ultimi si riferivano le grandi case editrici fumettistiche, escludendo completamente l’idea di diffondere i fumetti tra un pubblico molto più vasto.
Grazie all’artista Roy Lichtenstein, che negli anni ‘50-60 ha riprodotto in grande scala vignette tratte da giornali come Dick Tracy e anche da personaggi dei cartoni animati, trasformando le vignette in veri e proprio quadri, questo genere si è diffuso anche tra il pubblico adulto.
L'artista ha aperto la strada a una nuova considerazione del fumetto da parte della cultura e, in particolare, del mondo dell'arte: con l'artista newyorkese il linguaggio fumettistico, con le sue figure e le parole stereotipate, viene ad assumere un ruolo privilegiato.
Negli stessi anni Andy Warhol realizzava quadri con immagini di comics e, successivamente, molti altri artisti hanno utilizzato nelle loro opere elementi tratti da questo universo iconico.
Spesso si è cercato di “sbarazzarsi” di Lichtenstein come di “quello che ingrandisce i fumetti”; adolescente durante la “Golden Era” dei comics, nella maturità l'artista non torna ai racconti a fumetti per un irrazionale richiamo sentimentale, ma in realtà esplora le “moderne mitologie volgari di pathos adolescenziale e di distruzione dell'uomo adulto, con un lessico visivo che ha la potenza dell'espressionismo astratto”.
In fumetti come “Drowning Girl” o “Ok hot shot”, entrambi del 1963, oppure in “Hopeless” e in “Eddie Diptych”, dello stesso anno, l'artista americano lucidamente condensa l'anonimo e industrializzato repertorio delle immagini prodotte per la comunicazione di massa.
Roy Lichtenstein realizzò una sua personale visione dell’America, grazie a una particolare tecnica che si avvaleva del linguaggio puntinato, un metodo usato per realizzare i fumetti, che veniva ottenuto grazie alla sovrapposizione di una retina metallica sopra alla tela.
Lichtenstein utilizzò questa tecnica non solo per esplorare un altro metodo espressivo ma anche per criticare la tecnica pittorica dell’astrattismo e per trovare una nuova forma artistica che coniugasse arte e cultura popolare.
Il fumetto non era considerato un’opera d’arte ma era invece visto più come una popolare forma alternativa di comunicare in modo sintetico un racconto.
Naturalmente le cose in seguito cambiarono e il fumetto divenne anche un’opera d’arte e sicuramente un mezzo espressivo che poteva contenere canoni artistici.
Fu comunque Lichtenstein ad utilizzarlo per la prima volta in questo senso, benché le sue opere non possano essere paragonate al fumetto.
Infatti, osservando con attenzione i suoi quadri, si distanziano in modo sostanziale dalla vignetta o dalla tavola del fumetto. Innanzi tutto i suoi disegni sembrano non suscitare alcun sentimento o stato d’animo, a guardarli sembrano distaccati, come se riuscissero a rarefare uno stato d’animo all’infinito, senza bisogno di avere un’immagine successiva, ma raccontando la loro storia dentro all’immagine che rappresentano. In questo sono senso quadri totalizzanti, che contengono una storia dall’inizio alla fine.
Anche nell'opera di Roy Lichtenstein l'universo quotidiano è sottoposto a un procedimento sorretto da una fortissima intenzione formalizzante.
L'artista si rivolge ai mezzi di comunicazione di massa e in particolare alle ‛storie' dei fumetti e, più in generale, ai prodotti dell'industria culturale, ma crea uno stacco marcato tra il messaggio di questi prodotti e le immagini che vengono rese, invece, con una definizione asciutta, ironicamente aristocratica della forma.
Si comprende perciò come un quadro di Lichtenstein, che si presenta in superficie come una mera riproduzione dei comics, finisca in realtà con il riassumere in sé, nel suo contesto circoscritto, una vera e propria ‛storia' delle correnti visive contemporanee. Di qui il largo impiego della ‛citazione' (le riprese testuali da Cézanne, Mondrian, Léger e altri, ma, per quanto riguarda più specificamente il segno, anche da Seurat e da Gauguin, da Van de Velde e dall'Art Nouveau).
Per quanto riguarda l'ambito prettamente fumettistico, un disegnatore che introdusse la Pop Art mescolata al Surrealismo e atmosfere psichedeliche fu Jim Steranko.
Questi ebbe la grande idea di inserire immagini in collage nelle sue vignette e colori molto accesi e surrealistici che si ispiravano all’arte di Warhol, creando atmosfere uniche e affascinanti; si possono vedere queste tavole negli albi del personaggio della Marvel Nick Fury (anni ‘70-80).
Molti critici definirono il suo stile come “Zap Art”, cioè un'arte di strada, metropolitana, vicina alla Street Art.
Steranko si ispirò ai romanzi di Ian Fleming sull’agente 007, ma in seguito furono i registi dei film sulla spia britannica che vennero influenzati dalle vicende di Nick Fury.
Steranko assorbì e adattò il suo stile alle tecniche di Jack Kirby, uno dei più celebri ed influenti autori di fumetti della storia, che ha collaborato per molti anni per la casa fumettistica Marvel.
Prolifico e con uno stile riconoscibile a prima vista, divenne il modello per generazioni di autori, grazie all’uso di fotomontaggi (in particolare per gli sfondi cittadini) e il frequente ricorso ai disegni a piena pagina privi di vignette, che occupavano uno, due o addirittura quattro fogli.
Un fumettista che utilizzò queste tecniche fu Will Eisner,considerato il padre dell’“arte sequenziale” perché reinventò completamente la struttura delle vignette, dei dialoghi e del movimento dei personaggi con i racconti del suo personaggio “The Spirit”.
Un altro fumettista che ha sfruttato lo stile della Pop Art è sicuramente Frank Miller, creatore e disegnatore dell’affascinante serie di fumetti “Sin City”, pubblicata dalla “Dark Hours”.
In questi cartoon non ci sono figure in bianco e nero, ma una vera e proprio lotta tra la luce e le ombre in cui non è presente alcun tipo di sfumatura e dove il bianco è quasi abbagliante e il nero è color pece.
Questo viaggio inizia tra gli anni Cinquanta e Sessanta, specialmente negli Stati Uniti, dove si assiste allo sviluppo di numerose tendenze artistiche alternative, che si distaccano marcatamente dalle forme espressive tradizionali.
Prende campo la Pop Art, una corrente artistica della seconda metà del XX secolo che prende il nome dalla parola inglese “popular art”, ovvero arte popolare, non da intendersi come arte del popolo o per il popolo ma, più puntualmente, come arte di massa, cioè prodotta in serie, ed è una delle più importanti correnti artistiche del dopoguerra.
L'altro grande fenomeno di massa è il fumetto, che proprio in questi anni viene elevato a vera e propria forma d'arte.
Per quanto riguarda la Pop Art, questo movimento discende direttamente dal graffiante cinismo del Dadaismo e della Nuova Oggettività, ma anche dalla semplicità equilibrata e dalla sintesi cromatica del Suprematismo russo di Malevic.
La nascita della Pop Art avviene negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni ’50, con le prime ricerche di Robert Raushenberg e Jasper Johns, ma la sua esplosione avviene soprattutto nel decennio degli anni ’60, conoscendo una prima diffusione e consacrazione con la Biennale di Venezia del 1964.
I maggiori rappresentanti di questa tendenza sono tutti artisti americani: Andy Warhol, Claes Oldenburg, Tom Wesselmann, James Rosenquist, Roy Lichtenstein.
Una corrente apparentemente passeggera ed effimera, ma che in realtà, a partire dagli anni Novanta del XX secolo, ha avuto nuova vita, con un secondo movimento che va sotto il nome di NeoPop, frantumandosi però in numerosi sottogruppi con diversi rimandi culturali: dal graffitismo urbano al mondo dell’undergound, dall’uso di materiali diversi come plastiche, resine ecc… al mondo dei fumetti giapponesi, dalla urban art al web design, fino a mescolarsi con riferimenti “alti”, letterari o concettuali.
Tra gli artisti più noti: Jeff Koons, Takashi Murakami, ma anche Gary Baseman, Jenny Holzer o, in Europa, Sigmar Polke, Katharina Fritsch, Gary Hume, Tim Noble.
Caratteristica interessante della Pop Art è che si serviva di oggetti presenti nella vita quotidiana trasformandoli in opere d’arte: la rappresentazione degli hamburger, delle auto, dei fumetti si trasforma presto in merce, in oggetto che si pone sul mercato (dell'arte) completamente calato nella logica mercantile.
La sfrontata mercificazione dell'uomo moderno, l'ossessivo martellamento pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita, il fumetto quale unico, residuo veicolo di comunicazione scritta, sono i fenomeni dai quali gli artisti pop attingono le loro motivazioni.
In altre parole, la Pop Art attinge i propri soggetti dall'universo del quotidiano – in specie della società americana – e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili: poiché la massa non ha volto, l'arte che la esprime deve essere il più possibile anonima: solo così potrà essere compresa e accettata dal maggior numero possibile di persone. In un mondo dominato dal consumo, la Pop Art respinge l'espressione dell'interiorità e dell'istintività e guarda, invece, al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi che circondano l'uomo contemporaneo: il cosiddetto "folclore urbano”, che porta con sé dalle bandiere americane di Jasper Johns alle bottiglie di Coca Cola di Warhol, dai fumetti di Lichtenstein alle locandine cinematografiche di Rosenquist.
Gli artisti di questo movimento hanno svolto un ruolo rivoluzionario, introducendo nella loro produzione l’uso di strumenti e mezzi non tradizionali della pittura come il collage, la fotografia, il cinema, il video e la musica, dalla quale gli stessi Beatles per alcune canzoni hanno trovato ispirazione.
La Pop Art infatti usa il medesimo linguaggio della pubblicità e risulta dunque perfettamente omogenea alla società dei consumi che l'ha prodotta.
L'artista, di conseguenza, non trova più spazio per alcuna esperienza soggettiva e ciò lo configura quale puro manipolatore di immagini, oggetti e simboli già fabbricati a scopo industriale, pubblicitario o economico.
Questi oggetti, riprodotti attraverso la scultura e la pittura, sono completamente personalizzati. Nelle mani di un artista pop le immagini della strada si trasformano nelle immagini "ben fatte" dell'arte colta.
I temi raffigurati sono estremamente vari: prodotti di largo consumo, oggetti di uso comune, personaggi del cinema e della televisione, immagini dei cartelloni pubblicitari, insegne, foto di giornali, riviste.
L'artista sa di operare all'interno di un contesto sociale, non più caratterizzato dalla netta contrapposizione tra avanguardia e conservazione, ma nell'ambito di una situazione più complessa e intricata in cui coesistono diversi livelli culturali. Porsi al di fuori di questo contesto non è possibile, né avrebbe senso, o avrebbe il senso di una nuova evasione, di un rinchiudersi nuovamente in una ristretta posizione aristocratica: l'artista pop lo sa e accetta di operare dentro il sistema abbandonando la pretesa di una redenzione totale e accettando di lavorare mediante interventi circoscritti dentro situazioni particolari e ben determinate.
Il denominatore comune a tutti questi artisti è una stessa fondamentale esigenza di realismo, di prendere coscienza della nuova condizione antropologica determinata dallo sviluppo industriale e dai mezzi di comunicazione di massa.
Ma si tratta di un realismo consapevole della convenzionalità del linguaggio artistico, del filtro che i nuovi strumenti tecnici di rappresentazione pongono tra noi e i dati della realtà.
Volendo indicare un precedente storico della pop art, è possibile risalire fino al realismo di Courbet, che si era già dato il compito di rappresentare la vita moderna. Nel catalogo della sua mostra all'Esposizione universale del 1855 l'artista aveva infatti esplicitamente dichiarato: ‟Sapere per potere, questa fu la mia idea. Essere in grado di tradurre i costumi, le idee, l'aspetto della mia epoca, secondo la mia valutazione, essere non solo un pittore, ma un uomo; in una parola, fare dell'arte viva, questo è il mio scopo".
Anche il Futurismo può essere identificato come un possibile precedente storico della ricognizione urbana condotta dalla Pop Art.
Infatti il Futurismo è stato un movimento programmaticamente pro-urbano che ha celebrato la città e la folla amplificando l'iconografia della vita moderna proposta dagli impressionisti e dai postimpressionisti.
Il primo manifesto marinettiano contiene ‟il resoconto di un incidente automobilistico, riportato come un'esilarante esperienza". Occorre aggiungere che i futuristi non si rivolgono alla scena urbana soltanto come a un repertorio tematico, di ordine contenutistico, ma si rifanno soprattutto alle mutate condizioni ambientali per cogliere nuovi procedimenti di formazione dell'arte introducendo le nozioni di coinvolgimento e di simultaneità.
Come già indicato, grande elemento di riferimento della Pop Art fu proprio il fumetto.
Questo genere di lettura era già diffuso dagli anni ‘40 ma riusciva ad attrarre a sé solo un pubblico di ragazzini: infatti proprio a questi ultimi si riferivano le grandi case editrici fumettistiche, escludendo completamente l’idea di diffondere i fumetti tra un pubblico molto più vasto.
Grazie all’artista Roy Lichtenstein, che negli anni ‘50-60 ha riprodotto in grande scala vignette tratte da giornali come Dick Tracy e anche da personaggi dei cartoni animati, trasformando le vignette in veri e proprio quadri, questo genere si è diffuso anche tra il pubblico adulto.
L'artista ha aperto la strada a una nuova considerazione del fumetto da parte della cultura e, in particolare, del mondo dell'arte: con l'artista newyorkese il linguaggio fumettistico, con le sue figure e le parole stereotipate, viene ad assumere un ruolo privilegiato.
Negli stessi anni Andy Warhol realizzava quadri con immagini di comics e, successivamente, molti altri artisti hanno utilizzato nelle loro opere elementi tratti da questo universo iconico.
Spesso si è cercato di “sbarazzarsi” di Lichtenstein come di “quello che ingrandisce i fumetti”; adolescente durante la “Golden Era” dei comics, nella maturità l'artista non torna ai racconti a fumetti per un irrazionale richiamo sentimentale, ma in realtà esplora le “moderne mitologie volgari di pathos adolescenziale e di distruzione dell'uomo adulto, con un lessico visivo che ha la potenza dell'espressionismo astratto”.
In fumetti come “Drowning Girl” o “Ok hot shot”, entrambi del 1963, oppure in “Hopeless” e in “Eddie Diptych”, dello stesso anno, l'artista americano lucidamente condensa l'anonimo e industrializzato repertorio delle immagini prodotte per la comunicazione di massa.
Roy Lichtenstein realizzò una sua personale visione dell’America, grazie a una particolare tecnica che si avvaleva del linguaggio puntinato, un metodo usato per realizzare i fumetti, che veniva ottenuto grazie alla sovrapposizione di una retina metallica sopra alla tela.
Lichtenstein utilizzò questa tecnica non solo per esplorare un altro metodo espressivo ma anche per criticare la tecnica pittorica dell’astrattismo e per trovare una nuova forma artistica che coniugasse arte e cultura popolare.
Il fumetto non era considerato un’opera d’arte ma era invece visto più come una popolare forma alternativa di comunicare in modo sintetico un racconto.
Naturalmente le cose in seguito cambiarono e il fumetto divenne anche un’opera d’arte e sicuramente un mezzo espressivo che poteva contenere canoni artistici.
Fu comunque Lichtenstein ad utilizzarlo per la prima volta in questo senso, benché le sue opere non possano essere paragonate al fumetto.
Infatti, osservando con attenzione i suoi quadri, si distanziano in modo sostanziale dalla vignetta o dalla tavola del fumetto. Innanzi tutto i suoi disegni sembrano non suscitare alcun sentimento o stato d’animo, a guardarli sembrano distaccati, come se riuscissero a rarefare uno stato d’animo all’infinito, senza bisogno di avere un’immagine successiva, ma raccontando la loro storia dentro all’immagine che rappresentano. In questo sono senso quadri totalizzanti, che contengono una storia dall’inizio alla fine.
Anche nell'opera di Roy Lichtenstein l'universo quotidiano è sottoposto a un procedimento sorretto da una fortissima intenzione formalizzante.
L'artista si rivolge ai mezzi di comunicazione di massa e in particolare alle ‛storie' dei fumetti e, più in generale, ai prodotti dell'industria culturale, ma crea uno stacco marcato tra il messaggio di questi prodotti e le immagini che vengono rese, invece, con una definizione asciutta, ironicamente aristocratica della forma.
Si comprende perciò come un quadro di Lichtenstein, che si presenta in superficie come una mera riproduzione dei comics, finisca in realtà con il riassumere in sé, nel suo contesto circoscritto, una vera e propria ‛storia' delle correnti visive contemporanee. Di qui il largo impiego della ‛citazione' (le riprese testuali da Cézanne, Mondrian, Léger e altri, ma, per quanto riguarda più specificamente il segno, anche da Seurat e da Gauguin, da Van de Velde e dall'Art Nouveau).
Per quanto riguarda l'ambito prettamente fumettistico, un disegnatore che introdusse la Pop Art mescolata al Surrealismo e atmosfere psichedeliche fu Jim Steranko.
Questi ebbe la grande idea di inserire immagini in collage nelle sue vignette e colori molto accesi e surrealistici che si ispiravano all’arte di Warhol, creando atmosfere uniche e affascinanti; si possono vedere queste tavole negli albi del personaggio della Marvel Nick Fury (anni ‘70-80).
Molti critici definirono il suo stile come “Zap Art”, cioè un'arte di strada, metropolitana, vicina alla Street Art.
Steranko si ispirò ai romanzi di Ian Fleming sull’agente 007, ma in seguito furono i registi dei film sulla spia britannica che vennero influenzati dalle vicende di Nick Fury.
Steranko assorbì e adattò il suo stile alle tecniche di Jack Kirby, uno dei più celebri ed influenti autori di fumetti della storia, che ha collaborato per molti anni per la casa fumettistica Marvel.
Prolifico e con uno stile riconoscibile a prima vista, divenne il modello per generazioni di autori, grazie all’uso di fotomontaggi (in particolare per gli sfondi cittadini) e il frequente ricorso ai disegni a piena pagina privi di vignette, che occupavano uno, due o addirittura quattro fogli.
Un fumettista che utilizzò queste tecniche fu Will Eisner,considerato il padre dell’“arte sequenziale” perché reinventò completamente la struttura delle vignette, dei dialoghi e del movimento dei personaggi con i racconti del suo personaggio “The Spirit”.
Un altro fumettista che ha sfruttato lo stile della Pop Art è sicuramente Frank Miller, creatore e disegnatore dell’affascinante serie di fumetti “Sin City”, pubblicata dalla “Dark Hours”.
In questi cartoon non ci sono figure in bianco e nero, ma una vera e proprio lotta tra la luce e le ombre in cui non è presente alcun tipo di sfumatura e dove il bianco è quasi abbagliante e il nero è color pece.
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